Il 31 marzo di quest’anno Netflix ha rilasciato un documentario molto interessante. Si tratta di “Avicii: True Stories” (https://youtu.be/1ZFK3VKzQIs) e racconta il ritiro dai tour mondiali del famosissimo Dj e producer Avicii, nome d’arte dello svedese Tim Bergling, con interviste inedite  – tra gli altri David Guetta, Wyclef Jean, Nile Rodgers e Chris Martin dei Coldplay – e un tono molto coinvolgente. Mi è capitato di vederlo qualche giorno fa, dopo aver saputo dai giornali che Tim Bergling era stato ritrovato morto nella città di Mascate in Oman, a soli 28 anni, il 20 di aprile.

Una morte avvolta nel mistero in principio, e che si è saputo solo di recente essere stata auto-inflitta dallo stesso Tim, che dopo aver rotto una bottiglia di vetro, l’ha usata per tagliarsi le vene e probabilmente anche la gola. Una tragedia insomma.

La storia di Avicii, giovane talento della musica elettronica che esordisce sulla scena mondiale a meno di vent’anni, citato dall’ex presidente americano Obama in persona alla cerimonia di benvenuto dei leader dei Paesi scandinavi del 2016 a Washington, non può lasciare indifferenti. Un ragazzo dalla bellezza pungente ed il carattere introverso, che ha iniziato a produrre musica per gioco su un blog e su Myspace e che poi è stato lanciato in modo esagerato nello star-system. Esagerato come oggi i nuovi media permettono. Il video di uno dei suoi singoli più venduti ed ascoltati, “Wake up” (https://youtu.be/IcrbM1l_BoI) conta ad oggi più di un miliardo e mezzo di visualizzazioni, e tanti commenti sulla morte prematura dell’artista, ovviamente. Numeri che sconvolgono l’esistenza e costringono ad una reazione emotiva forte. Forse troppo.

Tim era un ragazzo riservato, con un talento fuori dal comune, che l’industria dell’entertainment anche social ha strizzato e strapazzato, provocandogli gravi danni alla salute. Danni tamponati da antidolorifici, ma, soprattutto, alcol e tanti stravizi, che, mentre permettevano ad Avicii di essere il re dei suoi show, hanno lentamente logorato Tim. Così iniziano i ricoveri, le prime pause forzate ai tour, ma inizia anche tanta ansia e desiderio di giustificare la lontananza dal pubblico, che tanto condizionavano il ragazzo.

Nel 2016 Avicii dichiara ufficialmente il suo abbandono della scena pubblica. Decide di continuare a produrre musica lontano dai riflettori. Si trova una fidanzata stabile, lavora con gli amici musicisti a modo suo, ma i danni sono irreversibili. Di qui l’epilogo che conosciamo.

La sua storia non mi ha semplicemente intristito, perché un ragazzo che decide di togliersi la vita è una cosa che intristisce indipendentemente dalla sua notorietà, ma mi ha colpito in modo più profondo, perché mi ha costretto a guardare le nuove forme di intrattenimento contemporanee con occhio più cinico.

Un occhio preoccupato, lo dico onestamente, e che non mi è piaciuto affatto dover sfoggiare.