
RICCHI CONTRIBUTI PER ROTTAMAZIONE PESCHERECCI
Abbiamo assistito ad una lunga sequenza di barche demolite negli ultimi tempi, operazione voluta dall’Europa per ridurre le capacità di pesca e preservare le specie ittiche nel Mediterraneo.
Un peschereccio medio demolito consente di introitare anche 3-400 mila euro.
A San Benedetto sono state demolite barche anche in buono stato di efficienza, alla base gli incentivi. Ciò comporta una perdita per il movimento della pesca locale, che è stato il primo motore di crescita della città, minori posti di lavoro, uno spreco di risorse che potrebbero essere convertite ad altri utilizzi invece di essere distrutte, come la pesca-turismo, piccola crocieristica, nuove formule di ristorazione in mare, ecc.
Alla base della decisione di demolire, oltre al grosso contributo, c’è la concorrenza del pescato estero che riduce i margini, la tanta burocrazia italiana, l’invecchiamento degli armatori a cui non è seguito un vero ricambio generazionale.
PERDITA DI POSTI DI LAVORO E TUTELA DEI MARITTIMI
Si apre un problema conseguente di tutela delle persone imbarcate che hanno perso il posto di lavoro e delle loro famiglie, della perdita di capacità professionali e dispersione del patrimonio di esperienze accumulato nella nostra tradizione marinara, fino a far morire la pesca.
Dalla legge 30 del ’98 in poi, lo Stato italiano agevola generosamente l’occupazione marittima. Precisamente, con 300 milioni di euro all’anno, già finanziati per i prossimi tre anni. Bruxelles ha dettato una serie di condizioni affinché questi aiuti restino per altri dieci anni.
In un disegno di legge del senatore Cociancich è stata proposta e approvata la clausola delle agevolabilità delle sole assunzioni di italiani o comunitari, in modo da non agevolare anche l’assunzione di personale extracomunitario come avviene oggi.
Contro questa legge è insorta Confitarma, l’associazione degli armatori in Confindustria, congelando l’iter presso il ministero dei trasporti.
CONCORRENZA SLEALE E FALLIMENTO DEI SINDACATI
Ingaggiare extracomunitari sulle tratte nazionali significa pagarli un terzo di un lavoratore italiano o comunitario e lucrare la differenza, secondo la denuncia di Fedarlinea.
Ma il gap finanziario tra i costi dei marittimi comunitari e quelli extracomunitari è, nei fatti, abissale e spiega ampiamente l’asprezza del conflitto: un mozzo filippino intasca un minimo di 350 euro al mese, un europeo 1050.
Attorno agli armatori “patriottici” Onorato e Aponte di Fedarlinea si stanno stringendo i marittimi italiani. Un esercito, per metà disoccupati. Al solo registro “Gente di mare” di Torre del Greco (uno dei più affollati d’Italia) sono iscritti 105 mila lavoratori marittimi, di cui 50 mila disoccupati.
Di recente Onorato è stato acclamato con un tifo da stadio in una specie di comizio sull’italianità da un nuovo movimento di base, “Marittimi per il futuro”, nato per costruire una rappresentanza alternativa ai sindacati confederali che fanno poco o niente sul tema, perché percepiscono da Confitarma un contributo per ogni lavoratore assunto, a prescindere dalla nazionalità. Tradiscono dunque i loro assistiti per un profitto.
CUI PRODEST, A CHI CONVIENE? AGLI ARMATORI.
L’armatore come imprenditore deve cambiare mentalità e non essere più essere un mero “prenditore” a caccia del solo profitto, perché ciò porta ad un impoverimento sociale diffuso che va a ridurre il suo stesso mercato; diceva Ford che il successo del mercato dell’auto dipendeva dal benessere dei suoi dipendenti e delle loro famiglie, tale da permettere loro di acquistare una sua automobile.
Sentirsi italiano, profondamente sambenedettese, innamorato del porto e della pesca, quindi una persona che vive il suo territorio, che guadagna e che fa guadagnare gli altri, è doveroso per chi percepisce notevoli contributi, sgravi e agevolazioni dallo stato italiano, come minimo deve restituire l’impegno ad assumere in grande prevalenza personale italiano.
Decine di famiglie marinare sambenedettesi stanno vivendo con ansia questi tempi, fatti di demolizioni e di perdita del posto di lavoro, che non ritrovano più per la concorrenza sleale degli extracomunitari. E’ a queste persone in primis che la politica tutta, locale, regionale e nazionale, deve assolutamente dare risposte molto concrete e veloci. Aspettiamo fiduciosi!
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In effetti l’attuale approccio è inutilmente algido, tecnicistico e poco lungimirante. Le specie ittiche in effetti le puoi preservare riqualificando (e non demolendo) i pescherecci; creando lavoro per le future generazioni e nuove attrattive turistiche. https://www.viviamsterdam.it/dove-dormire/affittare-houseboat.html
Bravo Primo. Non si ricorda nessun settore economico che per risollevarsi vede la spesa di ingenti fondi pubblici per la sua stessa autodistruzione; con quel denaro si potrebbe riqualificare sia la flotta peschereccia sia gli stessi lavoratori. E qui tocchiamo uno degli aspetti “vivi” del rapporto Italia-Unione Europea: credo che nessuno Stato potrebbe approvare una strategia industriale suicida in un settore come quello della pesca. E lo dico come figlio di un marittimo.
Nel recente passato è stata pagata l’estirpazione di migliaia di ettari di vigneti, vera specialità italiana…
Inserisco una precisazione; le problematiche legate alla concorrenza sleale degli extracomunitari sottopagati è più comune nelle navi da trasporto e nella crocieristica che possono imbarcare anche nei porti stranieri e tenere a bordo senza farli sbarcare anche persone “clandestine” (ci sono navi battenti bandiera italiana, con 1000 persone di equipaggio, di cui solo 4 italiani e 996 stranieri).
Nella pesca locale il problema è meno evidente, i contratti per i marittimi italiani o stranieri sono simili, salvo situazioni poco regolari che comunque esistono…