SAN BENEDETTO DEL TRONTO – L’ambiente è quello solito, più che raccontato. “Sammenedètte, care bbille mì”: questo si prova osservando il bellissimo documentario di Libero Bizzarri, interamente a colori, girato a San Benedetto nel 1960. Una città colta in un momento in cui la modernità stava dispiegandosi con potenza (i motori al posto del “vota cì“, sostituivano i ragazzi nel girare la ruota dei funai; i motopescherecci al posto di paranze e lancette; gli insediamenti turistici sul lungomare che iniziavano a predominare come simbolo cittadino rispetto alla vita di Sudèntre) anche se soltanto dieci anni dopo il panorama sarebbe completamente mutato.ma non si era ancora compiuta quella frattura che soltanto dieci anni dopo avrebbe completamente mutato il panorama sia fisico che sociale.
Sia fisicamente – basti pensare alle incredibili immagini del Torrente Albula ancora selvaggio e all’assenza di edificazione nella zona di Viale De Gasperi – che socialmente, quando il passaggio tra vecchi e nuovi marenare sarebbe avvenuto con le forti tensioni del decennio che s’andava ad aprire, anziché con la regolarità secolare alla quale si era abituati.
Al di là di quel che oggi rischia di apparire un abusato cliché (e ci riferiamo ad una città e ad una cittadinanza innamorata fin troppo del proprio passato e faticosamente aggrappata al presente, in difficoltà a disegnare il proprio futuro) quando invece, come in questo caso, è puro realismo, le immagini e il commento di Libero Bizzarri hanno avuto il modo di fotografare esattamente cosa era la città in quel periodo: la vita marinara, le rivalità con i contadini, la centralità delle donne non solo nella gestione della famiglia ma anche nel lavoro di raccordo con i marinai (la realizzazioni delle reti da pesca e la commercializzazione del pescato), il fortissimo senso di appartenenza ad una comunità per molti aspetti estranea, culturalmente e storicamente, alle consuetudini del resto del Piceno e marchigiane, proprio a causa di una dedizione all’attività di pesca che formava un contesto altro rispetto all’intorno anche più prossimo.
Ma sono già troppe parole. Oltre al video di YouTube che vi proponiamo, qui un link del documentario presente sul sito di RaiPlay, anche se al momento non è riproducibile.
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Il mercato del pesce con le cassette di legno e l’asta in dialetto: che nostalgia…….il pesce non c’è quasi più come non c’è più il mercatino del pesce in centro come in tutte le città di pescatori, in cambio però abbiamo un bel parcheggio abusivo, come non c’è più il mercato della verdura che è diventato uno spazio per le bancarelle che vendono zucchero filato, mutande, calzini o occhiali falsi per quattro sporchi denari per l’occupazione di spazio pubblico………ma nessuno si vergogna di questo degrado? Giornalisti non dite mai niente? In Italia è difficile che venga affermato il principio della… Leggi il resto »
Se permette quel mercato della verdura era un pugno in un occhio.