Raramente una competizione politica estera ha interessato tanto anche gli italiani, ad eccezione, forse, di alcune sfide elettorali negli Stati Uniti. Parliamo del ballottaggio che ha coinvolto i due aspiranti presidenti francesi Emmanuel Macron, di En Marche!, e Marine Le Pen, del Front National.
Tanto si è detto e scritto, tanti hanno preso o meno posizione, schierandosi per l’uno o per l’altra o contro entrambi. Fa discutere soprattutto a sinistra, dove, sulla falsariga di quanto sta avvenendo tra Mélenchon e il Partito Comunista Francese, ci sono reciproche accuse e giustificazioni tra chi non ha ostacolato troppo la candidata di estrema destra Le Pen anche a costo di favorire il banchiere Macron.
La situazione francese, tuttavia, è quasi un unicuum nel panorama politico internazionale. Un rischio che l’Italia ha corso e rischiato di amplificare con il referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre. Le presidenziali francesi rientrano in un sistema istituzionale dove, accanto alla figura monocratica del presidente, vi è, distanziata nel tempo, una separata elezione dell’Assemblea Nazionale. Ciò fa sì che i poteri del presidente trovino una mediazione nel rapporto non contiguo con il parlamento.
Lo scorso 4 dicembre, nel cosiddetto combinato disposto tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale, agli italiani si è chiesto invece di unire le sorti del Presidente del Consiglio, nei fatti presidente nominato dagli italiani, a quelle del Parlamento, eletto in contemporanea e con una maggioranza artificialmente assegnata, fino al 55% dei seggi.
Una delle critiche maggiori poste al sistema immaginato da Renzi e dalla maggioranza di governo, riguardava proprio l’eccesso di poteri assegnati al presidente del consiglio, che tra l’altro nominava buona parte dei deputati dell’unica camera. Ed ecco il caso francese ci fa capire il pericolo scampato (specialmente se l’attuale Parlamento Italiano non dovesse commettere un inammissibile colpo di mano sulla legge elettorale), e la diversa impostazione data alla politica italiana dal voto del 4 dicembre.
Gli italiani insomma non delegheranno un potere assoluto, ma indicheranno i propri rappresentanti parlamentari i quali dovranno mediare l’interesse elettorale manifestato con quello di altre forze. Tutto ciò viene chiamato, da coloro che disprezzano la politica, palude (Matteo Renzi); viene negato come confronto immondo dal M5S, che ancora mira ad una gestione assolutistica della cosa pubblica; e viene ribadito continuamente da quasi tutta la stampa nazionale (oggi, per ultimo, Prodi su Il Messaggero).
Grazie a chi ha votato NO, non si correrà il rischio di una chiamata da fine del mondo. Ogni cittadino potrà votare il partito più vicino alla propria sensibilità e non sarà costretto al ridicolo “Nè/Nè” (Nè con Macron Nè con Le Pen) perché il voto di ognuno è un voto per, sempre utile, sempre propositivo per influenzare un eventuale governo o per testimoniare una opposizione netta. Bisognerà rivendicare quella scelta con orgoglio: è probabile che quel che resta della democrazia italiana sia stato salvato grazie a quella scelta.
Vediamo invece come potrebbero e dovrebbero comportarsi i due – attualmente – principali partiti italiani in caso di incarico alla formazione di un governo.
MOVIMENTO CINQUE STELLE Nel 2013 rifiutarono l’offerta di Bersani, ma c’è da dire che i tempi erano assai diversi. Oggi potrebbero essere il primo partito e dunque avere loro l’opportunità di indicare il Presidente del Consiglio. Ciò li obbligherà – fatti salvi eventi impensabili – a cercare alleanze parlamentari pena l’impossibilità di giungere ad una maggioranza. Si passa dunque da un potere assolutistico, ipotizzato dal Sì al referendum, ad una trasformazione in partito pienamente costituzionale. Vero che ciò comporterà la fine del giochino né di destra né di sinistra: perché il M5S dovrà rivolgersi o a sinistra (Articolo 1 – Sinistra Italiana) o a destra (Fdi – Lega Nord), fino ad ipotizzare persino un accordo col Pd renziano.
Nel caso il M5S non riuscisse o si rifiutasse di formare un governo, fosse il primo partito, difficilmente potrebbe ripresentarsi agli elettori proponendosi ancora come forza di governo.
PARTITO DEMOCRATICO Se Matteo Renzi ottenesse l’incarico a formare un governo, il sistema proporzionale (si spera) lo obbligherebbe a cercare alleanze. Molto dipenderà dai numeri, ma il Pd potrebbe o guardare a destra, formando una coalizione centrista con Alfano e Forza Italia, oppure, eventualmente, rivolgersi alla propria sinistra. Eventualità, quest’ultima, al momento più difficile. Oppure, perché no, potrebbe trovare l’accordo col M5S (tra le due forze antagoniste vi potrebbero essere più punti di contatto che di differenza, nonostante la polemica spesso giocata sulla comunicazione più che negli aspetti concreti). Dovrà, comunque, cercare il confronto e la mediazione, quindi l’ascolto e la condivisione. Non, invece, il “cappotto” pensato mesi fa.
Così tanto pensato che Matteo Renzi non riesce ancora a capacitarsene.+
Macron va al ballottaggio col 23% e noi a casa col 41%
Se penso al ballottaggio in Francia rosico.
Ma andiamo avanti#assembleapd— Matteo Renzi (@matteorenzi) May 7, 2017
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Eccesso di poteri al presidente del consiglio che avrebbe nominato gran parte dei parlamentari?? Se dovete scrivere castronerie simili continuate a occuparvi solo di attualità locale, come fate tra l’altro molto bene e non a disquisire di politica nazionale e internazionale….
Se lei non sa cosa è la castronerie della lista bloccata, tuttora pericolosamente in ballo… 1/3 dei parlamentari di maggioranza erano eletti con lista bloccata e praticamente tutta la minoranza.. .
Gli antirenziani di professione si devono mettere d’accordo: da un lato continuano con questa lamentela stucchevole delle liste bloccate (volute tra l’altro da Berlusconi che ha partecipato alla stesura della legge di riforma elettorale e l’ha pure votata fino a quando ha deciso che fosse un attacco alla democrazia) e dall’altro irridono il PD per le primarie che, almeno nel PD, sarebbero state usate per stabilire i candidati da porre sulle liste bloccate. Tralascio il resto delle castronerie lette anche perché già ben evidenziate da vagnozzi. Dico solo che la Francia senza che nessuno si stracci le vesti per la… Leggi il resto »
E’ quanto scritto nell’articolo (se si sa leggere). In Francia hanno votato un presidente ma A GIUGNO voteranno per l’assemblea. Da noi si combinavano le due elezioni facendo saltare tutti gli equilibri.
Se poi non si è in grado di leggere e si è renziani di professione (magari all’estero privi dei problemi che abbiamo noi indigeni). Stia sereno (senza maglietta gialla però!).
Ma a me sembra che la Francia abbia il secondo turno anche per l’ assemblea mentre da noi il ballottaggio introdotto per le amministrative i è considerato incostituzionale quando si parla di elezioni politiche . Ci ricordiamo quando il sindaco cadeva ad ogni due per tre ? a NOI CE PIACE TANTO IL CAOS CE SE MAGNA MEGLIO !!!
Il ballottaggio per le amministrative non è legge costituzionale e non è stato considerato incostituzionale.
Vero che i sindaci erano sempre sul filo del rasoio, vero che ad esempio nella nostra città è capitato che un sindaco abbia governato per 10 anni soltanto perché nel caso fosse caduto se ne sarebbero andati anche consiglieri e assessori.
Ma quali equilibri sarebbero saltati? Il sistema sarebbe rimasto parlamentare, non sarebbe diventato presidenziale e nemmeno semipresidenziale (come in Francia). Con l’Italicum e con l’abolizione del senato, in Italia il presidente del Consiglio sarebbe ancora stato nominato dal Presidente della repubblica che, tra l’altro, non e’ obbligato da nessuna legge a nominare il capo del partito vincitore delle elezioni politiche. In Francia gli elettori scelgono il capo dell’esecutivo. In Italia, con l’Italicum il partito di maggioranza avrebbe avuto la possibilita’ di governare con una maggioranza omogenea per 5 anni. Ma guarda un po’ che novita’ terribile. Ci lamentiamo in modo… Leggi il resto »
Dai che ce la fai
Le ricordo che non è stata approvata alcuna legge elettorale per il Senato, perché si dava per scontato il Sì al referendum (solo questo è un atto di un dilettantismo unico nella storia italiana). Abbiamo discusso tanto su questi aspetti, per fortuna non sono un pericolo attuale nella politica italiana (perché poi sarebbe stato interessante oggi un M5S col 55% dei seggi nominati e un domani un Salvini col 55%, e “voi” a parlare di rischio per la democrazia…)