SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Vittorio Sgarbi in Caravaggio non delude, sa quel che dice e sa come dirlo. Il suo ingresso in scena alle 21,30 nell’auditorium del PalaRiviera, necessario per consentire l’ingresso del pubblico sebbene l’inizio dello spettacolo fosse previsto per le 21, è preceduto, oltre che da un breve momento musicale di Valentino Corvino, dalle immagini delle morte di Pasolini accompagnate dalla voce di un altro indimenticato, Alberto Moravia, che scorrono su tre schermi allestiti a costituire l’unica scenografia del palcoscenico insieme ad una sedia. Sala del PAlaRiviera molto affollata, anche se non si è registrato (per poco) il tutto esaurito.

Pasolini, un “diverso”, come lo chiamava Moravia, che ha molto a che fare con il grande pittore lombardo morto dopo una vita burrascosa. Se Pasolini è diverso perché ha una differente cultura, sensibilità e sessualità (“che rientrava nella sfera dei fatti privati”) Caravaggio “che è stato omosessuale, bisessuale, trisessuale, è stato tutto” per primo ha raccontato i ragazzi di strada tanto cari allo scrittore romano.

La performance di Sgarbi, divisa in cinque momenti intervallatti da brani musicali interpretati da Valentino Corvino, oltre a raccontare delle opere di Caravaggio, le più controverse, si è fermato anche a parlare di attualità: il matrimonio, le unioni civili, il Papa, Berlusconi, solo per citarne alcuni temi a lui cari.

Ma è quando si riappropria del suo ruolo e racconta la storia dell’arte che il critico dà il meglio di sé: Roberto Longhi è l’anello di congiunzione tra Caravaggio e Pasolini. Professore di Pasolini all’Università di Bologna nel 1939, punterà a riscoprire gli artisti del secolo buio, il Seicento, e metterà in piedi una mostra a Palazzo Reale di Milano nel 1951 proprio su Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio.

Sgarbi ripercorre tutta la vita e la carriera di Caravaggio arrivando anche al periodo più difficile per la sua esistenza, quando, dopo aver ucciso un uomo si rifugerà in Sicilia e cercando di tornare verso Roma troverà la morte.

Lo spettacolo si chiude proprio con la descrizione dell’ultima opera di Caravaggio: “Davide e Golia”, dove si trova anche il suo ultimo autoritratto: qui Golia, che rappresenta il bene, vince su Davide, che rappresenta il male: malgrado ciò Davide non è soddisfatto, non ha un’espressione da vincitore, pèrchè per realizzare il bene ha dovuto compromettersi e uccidere, sporcarsi le mani: una metafora del nostro vivere quotidiano.