SAN BENEDETTO DEL TRONTO – 513 giorni. Da quel tragico 30 ottobre 2016, quando la terra ha tremato ancora sotto agli Appennini, ancor più forte che il precedente 24 agosto, tanto è il tempo passato. E gravi danni, oltre che morti e feriti, sono stati subiti dal patrimonio culturale, oltre che edilizio. E tantissimi sono stati i danni alle chiese, per un valore inestimabile. Si parla centinaia, forse migliaia di edifici di culto danneggiati nel Centro Italia.

Soltanto per la diocesi di San Benedetto-Ripatransone-Montalto almeno 50 chiese hanno subito danni anche molto gravi. A seguito dei decreti del commissario straordinario per il terremoto, Vasco Errani – ci riferiamo ai decreti 23 e 32 – è partito un iter dedicato proprio alla messa in sicurezza delle chiese: nella diocesi ne sono state selezionate intanto tredici, in modo da garantire la presenza di una chiesa agibile almeno per ogni paesino. Tuttavia ancora oggi, 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, in nessuna di queste chiese i lavori di messa a norma sono in corso. Perché?

Si tratta purtroppo di lungaggini burocratiche in parte dovute alla complessità degli interventi che non riguardano soltanto le chiese, ovviamente. In parte vi è una ossessione collettiva per i rischi della corruzione. Vulnus da rintracciare già nel decreto di nomina originario del commissario Errani, nel settembre 2016, quando, al secondo punto, si specifica che “Il commissario straordinario provvede, in particolare, al coordinamento delle amministrazioni statali, anche in raccordo con i Presidenti delle Regioni e i Sindaci interessati, nonché con l’Autorità Nazionale Anticorruzione, alla definizione dei piani, dei programmi di intervento, delle risorse necessarie e delle procedure amministrative finalizzati alla ricostruzione degli edifici pubblici e privati, nonché delle infrastrutture nei territori colpiti dal sisma”.

Un carico “anticorruttivo” posto in cima alla piramide delle priorità sulla ricostruzione che sovraccarica sia il lavoro dei funzionari sia il timore che in ogni passaggio – presentazione progetti, verifica delle spese, assegnazione dei fondi – chi deve apporre la sua firma incorra in una futura verifica, o denuncia, o persino un futuro, banale, articolo stampa. La pervasività del “terrore dell’anticorruzione” è così profonda da rallentare tutti gli iter, anche quelli più banali. Ed è un problema che sta a pari con la relativa scarsità dei fondi disponibili rispetto alla complessità dei danni e l’indebolimento realizzato ai danni del sistema amministrativo-istituzionale italiano, di cui le zone montane dell’Appennino ne sono un tipico esempio.

Senza province forti come un tempo, con comunità montane con molti meno fondi, comuni ridotti ad una manciata di dipendenti spesso contati con le dita di una mano e sempre più anziani, regioni a loro volta spolpate dall’austerità europeo-romana.

Insomma: come ci si muove si fa danno, si dice nelle Marche. Per cui molto spesso meglio non muoversi, per non fare danno, si pensa.

Caso emblematico è quello della Chiesa di San Giuseppe, a San Benedetto. Edificata nel 1883, ha subito delle piccole lesioni a causa del sisma che hanno consigliato la chiusura per sicurezza. Ecco che dal 30 ottobre 2016 ad oggi l’edificio di culto non è stato ancora riaperto al pubblico, nonostante gli interventi necessari ammontino ad appena 40 mila euro. Perché anche l’iter per la Chiesa è rientrato in quello previsto dal Commissario Straordinario il progetto di messa a norma, accettato dalla Conferenza di Servizi, non trova ancora il conforto di una banale firma da parte del Ministero, attraverso l’Ufficio della Ricostruzione di Ascoli Piceno. E sono trascorsi ulteriori 15 giorni dal momento in cui tutto è stato definito in regola, eppure altro tempo sta trascorrendo. E altro sarà necessario: i lavori, gestiti direttamente dalla Diocesi, sottostanno alle regole degli appalti pubblici e sarà necessario preparare un bando e scegliere tra cinque imprese sulla base della migliore offerta.

Si tratterà di piccoli interventi strutturali, come la sostituzione della muratura dove ci sono lesioni evidenti, qualche ripristino, e il rafforzamento di alcune porzioni della chiesa. Un intervento che in sé implica 15 giorni o al massimo un mese di lavori, che da 513 giorni ancora non è iniziato, tuttavia.

Si spera che la firma dell’Ufficio Ricostruzione arrivi entro il Natale, almeno, così che il 2018 segni l’inizio della messa a norma, come richiesto da molti fedeli del centro di San Benedetto.