Ho trascorso questa settimana a Londra. Giovedì scorso, tornando, ho preso uno dei giornali depositati al gate per intrattenermi durante il volo. Un articolo del Times mi ha rapito. Il suo titolo era: “We sent nude selfies. It was only a joke – Ci siamo inviati selfie nudi. Era solo un gioco“.  Dopo averlo letto, ho trascorso le mie ore di volo a pensare.  Vorrei condividere con voi il motivo.

L’articolo del Times si sofferma sui dati allarmanti condivisi dalla polizia inglese sul numero di bambini indagati dalle forze dell’ordine in quanto sospettati di aver inviato o ricevuto immagini indecenti sui loro dispositivi. Nel dettaglio: 5000 ragazzini sotto i 18 anni, 200 di 12 anni. 300% più del 2015. Oltre a questi, casi speciali. Nella lista dei sospettati figura una bambina di 5 anni che ha inviato una sua foto nuda ad un altro bambino della sua età ed una bambina di 7 anni del Northamptonshire indagata per aver caricato su YouTube un video in cui posava nuda.

Dozzine e dozzine di bambini sotto gli 11 anni sospettati per immagini postate su Snapchat, Facebook, Instagram e Kik Messenger. Tutti social che, ovviamente, hanno un limite di età per la loro iscrizione. Ma che evidentemente nessuno controlla. Negli ultimi tre anni, 31 bambini sotto i 10 anni sono stati indagati dalla polizia per possesso o condivisione di materiale pornografico, due di questi avevano 5 anni. Ogni anno il numero sale. Negli ultimi tre anni sono finiti tra la lista degli indagati: 38 bambini di 10 anni, 105 di 11 ani, 327 di 12 anni, 678 di 13 anni.

Il racconto dei piccoli protagonisti intervistati sono quasi sempre gli stessi. Ragazzini che forzano le bambine a fare foto o video sexy, cose che tutte le compagne hanno fatto almeno una volta, quindi che male c’è, e che poi finiscono per gioco o per civetteria on line (è così che la lista si può originare). Non mancano anche casi di bambine che, dopo aver mostrato ai fidanzati loro immagini provocanti, li forzano a inviare i filmati in cui mostrano ‘la propria eccitazione’ al riguardo e che poi per gioco o per civetteria vengono condivise da loro on line. Ma sono in percentuale molto molto meno.

Nel 2014 un ragazzino di 13 anni è stato arrestato nella sua casa a Leicestershire, beccato dopo aver postato on line una foto nuda che la fidanzatina gli aveva inviato in uno dei loro scambi amorosi. E potrei continuare.

È difficile ragionare togliendosi di dosso un’educazione che sembra sia stata impartita nel medioevo per quanto l’abisso che le nuove tecnologie hanno creato con le nuove generazioni sembra incolmabile. Ma ci provo. Perché non ho figli, ma 4 nipotine femmine. E immaginare che E. di 8 anni, S. di 6 o G. di 5 si puntino un telefono addosso pensando ai loro compagni di scuola, mi rende piuttosto nervosa.

Provo a procedere a ritroso e per astrazione. Se ripenso alla mia infanzia, quello che ricordo è che la curiosità di esplorare i nostri corpi, non è mai stata una pulsione sconosciuta. Per me o nessuno dei miei conoscenti. Guardarsi, essere consapevoli che ciò che si nascondeva sotto i vestiti fosse qualcosa di eccitante interesse, è sempre stato del tutto naturale. Sono cresciuta con due fratelli. Da bambini facevamo il bagno assieme spesso. Essere nudi fra di noi non è mai stato un tabù. Non c’era malizia nel guardarsi, perché mia madre lo faceva sembrare del tutto naturale. Come riusciva a trasmettere in modo del tutto naturale quel senso di intimità proprio della famiglia che implicava il fatto che ciò che vivevamo all’interno delle mura di casa, non fosse condivisibile all’esterno.

D’altra parte non era per noi neanche un argomento. Condividere certe cose con l’esterno. Perché, di fatto, non potevamo farlo: quindi non avevamo gli strumenti neanche per poterlo concepire. Per questo alcune cose per noi avevano meno importanza. Non c’era il rischio che alcune immagini potessero diventare virali una volta condivise. Si spiava, certo. I ragazzi gli spogliatoi e i bagni delle ragazze, le ragazze gli spogliatoi e i bagni dei ragazzi. La magia passava per un racconto verbale che però non era quasi mai corrispondente al vero. Per questo circolava, sì è vero, ma senza troppi danni: “Sì, va bene… ma chi ti crede?”. Le prime esperienze di coppia maturavano nell’imbarazzo di aver sentito tanto parlare di certe cose… ma chi le aveva viste mai?

Di fronte alle parole, ognuno può mistificare la realtà. L’immagine condivisa no. Non è molto mistificatile. L’immagine che diventa virale men che meno. La viralità  è l’interruttore che spegne la magia dell’esperienza. Un interruttore che noi non potevamo premere.

L’immagine sa urlare, quando le parole sussurrano in modo ingannevole. Talvolta. E questo cambia tutto. L’immagine, il video, rendono reale una testimonianza. “Ecco qua il mio corpo. Bello no? Adesso vediamo se non mi credi!”. E questo innesca una competizione che porta inevitabilmente ad un gioco al rialzo – chi accetta di perdere quando si è bambini? – che spegne il desiderio della scoperta, la magia del mistero. La magia di esibirsi si mescola con il greve ricatto. E, alla fine dei conti, c’è sempre qualcuno che piange, quando va bene. Qualcuno che rimane turbato e cambia totalmente la propria personalità, quando va male.

Ora. Non sono psicologa. Ma analizzo per lavoro le attitudini a relazionarsi con gli altri, per una gestione ottimale della comprensione reciproca. Per questo non mi domando cosa sia meglio o quando era meglio, ma cosa i fatti comportano. Cinicamente. Una ricerca sul possesso degli smartphone da parte dei bambini del 2016 dimostra che sono sempre di più i bambini che cominciano ad usare quello dei genitori anche sotto i 5 anni. E che all’età media di 8 anni hanno già il proprio (ho scritto qualcosa proprio qui al riguardo).

La nudità e la sua esplorazione è una cosa naturale che non può essere limitata o condannata. Sin da bambini. Va incoraggiata penso. E allora dobbiamo fare qualcosa per mantenere la magia di viverla in modo eccitante? O dobbiamo rimodulare il nostro modo di concepire la sessualità assecondando un cambiamento radicale del suo significato? Ad essere sincera, due ore di riflessione durante il volo non mi hanno offerto la soluzione. Tantomeno credo di essere la persona adatta a cercarla.

Io so solo che questa sovra esposizione al corpo, estesa gratuitamente a tutte le sue declinazioni, non ci preserva da miriadi di pregiudizi che ancora mostriamo nei confronti di chi decide di intervenire da adolescente sulla propria sessualità, per esempio, i famosi trans teen, cambiando il proprio corpo o adattando il proprio corpo a se stessi. Quindi deduco che su come trattare effettivamente il settore sessualità/corpo esposto, siamo ancora tutti piuttosto confusi.

E allora mi viene da dire. Se non siamo pronti –  e non siamo pronti –  non è meglio ricominciare ad usare la parola per certe cose? E procedere per piccoli gradi di onesta civiltà?