MONTEPRANDONE – Chiamiamola poesia. Che è il timbro dell’arte cinematografica del regista ascolano Giuseppe Piccioni, ma è anche la sua qualità nell’esposizione pubblica. Delicato, ricco di ricordi preziosi, citazioni, digressioni che si avventurano per sentieri improvvisi e poi, paf!, ritornano al punto di partenza.

Così al Giovarti di Monteprandone Piccioni ha deliziato il folto pubblico presente, che ha assiepato la sala tanto da costringere molti presenti a restare in piedi prima della visione del suo pluripremiato film “Fuori dal mondo” (1999). Introdotto da Alceo Lucidi, Piccioni è intervenuto nell’ambito della rassegna “Cinema d’Autore”. Tante le sue parole che meritano di essere riproposte oltre quelle che riportiamo nel video dell’intervista (ci scusiamo per la qualità dei primi fotogrammi): “Quando ero giovane e decisi di dedicarmi al cinema, mi trovavo in un periodo in cui le scelte sembravano dovessero durare per sempre. Da Ascoli tornai a Roma non per il cinema ma per amore: lì studiava quella che sarebbe diventata la compagna della mia vita, anche lei ascolana. Avevo tutte le tessere dei cineforum romani; vivevo a Portonaccio, in periferia, e tutto mi sembrava bellissimo. Vedevo film di ogni genere, dalla nouvelle vague ai musical a Bergman, e prendevo anche appunti quando sentivo dei dialoghi che mi piacevano. Spesso vedevamo film anti-intellettuali: tutto Franco e Ciccio, o Frankestein”.

“Il mio rapporto col cinema è sempre stato quello di un piacere non accademico. Vedo tanti giovani che studiano cinema e sono esperti, ma non serve avere una conoscenza assoluta del cinema per fare poi dei buoni film. All’epoca, a Roma, frequentavo una scuola di Enzo Rossellini, si parlava di cinema sempre, 24 ore al giorno. Con me c’era anche Domenico Procacci: voleva fare il regista ma io l’ho convinto a diventare produttore, cosa che è stata proficua” ha affermato il regista de Il Grande Blek.

“In Italia il cinema d’autore spesso risulta troppo pensoso, oppure ci sono film invece troppo facili. A me piacciono storie come quelle dei romanzi, con un loro intreccio e una evoluzione poi improvvisa. Mi piacciono i dialoghi scritti, non amo la finta naturalezza dei dialoghi e l’emulazione del parlato – ha risposto a Lucidi – Quando girai la mia prima pellicola, Il Grande Blek, la cosa più difficile fu dirigere il film in Piazza del Popolo, dove incontravo persone che mi conoscevano e anche mio padre veniva a vedermi per la prima volta nelle vesti di regista. Non fu semplice”.