SAN BENEDETTO DEL TRONTO – L’ultima invenzione della Columbia University è un muscolo robotico. Un piccolo involucro di materiale plastico, azionato elettricamente, in grado di sollevare fino a mille volte il suo peso. Il composto, fabbricato con una stampante 3D, potrà essere applicato ai robot di nuova generazione, che incrementeranno in questo modo non solo la loro forza meccanica, ma anche la precisione e la flessibilità.

Stiamo facendo grandi passi avanti nell’intelligenza dei robot, ma i loro corpi sono ancora primitivi”, ha commentato Hod Lipson, il ricercatore a capo del progetto ”abbiamo superato una delle barriere finali per rendere i robot realistici”.

Proprio come afferma Lipson, il movimento dei robot è tuttora una grande sfida per gli ingegneri; se da un lato algoritmi sempre più complessi si sono tradotti in macchine intelligenti in grado di acquisire e rielaborare dati, al punto da poter giocare a scacchi, orientarsi in un ambiente sconosciuto, raccogliere dati per le ricerche scientifiche, dall’altro le rigide strutture in metallo rendono molto difficoltose le interazioni tra robot e ambiente.

Quando si pensa ad un robot, probabilmente la prima immagine che viene in mente è quella di un umanoide di ferro, che si sposta a scatti e parla sillabando tutte le parole. In effetti, questa è stata la prima idea di robot nella storia.

L’automa cavaliere, chiamato anche robot di Leonardo, rappresenta il più antico progetto di uomo meccanico mai realizzato, risalente al 1495. Numerosi fogli contengono istruzioni per costruire un’armatura semovente; secondo le ricostruzioni, l’automa doveva essere in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere la mandibola, e probabilmente anche di articolare dei suoni con un sistema di percussioni nel petto. Non è dato sapere se Leonardo Da Vinci realizzò il congegno, ma una perfetta ricostruzione è stata realizzata nel 1996 da Mark Rosheim, un ingegnere americano.

In seguito, macchine umanoidi in grado di eseguire gesti più o meno complessi furono realizzate nel 1700. Tali congegni, però, non erano ancora conosciuti come “robot”, ed erano pensati essenzialmente per l’intrattenimento. L’idea di un essere artificiale in grado di lavorare come un uomo prese forma solo nei successivi due secoli.

Il primo uso dell’appellativo “robot” si deve allo scrittore ceco Karel Čapek, che coniò il termine per il suo dramma teatrale “I robot universali di Rossum“, nel 1920. Il sostantivo robot deriva dal ceco robota, che significa lavoro pesante o lavoro forzato. Čapek, nella sua opera, descriveva la creazione di creature sintetiche, con fattezze umane ma programmate soltanto per lavorare e servire gli umani. Per estensione, si iniziò a definire robot qualunque artefatto meccanico in grado di eseguire un lavoro.

Con l’avvento dell’informatica, è stato possibile creare macchine sempre più sofisticate; è stato allora che sono venute alla luce le prime vere difficoltà: come far muovere un automa nello spazio? E come affinare la manualità di un robot per fargli compiere lavori di precisione? Il corpo umano si regge in piedi grazie a meccanismi di equilibrio molto complessi, che sfruttano il lavoro di muscoli finemente regolati da innumerevoli stimoli nervosi. Riprodurli richiederebbe sforzi enormi da parte dei ricercatori.

Per le attuali macchine semoventi, quindi, si preferisce sfruttare un diverso sistema di locomozione, che minimizza i problemi di equilibrio e permette una maggiore stabilità. In altre parole, più gambe permettono alle macchine di camminare meglio; sono stati messi a punto di conseguenza robot ispirati a granchi, millepiedi e altri artropodi. Parallelamente, anche la ricerca sugli androidi è andata avanti, e ha visto nascere simpatici robottini come ASIMO, in grado di camminare e svolgere mansioni complesse in totale autonomia.

In tempi recenti, però, si è visto che esiste una forma di movimento ancora più efficace: osservando bruchi, serpenti, ma anche meduse e cefalopodi, gli ingegneri hanno cominciato a pensare ad un nuovo tipo di macchina, chiamata “robot molle”. Lo scheletro metallico rigido è stato quindi sostituito da una struttura plastica deformabile, in grado di sostenere il robot e allo stesso tempo di rendere i movimenti estremamente snodati. In questo modo è possibile non solo far strisciare il robot su un terreno accidentato, ma anche dotarlo di un’eccellente sensibilità e precisione nei movimenti.

Uno dei primi progetti in questo campo è stato il polpo robot “Octopus”; una piccola macchina subacquea, dotata di quattro tentacoli morbidi per svolgere varie funzioni. Un’idea tutta italiana, sviluppata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Octopus ha messo in luce l’enorme versatilità della struttura “a polpo” applicata ai robot molli, capace di adattasi alle più diverse funzioni. A partire da questo prototipo, in pochissimi anni, è stato sviluppato un innovativo robot chirurgo a forma di tentacolo, frutto del progetto “Stiff-Flop”; il suo braccio, estremamente flessuoso e preciso, può entrare nel corpo umano aggirando gli organi senza danneggiarli, fino ad arrivare al punto da operare. Proprio come un tentacolo di polpo, nel suo tragitto è in grado di cambiare forma e grado di rigidità, allungandosi e accorciandosi di conseguenza. Stavolta l’invenzione si deve agli sforzi combinati della Scuola Sant’Anna di Pisa e del King’s College di Londra.

I robot molli hanno suscitato molto interesse in ambito clinico e scientifico: non essendo rigidi come le macchine metalliche, possono afferrare e manipolare oggetti con maggiore delicatezza, e posseggono una più ampia libertà di movimento. Oltre che nelle sale operatorie, potranno in futuro essere usati per studi ed esplorazioni sottomarine, o addirittura nelle missioni spaziali.

Per questo motivo il “muscolo 3D” sviluppato dal team di Hod Lipson rappresenta un ulteriore e importante passo avanti. Gli attuali robot molli, infatti, sono sì snodabili, ma richiedono degli apparecchi accessori piuttosto ingombranti per funzionare: alcuni bracci, per esempio, devono essere collegati ad un compressore che gli fa cambiare forma e regola la rigidità.

Il nuovo muscolo invece funziona in modo più pratico; fatto con una speciale matrice di silicone, costellata di microbolle piene di etanolo, può essere azionato con una semplice corrente elettrica. E’ un costrutto meno ingombrante, più forte e più preciso di quelli attualmente in uso.

Secondo Aslan Miriyev, uno dei ricercatori coinvolti ”è il materiale artificiale più vicino a un muscolo naturale mai ottenuto”. Ora il prossimo passo sarà associarlo all’intelligenza artificiale per controllarne il movimento.