Di seguito una lunga intervista al Comitato Ventotene, che dopo la manifestazione di Roma del 25 marzo ha creato non poche discussioni sui social. Successivamente ci riserviamo, in un separato articolo, di confutare alcune affermazioni riportare nelle risposte. Essendo il testo molto lungo, non è il caso di appesantirne ulteriormente la lettura.

La vostra partecipazione alla manifestazione di Roma del 25 marzo ha ottenuto un successo mediatico: sui social le vostre foto con Monti e Fassino e i vostri slogan hanno ottenuto una visibilità notevole, seppur il vostro gruppo fosse numericamente ridotto (mi sembra circa 30 in una foto di gruppo da voi postata, forse 50 in tutto, correggetemi se sbaglio). Ve lo aspettavate?
“Sapevamo che in una manifestazione di pettinati (Gioventù Federalista Europea, se ci stai leggendo, non prenderlo come un insulto, vi vogliamo bene) facendo casino potevamo avere un gran risalto, ma non così tanto. Gli haters rossobruni e i commies da questo punto di vista ci hanno aiutato molto e vogliamo vivamente ringraziarli di questo con un forte abbraccio”.

Il vostro messaggio, apparentemente, è goliardico: mi riferisco a slogan come “Meno pensionati più Europa”, “12 Stelle sul Cremlino: Più Panzer Meno Putin”, “Tre cose sono grandi: l’Europa, il Capitalismo, Allah”, “Europa Hashish Laissez-faire”. Perché avete scelto questa forma di comunicazione? 
“Il nostro messaggio non è (solo) goliardico: ognuno degli slogan ha un chiaro indirizzo politico espresso in forma provocatoria. Europa Hashish Laissez-faire esprime la volontà di avere un’Europa unita, in cui libertà individuali e libertà economiche vadano di pari passo: un’Europa garante – come non può più essere lo Stato nazionale – dello sviluppo, della libertà e dei doveri dell’individuo. Ciò che riscontriamo è la totale assenza di una comunicazione positiva e per i giovani sulle tematiche della libertà e del federalismo europeo: i #VecchiDiMerda (altro slogan con le stesse caratteristiche dei precedenti e che i più si ostinano a non capire), dopo aver distrutto il panorama economico futuro, continuano a reiterare una forma di comunicazione verso i giovani che è stantia dagli anni ‘80, simile ai pensierini della scuola elementare (“L’Europa è bella, l’Europa è buona”).
La mancanza di una comunicazione (con)vincente, specie se condotta da chi è ormai legato a doppio filo al “passato”, ha portato buona parte dell’opinione pubblica a pensare all’Europa delle banche o a temere il pericoloso neoliberismo e uno dei nostri obiettivi è rimediare a tutto ciò. Il Comitato Ventotene si batte per rompere questa egemonia, culturale prima ancora che politica. La strategia che abbiamo scelto coniuga efficacia e sintesi: usiamo i meme perché, a nostro avviso e come dimostrano i fatti di questi giorni, sono l’unica forma di comunicazione in grado di diffondersi rapidamente e fare presa sui giovani (e più ancora di scatenare butthurt vari fra chi ci osteggia)”.

Nel vostro corteo avete inneggiato a favore, tra gli altri, di Mario Monti, Angela Merkel e Mario Draghi: eppure milioni di italiani ed europei vedono in queste tre figure i principali responsabili delle misure di austerità che stanno affamando un continente. Voi siete schierati con loro senza se e senza ma o vi piacerebbe che la Banca Centrale Europea, ad esempio, agisse diversamente, ad esempio destinando il denaro creato dal nulla, oltre che alle banche e alle corporation, anche agli investimenti pubblici, ad esempio per la ricostruzione post-terremoto?
“Ma che denaro creato dal nulla d’Egitto! Stampare nuova moneta ha un costo che si chiama “inflazione”, l’hanno imparato duramente sulla propria pelle paesi come Argentina e Zimbabwe: i primi si sono dovuti inventare il patacòn, i secondi sono passati alla storia come un caso di polverizzazione della moneta. Il primo, per intenderci, è stata la Germania del primo dopoguerra: ve le ricordate le foto dei tedeschi che buttavano pacchi di marchi nel fuoco per scaldarsi? In più, la Banca centrale Europea non ha per niente diritto di decidere come e dove destinare i fondi, a farlo sono i singoli Stati. Non confondiamo questo con l’obbligo, da noi liberamente e democraticamente sottoscritto, di sottostare a dei vincoli di bilancio per ridurre il nostro mostruoso debito. Vincoli che abbiamo sottoscritto perché, giustamente, abbiamo valutato che la nostra adesione all’euro avrebbe fruttato sul lungo periodo in termini di riduzione del tasso di interesse sul debito e in termini di stabilità della valuta, dunque del nostro sistema economico. Possiamo essere d’accordo sul definire cura da cavallo quella imposta alla Grecia, ma i problemi dell’Italia (e della Grecia) non sono nati con l’euro: corruzione, malagestione di fondi, scarsa produttività, welfare pessimamente redistribuito tra fasce d’età e zone geografiche, per non parlare delle vere e proprie truffe che avvengono ai danni dello Stato, dai falsi invalidi alle fatturazioni gonfiate… sono tutti problemi che esistevano già da prima e che ignoravamo bellamente. L’euro ha soltanto messo ancor più in evidenza questa situazione”.

Vi chiamate Comitato Ventotene richiamandovi chiaramente al Manifesto di Ventotene di Spinelli e Rossi. Quando siete sorti e chi sono i fondatori e gli animatori del vostro gruppo? In che modo siete organizzati e diffusi in Italia? Oltre la pagina Facebook (link) è possibile contattarvi in altro modo?

“Siamo nati dalla community online della pagina Tecnocrazia e libertà. Siamo variamente composti da studenti, disoccupati, lavoratori (precari e stabili, in Italia e all’estero) che hanno voglia di impiegare del tempo libero facendo del bene. Molti di noi facevano o fanno volontariato per varie associazioni, quindi spenderci in questo tipo di attività ci è risultato naturale. Avevamo notato dai report dell’Eurobarometro che molti italiani si sentono poco informati sui temi europei e abbiamo pensato che fosse un’opportunità per fare qualcosa di interessante. Per questo motivo, ci siamo trovati il 5 gennaio 2016 a Bologna per organizzare lo stile comunicativo e le attività che avremmo svolto. Da quell’incontro di Bologna di dieci persone siamo cresciuti. Oggi il nucleo compatto è di 40 persone, con una bellissima community molto attiva di oltre 500 persone selezionate e la prospettiva di passare a una vera e propria forma associativa. Copriamo per bene le principali regioni italiane con un’organizzazione di tipo fortemente orizzontale. Potete contattarci al nostro indirizzo mail staffventotene@gmail.com“.

Prima della manifestazione romana quali sono state le vostre attività?
“Principalmente conferenze. L’anno scorso abbiamo organizzato sei conferenze su temi come i fondi europei all’agricoltura, il Ttip, la rappresentanza dei Millennials nelle istituzioni, la gestione dei rifiuti nella “terra dei fuochi”, il ruolo e le funzioni della Guardia costiera europea, eccetera. Non abbiamo preclusioni sulle opinioni: abbiamo invitato tante tipologie differenti di persone dagli ufficiali della Marina agli europarlamentari, dagli iscritti ai Giovani Democratici a quelli di Fare! Con Tosi. Nel futuro ci piacerebbe ospitare anche gli europarlamentari del Movimento Cinque Stelle, che all’Europarlamento fanno l’esatto opposto di quello che fanno in Italia, o di Forza Italia, come Lara Comi”.

Quali sono le spese che sostenete e in che modo vi finanziate? (sempre che spese ci siano state fino ad ora).

“Più volte, in un modo o nell’altro, ci è stato chiesto (o urlato in faccia) Chi vi paga?. Anche se la verità è che ci autofinanziamo totalmente tramite piccole collette, tra di noi la tentazione di rispondere con una lista dei nemici del popolo è sempre alta: Draghi, Soros, Bruxelles, Rockefeller, Monti, il Pd, la Merkel, le banche e, ovviamente, qualunque tipo di potere forte a cui abbiamo inneggiato durante la manifestazione”.

Siete tutti molto giovani: siete studenti o lavoratori? Sarebbe interessante sapere quali università frequentate, il tipo di lavoro che svolgete, la condizione economica delle vostre famiglie di provenienza. Insomma: “quanti soldi avete in tasca” (scusate l’ironia) e se avete avuto una percezione reale della crisi economica indotta, oppure no. I vostri coetanei, negli ultimi anni in particolar modo con l’avvento delle politiche di austerità più dure (dopo il 2011) stanno emigrando a decine di migliaia ogni anno. Eppure siete stati protagonisti anche di un “party dell’austerità” a Milano. Desiderate davvero l’applicazione del Fiscal Compact?

“Siamo tutti mantenuti dalle pensioni dei nostri nonni, no? Non è quanto avete scritto? Gli amici rossobruni invece sono convinti che siamo tutti fancazzisti mantenuti da Soros o dal Pd o da chissà chi, che frequentano tutti università privatissime e si danno agli apericena con le ragazzine dell’Erasmus. E invece, in vero, nel Comitato Ventotene c’è un po’ di tutto: lavoratori (stabili, ma soprattutto precari), studenti universitari che si mantengono lavorando e altri aiutati dai genitori, ragazzi delle superiori, coppie sposate, disoccupati, liberi professionisti… tutte persone che la crisi l’hanno subita e l’hanno passata con qualche ammaccatura. Considerando la quantità di insulti e attacchi personali che già si è scatenata senza alcun motivo (o meglio, a causa delle nostre idee), preferiamo non mettere in piazza la nostra dichiarazione dei redditi, ma una cosa possiamo dirla: l’unica cosa che forse manca davvero nel nostro gruppo sono i mantenuti con la paghetta della nonna. Ci dispiace deludere i nostri hater, ma è così.
Quanto al Fiscal compact, siamo più che altro favorevoli a una rimodulazione della spesa pubblica, che contenga un impegno serio per la riduzione del debito, il macigno che la nostra generazione si porta legato alle caviglie, tanto grande quanto sono gli interessi che ancora dobbiamo pagarci sopra. Siamo ormai coscienti che toccherà a noi fare i sacrifici necessari per lasciare un mondo migliore a chi verrà dopo di noi. D’altronde, sappiamo molto bene che la logica del tutto e subito, che noi rifiutiamo, è stata proprio quella che ha portato le passate generazioni a far pagare a noi tutto e subito il costo delle loro scelte.
Comunque ci piace molto il paternalismo malamente dissimulato di queste domande. Stupisce tanto che l’idea di un’Europa federale e democratica possa piacere anche ai non laureati o ai disoccupati? Stupisce tanto che la responsabilità fiscale sia un tema che possa essere condiviso anche da chi è in cerca di lavoro? La via dell’emigrazione l’hanno sperimentata anche alcuni di noi che partecipano dal resto d’Europa, e sono quelli che forse invocano di più la responsabilità fiscale e le riforme in Italia. All’austerity party non c’eravamo, ma ci è piaciuta l’idea, magari collaboreremo per farne altri. Lo faremo anche per vedere saltare dalla sedia qualche altro indignato paternalista, che parla ai giovani d’oggi “che non hanno più valori”. Che poi, quali valori? Quelli di chi predica la tutela della famiglia e poi divorzia? Di chi tuona contro le droghe e si fa poi beccare ai festini coca e mignotte? Di chi urla contro l’Europa cattiva con le tasche piene di rimborsi dell’Europarlamento? Meglio la goliardia di un austerity party, a questo punto”.

Unione Fiscale Adesso è un vostro slogan. Posto che l’Unione Europea diventi Stati Uniti d’Europa occorrerebbe a quel punto gestire un bilancio in comune. Ciò significherebbe, in estrema sintesi: applicare lo stesso tasso di interesse ai titoli di stato della Germania e della Grecia; far crescere il bilancio dell’Unione dall’attuale 1% del Pil a circa il 24% degli Stati Uniti https://keynesblog.com/2012/03/20/altro-che-europa-federale-il-peso-dellunione-europea-e-solo-l1-del-pil-e-tende-a-calare/. Ciò significherebbe, ad esempio, che la Germania, da circa 12 miliardi annuali destinati alla Ue (http://it.ibtimes.com/bilancio-europeo-ecco-chi-spende-e-chi-riceve-di-piu-dalleuropa-1328138) dovrebbe destinarne circa 24 volte tanto. Secondo voi Angela Merkel è d’accordo sui bond comuni e sui trasferimenti fiscali in stile Stati Uniti? Se ciò non fosse accettato (come non lo è stato fino ad ora) inneggereste ancora al suo nome anche se evidentemente contraria agli U.S.E? In che modo pensate di convincere la Germania alla solidarietà se non si riesce a farle rispettare neanche i limiti del surplus commerciale?
“Sicuramente federazione significherebbe far svolgere determinate funzioni a livello centrale, tra cui la difesa, gli esteri, la giustizia, la sicurezza. Significherebbe anche avere un governo più chiaramente rappresentativo dell’elettorato europeo e più politicamente responsabile delle proprie azioni. Questo potrebbe essere uno Stato. La definizione di Stato federale non incorpora necessariamente una spesa pari al 24% del Pil o altra percentuale come minima. Non è vero che servano giganteschi trasferimenti di moneta per far funzionare un’unione monetaria, se è questo il motivo della domanda (tanto per fare un esempio, l’unione monetaria statunitense funzionava anche quando la spesa federale era inferiore al 10% del Pil, come nel 1899 quando era al 3,6%); non è una questione di numeri o percentuali, ma di processi e di regole: le regole per gestire insieme difesa, esteri, sicurezza, giustizia, fisco, eccetera devono essere uguali per tutti.
Questo significa anche armonizzare le troppe differenze che esistono tra i 27 sistemi esistenti, mantenendo comunque la flessibilità tipica della federazione di Stati, e garantire un bilancio europeo sufficiente a gestire questi processi. Sufficiente qui non significa appena sufficiente o striminzito; quale dimensione assumerà il bilancio federale sarà anche determinato dall’aggregazione delle preferenze in una democrazia compiuta. L’Europa è fatta di molte idee e di molte voci. Siamo convinti che, in ogni caso, un vero governo federale, supportato da una Costituzione che accentri determinati poteri, sarebbe molto più efficace e capace di placare il conflitto sui saldi di bilancio rispetto all’attuale Commissione a 27.
Per quanto riguarda il surplus commerciale della Germania, non riteniamo che la solidarietà si eserciti tramite la bilancia commerciale, il quale saldo non può e non deve essere stabilito arbitrariamente dai governi. Poi, per ora la regola c’è, ma se farla applicare vuol dire far spendere a uno Stato più di quanto consentito dal patto fiscale, allora meglio lasciar perdere. Tra gli obiettivi confliggenti, scegliamo quello che deve effettivamente essere sotto il controllo dello Stato. Se anche la bilancia commerciale fosse tra i problemi principali (e non lo è), l’Italia non avrebbe molto da lamentarsi col suo surplus commerciale crescente”.

Avete contatti con altre associazioni, partiti, gruppi culturali?“Dipende da cosa si intende per contatti: non siamo emanazione di nessun partito, gruppo culturale o organizzazione. Ognuno di noi ha simpatie politiche o culturali personali che possono o meno essere condivise nel Comitato. Il Comitato non segue ideologie e fa fatica a riconoscersi nei tradizionali schemi di inquadramento politico, anche perché hanno perso molto del loro significato. Di sicuro non viviamo fuori dal mondo, al seguito di un qualche guru improvvisato che si inventa improbabili sistemi per fare soldi senza lavorare e produrre oppure chiusi nella nostra cameretta a condividere stronzate sugli immigrati per racimolare qualche centesimo da Google AdSense. Abbiamo invece tanta voglia di calarci nella realtà senza pregiudizi, parlando, analizzando, discutendo e poi trovando il coraggio di seguire anche la decisione più difficile, purché sia quella giusta. Per organizzare convegni collaboriamo spesso con associazioni e individui radicati sul territorio a seconda dei temi che trattiamo. Parliamo e collaboriamo con tutti se crediamo che il tema sia interessante”.

Vi dà dato il merito di non ricorrere alla demagogia in fatto di bilancio pubblico: molti partiti, ad esempio, illudono i cittadini che il “denaro” si ricavi dal taglio dei costi della politica o dall’eterna campagna sull’evasione fiscale o al taglio degli sprechi (non che ciò non vada perseguito). Se tuttavia siete a favore del pareggio di bilancio e quindi della riduzione ulteriore del deficit, lo slogan “Meno Pensionati” si traduce in un ulteriore innalzamento dell’età lavorativa. Voi siete pronti a lavorare fino a 70 anni e oltre? Proponete dunque un taglio alle pensioni attuali? Di quanto? Un esempio pratico: come agireste su un settantacinquenne che attualmente gode di una pensione di mille euro al mese? La portereste a 900-800…?

Siamo pienamente d’accordo con Carlo Cottarelli quando parla di insostenibile leggerezza dei costi della politica: non è un tema che ci piace, perché produce risparmi irrisori, a differenza di altre voci della spesa pubblica italiana. Stesso dicasi per la lotta all’evasione, che produce generalmente introiti una tantum e non strutturali. Il taglio degli sprechi, invece, è un tema che ci sta molto a cuore e che crediamo sia tutto fuorché secondario o, peggio ancora, “populista”. Il vero problema è che questi tagli non vengono mai fatti: la relazione annuale del Gimbe, ad esempio, stima gli sprechi nella sanità pubblica attorno ai 25 miliardi di euro, che – per quanto il metodo si rifaccia a modelli basati sul sistema americano e per quanto sia un dato in linea con la media Ocse – potrebbero essere reinvestiti per una maggiore efficienza del servizio. Magari si potrebbe puntare sull’aiutare le regioni del Sud a migliorare le proprie strutture ospedaliere o a generare poli di eccellenza, in particolare la Campania, la Calabria o la Puglia che sono le principali “esportatrici nette” di pazienti, ossia le regioni che in assoluto pagano di più le prestazioni ospedaliere delle altre regioni (tipo Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), perché le persone si fanno curare altrove e non nella propria regione.
Venendo al tema caldo, la spesa pensionistica, considerando solo le pensioni di anzianità e di reversibilità, è attorno 230 miliardi: quasi un terzo della spesa primaria italiana, una cifra nettamente superiore alla media Ocse. Nessuna manovra finanziaria può cambiare realmente questo Paese senza affrontare una rimodulazione (di cui abbiamo tremendamente bisogno) di questo aggregato di spesa. La legge Fornero, per ridurre gli incrementi previsti e non far lievitare quindi ulteriormente la spesa pubblica, è intervenuta innalzando improvvisamente l’età pensionabile perché era l’unica soluzione di breve periodo da mettere in atto. Poi però va anche detto che di innalzare l’età pensionabile a 65 anni se ne parlava già nel 1992, che l’Unione Europea ci aveva già avvisato da almeno dieci anni di uniformare il limite di uscita per uomini e donne, prima di imporcelo definitivamente nel 2011, e che la riforma Sacconi aveva già legato l’età pensionabile all’aspettativa di vita nel 2010-2011. L’ex ministro Fornero non ha fatto altro che anticipare il termine già previsto del 2013, purtroppo generando il fenomeno degli esodati (categoria che poi stampa e sindacati hanno avuto buon gioco ad allargare, a uso e consumo proprio, a chiunque superasse una certa età e fosse disoccupato).

Non sappiamo quindi fino a quanto innalzeremmo l’età pensionabile, anche perché questa decisione dovrà tenere conto di altre questioni, come l’ulteriore aumento dell’aspettativa di vita, il progresso tecnologico e l’impatto di questi due fattori sul mondo del lavoro. Ci sembra giusto che questa sia legata all’aspettativa di vita alla data del pensionamento, come già è, e che l’assegno venga calcolato esclusivamente in funzione dei contributi che sono stati effettivamente versati nella propria vita lavorativa. Con il metodo contributivo, chiunque può andare in pensione anche anticipatamente, sostenendone esso stesso i costi: la libertà si manifesta anche nella scelta e le scelte comportano assunzioni di responsabilità.
Una misura di medio periodo invece può essere quella di intervenire sul costo delle pensioni che vengono già erogate. Anche qui, intervenire sulle sole “pensioni d’oro” è inutile, perché i risparmi sarebbero irrisori (spendiamo 112 miliardi lordi per le pensioni fino a 1.500 € e altri 98 miliardi per quelle fino a 2.500 €, ovvero per le prime due classi scaglionate dall’Inps). Dove si può invece intervenire è sull’85% di pensioni che viene erogato col sistema retributivo, e più precisamente sul differenziale tra il calcolo retributivo o misto e quello contributivo. Tito Boeri, nel 2015, ha stimato questo differenziale in una somma pari a 46 miliardi e ha perfino timidamente proposto una tassazione pari al 30% su questa differenza. Parlando in numeri, ponendo che un pensionato prenda 1000 € al mese in regime retributivo o misto e che il suo differenziale sia di 100 €, gli verrebbe decurtata la pensione di soli 30€ al mese. Non è il massimo della vita vedersi tolti dei soldi, è vero, ma l’alternativa è continuare a perpetrare un sistema dove gli anziani prendono più di quanto dovrebbero e un giovane meno di quanto potrebbe. Crediamo, sempre tenendo l’equità intergenerazionale come obiettivo, che questo debba essere solo il primo passo di un’armonizzazione totale, scandita nel tempo, del sistema verso il metodo contributivo.
Come usare questi soldi è tutto un altro capitolo. Per quanto ci riguarda dovrebbero essere investiti in un migliore sistema di istruzione e formazione (anche perché spendiamo davvero poco e davvero male), per finanziare gli ammortizzatori sociali necessari ad alleviare questo passaggio di sistema, ma soprattutto per ridurre le imposte sul lavoro, ridistribuendo di fatto le risorse in favore di chi è in età lavorativa. Ecco, discutiamo di cosa fare con 46 miliardi, non se sia giusto o meno riprenderceli, perché lo è”.

Siete consapevoli che il famoso “debito pubblico” italiano è aumentato non a causa della spesa pubblica eccessiva (che a livello primario non c’è stato a confronto con gli altri paesi europei) ma a causa dell’entrata nello Sme nel 1979 e conseguente perdita del controllo del tasso di interesse?

“Questo è il un solito luogo comune. La perdita del controllo del tasso di interesse da parte della politica è avvenuto in tutto il mondo occidentale (Stati Uniti compresi), perché ci si è resi conto che i politici avevano interesse a creare più inflazione di quanto possono permettersi, per dare l’illusione di una crescita temporanea in periodo di elezioni. Pertanto, la politica ha scelto di legarsi le mani, un po’ come Ulisse che si fece legare all’albero della nave mentre passavano fra le sirene incantatrici, sapendo che avrebbe potuto cedere al loro canto. È una cessione di sovranità? Sì, ma che risale al necessario e giustissimo divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, fatto per il bene dei cittadini e per tutelare la crescita del Paese dalle velleità di rielezione dei politici.
Poi, l’argomentazione, oggi molto di moda, sull’avanzo primario come indice di rigore fiscale, sembra fondarsi sull’assunto non si deve tenere conto degli interessi sul debito quando si decide la politica di bilancio. Gli interessi si pagano e si devono comunque pagare: rimanere in deficit perché scegliamo di non pagarli non è affatto una buona disciplina di bilancio. Anzi, se si fosse ottenuto il pareggio totale (e non solo primario) molti anni fa, proseguendo e non interrompendo l’operazione di taglio del debito iniziata negli anni ’90, l’ammontare attuale degli interessi sarebbe stato minore e avremmo più risorse da investire, per la crescita o per la perequazione.

Cosa pensate rispetto chi afferma che l’euro è per il Nord Europa una moneta svalutata rispetto al reale valore dell’economia favorendo così le esportazioni in Sud Europa?
“Sfatiamo anche quest’altro mito: la svalutazione consente di guadagnare in termini di competitività con l’estero e di ridurre l’indebitamento statale, è vero, ma al terrificante costo di svalutare i salari reali, ossia di incidere sul potere d’acquisto delle famiglie e dei singoli. Non solo: svalutare frequentemente ci farebbe perdere credibilità come Paese dove poter investire. Tutti gli economisti concordano sul fatto che l’Italia ha un disperato bisogno di investimenti dall’estero, che non arrivano perché il sistema è ingessato. Gli investitori stranieri non sono affatto vampiri assetati di sangue, come piace credere a coloro che blaterano di “sovranità”, sono persone che scelgono di investire i propri soldi in opportunità di crescita e sviluppo in altri Paesi, come il nostro. E tenete conto che quando siamo noi ad acquistare titoli di debito di altri Paesi, gli “investitori stranieri” siamo noi e che noi ci comporteremmo, giustamente, facendo le stesse identiche considerazioni.

Se, in aggiunta ai nostri noti problemi di produttività, competitività, leggi e leggine anti-mercato e giustizia che non funziona, ci mettessimo pure a svalutare in continuazione, dall’estero non investirebbero nemmeno pregando in ginocchio. A quel punto, la maggior parte degli investimenti e del rischio se la dovrebbero accollare i risparmiatori italiani. Questa è la sovranità che vogliamo? Siamo sicuri di aver capito che “sovranità” fa rima anche con “totale responsabilità”?”