SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un ponte tra gli anni Settanta e i giovani di oggi. Gli studenti della classe 4 C Turismo dell’Iis Fazzini-Mercantini hanno intervistato, nell’ambito del progetto “Una Rotonda sulla Storia”, Nazzareno Torquati, uno dei protagonisti delle vicende sambenedettesi dell’epoca. In seguito Torquati ha coperto anche ruoli di primo piano nella vita politica ed economica locale.

Perché ci furono proteste dopo il naufragio del Rodi e perché da quel momento a San Benedetto iniziò la contestazione giovanile?

“Il naufragio del Rodi fu successivo a una serie di momenti tragici per la marineria italiana. Nei decenni precedenti ci furono 400 morti, soprattutto giovani. Il naufragio del Rodi fu particolare perché avvenne davanti alla città, e poco prima del Natale. La contestazione giovanile era già in atto, ricordiamo che eravamo a soli due anni dal 1968. Sei anni prima c’era stato il naufragio del Pinguino con 13 morti, e a quell’epoca c’era rassegnazione: chi navigava metteva in conto che si poteva morire. In questa situazione si inserì la questione della lotta di classe. Nel 1970 San Benedetto era in piena espansione: siamo passati in meno di dieci anni al raddoppio della popolazione da 18 mila dopo la seconda guerra mondiale ai 45 mila negli anni ‘70. La città era in trasformazione da un punto di vista umano oltre che economico. C’erano comunità che si stavano amalgamando fra di loro, in città ad esempio vivevano molte persone non nate a San Benedetto.  Per incontrarsi c’era solo la strada, la piazza era il nostro mezzo di comunicazione, non c’era internet per noi giovani. In questa situazione, i giovani marinai iniziarono la contestazione, perché erano senza contratto e venivano pagati soltanto nel caso in cui la pesca fosse andata a buon fine”.

In che modo le conquiste sociali di quegli anni cambiarono, oltre che l’Italia, anche San Benedetto?

“Lo Statuto dei Lavoratori è un esempio, una conquista degli anni ‘70 ottenuta con una dura lotta per affermare che il lavoro è un diritto per tutti. Il lavoro è un diritto inalienabile e impedire i licenziamenti senza giusta causa fu una grande conquista: togliere l’articolo 18 è stato come tornare all’800, è una cosa inaccettabile per chi, come noi, ha lottato per i diritti del lavoro. Ci sono conquiste anche per quel che riguarda la condizione femminile: basti pensare all’eliminazione del delitto d’onore o alla rivoluzione dell’abbigliamento o dei costumi”.

Eroina e terrorismo contribuirono a distruggere i movimenti degli anni ‘70. Come si diffusero e perché? Il sequestro e l’omicidio di Roberto Peci in che modo hanno influenzato la comunità sambenedettese e i movimenti di protesta sorti negli anni ‘70?

“Con Roberto sono stato molto amico, ho seguito le vicende di quando fu arrestato. Ho molte cose che mi sono rimaste dentro. C’è una forma anche di rimorso che mi porto dietro. Roberto Peci si poteva salvare solo con l’appoggio del fratello. Le Brigate Rosse chiedevano a Patrizio di confessare di aver fornito informazioni alle forze dell’ordine per un agguato contro la colonna genovese nel quale morirono quattro brigatisti. Ma Patrizio non ha mai voluto ammetterlo. La tragedia della morte di Roberto Peci significò la fine delle lotte politiche di quegli anni, iniziate dopo il naufragio del Rodi. Poco dopo l’assassinio io avviai una attività cooperativa nell’ambito della lavorazione del pesce. Oggi è chiusa, ma negli anni abbiamo dato lavoro a centinaia di persone”.

E riguardo l’uso dell’eroina?

“Mentre alcuni gruppi si radicalizzarono, entrando nelle Br attraverso il Pail (Proletari Armati in Lotta) altri scoprirono la droga. Adesso sappiamo che dietro c’era la malavita romana, come ad esempio la Banda della Magliana. San Benedetto fu invasa dall’eroina dall’oggi al domani. Io ricordo bene una sera, eravamo seduti sulla ringhiera della fontana della Rotonda, in cui un amico arrivò e aveva una puntura sul braccio. Facemmo la guerra agli spacciatori, una volta ne buttammo uno direttamente dentro alla fontana. Però in galera andavamo noi, non gli spacciatori. Eravamo concentrati sul contratto del lavoro, e intanto l’eroina provocò la morte di 26 giovani per overdose”.

Perché c’è reticenza nel raccontare le vicende degli anni ‘70 di San Benedetto da parte dei protagonisti di quell’epoca?

“Ognuno ha una sua interpretazione, io posso dirvi la mia verità, altri potrebbero raccontare la loro. Silvia Ballestra ha scritto il romanzo “I Giorni della Rotonda” e ci furono anche reazioni negative da parte di persone che non si riconobbero in quella storia. C’è poi stato il libro di Gianfranco Galié su Radio 102, la radio libera di San Benedetto degli anni ’70, che era una fonte di controinformazione. Quel periodo non è stato soltanto Anni di Piombo, anzi, la violenza terroristica fu solo una minima parte di quel che è stato. Ad esempio, poiché all’epoca si lavorava anche di domenica, bloccammo più volte i pescherecci per evitare la loro uscita in mare. C’era un connubio tra marinai e giovani politicizzati, ma poi la storia ognuno la racconta a modo suo, e non è facile arrivare ad una sintesi comune”.

Se lei tornasse indietro, riparteciperebbe a quei movimenti?

“Io ringrazio chi mi ha introdotto a quelle esperienze, altrimenti non avrei avuto una coscienza politica degli eventi”.

Come si svolgeva la giornata tipo di un giovane negli anni ’70? La politica era davvero così importante? A noi sembra incredibile che dei giovani si scontrassero per motivi politici. Perché accadeva questo?

“A 15 anni mi sono imbarcato per la prima volta e a 17 anni sono andato sulle petroliere, dopo aver conseguito il diploma da meccanico navale. Era il 1974, tra gli anni di maggior scontro tra la destra e la sinistra. La giornata tipo non era bella, i genitori erano preoccupati per gli scontri continui. La Rotonda era frequentata da centinaia di giovani, e ci si incontrava tutti lì: era un mondo a sé stante, non come adesso dove non c’è mai nessuno. Il Caffè Glacial, dove c’era il Moretti fino a poco fa, era il punto di ritrovo degli extraparlamentari di sinistra ai quali si erano aggregati anche i pescatori, di certo non gracilini per via del loro duro lavoro”.

Quando vi incontravate, come si svolgevano le vostre riunioni?

“C’erano tre tipi di incontri. Quelli che avvenivano con gli intellettuali, i quali parlavano dei loro ideali e riuscivano a trascinare all’azione i proletari che li ascoltavano. Un altro tipo di riunione riguardava i problemi locali, nei quali si cercava di sviluppare una capacità di analisi. Infine c’erano incontri per azioni più pratiche. Vivevamo in una situazione difficile da capire oggi, eravamo più simili agli ultras delle squadre di calcio. Non si aveva paura di trasgredire e delle conseguenze penali. Per capire la storia bisogna andare nei Tribunali e nei casellari giudiziari”.

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Perché secondo lei i giovani di oggi, invece, non si occupano di politica?

“Non prendere posizione è già un atteggiamento politico, non fare niente vuol dire già avere coscienza di non poter far nulla. Non intervenire nella vita politica è già una posizione politica. Voi ragazzi avete idea di quale sarà il vostro futuro? Sapete che rischiate di avere una vita da precari? Come fate a non prendere posizione quando davanti a voi c’è il deserto? Quando ero assessore a San Benedetto, negli anni ’90, vidi che nessuno studente dell’Alberghiero era impiegato nelle strutture turistiche locali. Dovete iniziare già adesso a prendere in mano il vostro futuro e dovete creare le vostre opportunità di lavoro, non aspettarle. Il lavoro va creato, non cercato”.

Ci sono connessioni tra il turismo e la pesca?

“Una visita in una imbarcazione è molto più istruttiva di tante altre iniziative. A San Benedetto il fenomeno della pesca oceanica è stato unico a livello italiano e in parte anche internazionale. Possiamo rilanciare il turismo anche attraverso una ristorazione più attenta, che punti sulla qualità e sull’originalità piuttosto che sulla quantità dell’offerta”.

A livello turistico, in che modo è cambiata San Benedetto dagli anni ’70 ad oggi?

“Il boom turistico è avvenuto nel dopoguerra, quando assieme al turismo si sono sviluppate la pesca oceanica e l’edilizia. Così si sono costruiti anche molti alberghi. Il nostro resta un turismo di tipo familiare: abbiamo impostato tutta l’economia turistica in quattro chilometri di spiaggia, e non si è mai destagionalizzato. Rispetto agli anni ’70, ad esempio, è diminuito notevolmente il tempo di pernottamento negli hotel. Negli ultimi anni le presenze stanno diminuendo, perché? Abbiamo ad esempio le Terme di Acquasanta che sono poco sfruttate: dobbiamo aprirci al turismo del benessere, del wellness. Potete crearvi il lavoro solo se aumentate le vostre conoscenze e con internet è possibile studiare cosa accade nel mondo. Molti invece sono chiusi in se stessi e non hanno idea di come migliorare la situazione a San Benedetto”.