SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Chiunque viva in famiglia da un po’ di tempo, avrà sicuramente un armadietto delle medicine eccellentemente fornito: antibiotici, antistaminici e antinfiammatori, di solito, non mancano mai. Per problemi più specifici possono essere anche presenti anticoagulanti, farmaci contro il colesterolo e gastroprotettori.

Una lunga serie di pastiglie, polveri, creme e liquidi appositamente studiata per risolvere qualsiasi malessere e ritornare in forma velocemente. Ormai nessuno può farne a meno, e le industrie farmaceutiche prosperano floride in tutto il mondo. Date queste premesse, può sembrare strano che i nuovi farmaci commercializzati siano sempre meno. Eppure i dati parlano chiaro: mentre nei decenni scorsi venivano approvati circa cinquanta nuovi farmaci all’anno, con l’arrivo del nuovo millennio il numero si è ridotto ad una media di venti.

Il motivo? Principalmente economico. Secondo l’ufficio per la Ricerca e lo Sviluppo dell’Associazione delle Industrie Farmaceutiche, negli USA, la creazione di un nuovo farmaco ha costi elevatissimi: nel duemila erano necessari in media dodici anni, ed un investimento complessivo di 800 milioni di euro, perché un principio farmacologico passasse dal laboratorio di ricerca alla commercializzazione. A pesare sulla cifra sono soprattutto i tentativi inconcludenti, ovvero tutti gli esperimenti che non danno i risultati attesi; solo una molecola ogni mille sintetizzate viene giudicata idonea alla sperimentazione terapeutica, e una percentuale ancora più bassa può essere poi messa in vendita.

Come funziona un farmaco? Il principio attivo di un medicinale è, essenzialmente, una molecola: una molecola appositamente costruita per interagire con un tipo di molecola recettore, e solo quel tipo, all’interno del corpo. Il recettore funziona come un interruttore: se viene legato dal farmaco può attivare un processo metabolico o disattivarlo, a seconda dei casi.

Un organismo complesso come quello umano possiede innumerevoli recettori diversi, ciascuno con le sue funzioni ed interazioni. La difficoltà maggiore, in laboratorio, è proprio quella di creare nuove molecole in grado di riconoscere il recettore voluto.

Il legame farmaco-recettore dipende dalla forma e dalla carica elettrica delle due parti; si immagini una serratura con una calamita all’interno: la chiave sbagliata non entra nella toppa, ma anche la chiave giusta, se è magnetizzata con la stessa carica della calamita, viene respinta. Solo la chiave con forma e carica giusta si incastra perfettamente.

L’approccio migliore sarebbe conoscere la forma della serratura, ovvero del recettore, per modellare la chiave, detta ligando, di conseguenza. Tuttavia, non sempre questo espediente è possibile, perché per risalire alla forma di una molecola sono necessari lunghi e complicati esami. Spesso si tenta allora il processo inverso, ovvero si cerca di imitare una molecola già presente nel corpo che si attacca naturalmente a quel recettore. La molecola originale, di norma, è troppo instabile o difficile da realizzare artificialmente, per questo non viene usata così com’è.

I recettori sono il principale bersaglio dei farmaci, ma non l’unico: lo seguono enzimi ed ormoni, ed in misura minore anche altri tipi di molecole.

Anche conoscendo la forma della molecola bersaglio, oppure il modello del ligando, le difficoltà non si esauriscono; costruire una molecola, infatti, vuol dire mettere insieme una lunga serie di atomi con proprietà fisico-chimiche diverse, che interagendo tra loro danno quasi sempre risultati inaspettati. L’unico modo per creare un composto efficace, dunque, è procedere per tentativi, e migliorare le molecole più promettenti.

Alla fine, con un po’ di fortuna, viene scoperta una molecola denominata composto lead. Questa sarà il prototipo di una serie di farmaci che verranno testati ed ottimizzati, per essere infine venduti a privati ed ospedali.

Un composto lead non deve essere per forza artificiale: molto spesso, degli ottimi principi attivi sono naturalmente prodotti da piante, batteri e funghi. Scoprirli è in questo caso una questione di serendipity, ovvero una fortunata coincidenza favorita da un intelletto capace di capirne l’importanza. Per quanto possa sembrare strano, la serendipity è uno dei cardini della famacologia, tanto da essere perfino insegnato nelle università.

E’ famoso il caso della penicillina, scoperta per caso a partire da una proliferazione di muffe su una coltura batterica.

Meno noto è invece il taxolo. Questo fu estratto per la prima volta nel 1962, dalla corteccia del Taxus brevifolia (una conifera). Si rivelò subito un potente veleno, in grado di inibire la mitosi cellulare. Oggi il taxolo è un composto lead, dal quale sono stati creati il paclitaxel ed il docetaxel, due tra i più importanti agenti antitumorali in commercio.

Perfino le benzodiazepine, tra cui il ben noto Valium, erano inizialmente state create con uno scopo totalmente diverso. Se attualmente sono dei comuni sedativi, lo si deve all’intuito del loro scopritore, Leo Sternbach.

Attualmente, nuovi composti lead sono scoperti con molta difficoltà, ed in loro assenza la ricerca farmacologica progredisce lentamente. Il problema è sentito soprattutto dai grandi colossi farmaceutici degli Stati Uniti, i maggiori produttori mondiali di farmaci, ma è una grave limitazione anche per l’Europa, che vanta una fiorente industria.

Nel mirino della ricerca ci sono soprattutto le malattie croniche degenerative, come l’Alzheimer e le artriti, e le principali patologie mortali dei Paesi sviluppati: malattie coronariche, cancro e AIDS, dato il grandissimo numero di decessi, rappresentano un’assoluta priorità.

Molti composti lead sono potenzialmente nascosti in piante e microorganismi, anche per questo è fondamentale salvaguardare la biodiversità: una risorsa importante, da questo punto di vista, si stanno rivelando le alghe, le spugne ed i batteri marini, ma importanti scoperte potrebbero arrivare anche dalle foreste pluviali.