GROTTAMMARE – Incontriamo la Campionessa di pallavolo Chiara Di Iulio in uno stabilimento di Grottammare, dove si rilassa insieme alla bambina di due mesi avuta dal marito Gianfranco Cameli, ex calciatore della Sambenedettese e ora giocatore nella Seconda Categoria dell’Azzurra Mariner. La schiacciatrice originaria di San Benedetto dei Marsi vive in Riviera delle Palme, ma dopo Ferragosto si sposterà in Toscana, dove ad attenderla c’è una nuova stagione in Serie A1 con Il Bisonte Firenze.

E chissà quanti e quali successi ci sono ancora in serbo per la pallavolista classe 1985, che vanta già una carriera ricca di titoli: con la Pallavolo Sirio Perugia nella stagione 2004-2005 ha vinto lo Scudetto, la Coppa CEV e la Coppa Italia e l’anno successivo la Supercoppa italiana, la Coppa di Lega e la Champions League; nel biennio 2010-2011 ha conquistato nuovamente la Coppa CEV con la Robur Tiboni Urbino Volley, mentre con il Volley Bergamo e con il River Volley Piacenza ha portato a casa altre due Supercoppe italiane, rispettivamente nel 2011-2012 e nel 2014-2015. Ma Chiara Di Iulio ha detto la sua anche nella Nazionale italiana, appendendosi al collo un bronzo ai Giochi del Mediterraneo del 2005 e un oro a quelli del 2013.

Chiara, come hai iniziato a giocare a pallavolo?

“In realtà è avvenuto tutto in maniera naturale. Mia madre giocava a pallavolo da una vita nel mio paese, San Benedetto dei Marsi, mentre mio padre era un calciatore. Ho iniziato sotto casa: per me l’importante era avere un pallone e un muro. Ci ho messo un po’ ad accettare l’invito ad allenarmi in palestra con la squadra locale, perché, come la maggior parte dei ragazzi, non volevo ripercorrere le orme di mia madre. Poi in prima media ho ceduto e sono andata insieme ad una mia amica. Non ho più smesso”.

Se dovessi ripercorrere la tua carriera attraverso le tappe più importanti, quali sarebbero?

“Nella carriera di uno sportivo tutte le tappe sono importanti, sia quelle positive che quelle negative, perché ognuna è uno stimolo per crescere e consolidarsi. La testa per noi atleti è importante: ci permette di diventare professionisti, quindi di fare il salto di qualità, ma anche di trarre insegnamenti da qualsiasi tipo di situazione. Nel mio percorso non ho saltato nemmeno uno step, sono partita dalle qualificazioni provinciali per poi approdare a quelle regionali, muovendo nel frattempo anche i primi passi con la Nazionale giovanile, con cui ho passato tutta l’adolescenza. Il primo grande treno è arrivato con Tortoreto, in Serie A2. A 14 anni ho preso le valigie e mi sono trasferita. Ero giovane, ma avevo già una grande passione. Purtroppo di lì a non molto ho avuto un brutto infortunio alla spalla e dopo essermi ripresa ho giocato un anno in Serie B2 a Montesilvano, passando poi per Vicenza e Padova, fino ad arrivare a Perugia, dove è arrivata la grande pallavolo e ho avuto la fortuna di stare in squadra con giocatrici fenomenali, come per esempio la Aguero, che è la mia preferita di tutti i tempi. E’ stato un anno bellissimo perché abbiamo vinto praticamente tutto. Poi sono andata a Pesaro: una parentesi breve ma estremamente utile per me, poiché ho avuto la possibilità di essere allenata da Zè Roberto e di conoscere dunque l’approccio brasiliano alla pallavolo. Dopodiché ci sono state Forlì, Nocera Umbra e Urbino. In quest’ultima città ho vissuto due annate indimenticabili, sia dal punto di vista del gruppo che delle vittorie. Subito dopo Bergamo, un altro storico club italiano con cui ho avuto belle soddisfazioni, ho deciso di accettare la proposta di giocare in Azerbaijan, una realtà totalmente diversa da quelle presenti nelle altre nazioni europee e devo dire che tutta la mia famiglia, in primis mio marito, mi è stata vicina. Al mio ritorno ho giocato a Piacenza e poi a Modena, dove ho trovato una società eccezionale. Purtroppo siamo uscite in semifinale. Per tutta la stagione 2016-2017 sono stata ferma perché sono diventata mamma, ma tornerò in campo tra qualche mese con Il Bisonte Firenze”.

La tua vittoria più bella?

“La Coppa CEV con Urbino nel 2011, l’unica coppa europea ad entrare in Italia quell’anno. Per me è stata l’annata del cuore, ero Capitana di quella squadra e in finale ho vinto l’MVP (“Most Valuable Player”, ndr). Un risultato che ho davvero sentito, ottenuto con i denti e con gli artigli”.

Come è avvenuto l’incontro con tuo marito, Gianfranco Cameli?

“Ci siamo conosciuti casualmente dodici anni fa a Misano Adriatico, dove io ero andata come personaggio sportivo in un camp. Ci siamo incontrati una sera e da lì è nata una conoscenza, che poi è diventata amicizia e infine amore. E’ successo tutto spontaneamente e le cose sono progredite passo dopo passo. Ci siamo sposati dopo cinque anni che stavamo insieme e stiamo per festeggiare il nostro settimo anniversario. Alla base del nostro rapporto c’è un grande rispetto, sia da un punto di vista personale che sportivo”.

Dove gioca ora tuo marito, che è stato anche un calciatore della Sambenedettese?

“Adesso si diletta con la Seconda Categoria dell’Azzurra Mariner, una società valida, con una bella organizzazione. Per lui il calcio è davvero una passione a tutto tondo”.

Tua sorella e il suo compagno sono dei pallavolisti, giusto?

“Sì, mia sorella Isabella Di Iulio ha 26 anni e ha giocato il suo terzo anno a Pesaro, dove ha conquistato la promozione dalla A2 alla A1. Se tutto va bene la prossima stagione ci sfideremo in Campionato. Il compagno è Cesare Gradi, che gioca a Siena, in Serie A2. Gli unici calciatori della famiglia sono mio marito e mio padre”.

Una panoramica sulla pallavolo italiana.

“Nell’ultimo anno sono stata fuori, mi sono limitata solo a guardare qualche partita maschile. Quello che noto però da qualche stagione è che è molto facile oggi approdare in Serie A1, così come raggiungere altri traguardi, senza dare il giusto valore alle cose. Troppo velocemente capita di ritenere forte una ragazza giovane, quando magari ci sarebbe bisogno di più tempo, tempo che potrebbe essere dedicato al lavoro. Mi sembra infatti che ci sia anche una mancanza di tecnica. Tanta fisicità, che è positivo, ma non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia ha una tradizione tecnica che può fare la differenza. Il fisico può abbandonarti in alcune partite, la tecnica ti consente di non scendere mai sotto una certa soglia e quindi ti permette di non mollare. Un tempo era impensabile una giocatrice con una fisicità imponente ma che non sapesse fare un appoggio, oggi purtroppo c’è anche questo. Bisogna ridare alla Serie A il suo valore: se si entra in Serie A è perché si hanno determinate caratteristiche, non perché c’è una carenza di personale e dunque c’è la necessità di buttare qualcuno nella mischia. Va bene coinvolgere le giovani, ma che queste ragazze siano supportate da un bagaglio tecnico sufficiente. Non si può tradurre una versione di greco se non si è capaci di fare l’analisi logica in italiano, invece si tende a copiare le frasi fatte dal dizionario. Ma regge per poco”.