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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Qualche tempo fa, mi è capitato di provare questo avvenieristico marchingegno chiamato visore VR. Oltre quattrocento euro di mascherina nera, provvista di cuffie, dall’aspetto non proprio gradevole. Eppure, una volta indossata, questa brutta mascherina trasporta letteralmente in un altro mondo. Guerre spaziali, città da esplorare, case infestate, abissi marini, tutto vissuto in prima persona, in una nuova dimensione che trasforma il giocatore in protagonista. La realtà virtuale, ormai, non è più fantascienza.

L’idea di un mondo artificiale in cui muoversi ed interagire è da tempo consolidata nell’immaginario collettivo, al punto che era presente perfino prima dell’avvento dei computer digitali. Già nel 1962, il regista americano Morton Heilig brevettò Sensorama, il primissimo macchinario che avrebbe permesso di interagire con i film attraverso quattro sensi: oltre a vedere e sentire il lungometraggio, insomma, lo spettatore avrebbe potuto toccare e annusare la scena. Il progetto, però, non fu mai commercializzato.

Negli anni successivi cominciarono a comparire i primi visori per la realtà virtuale, antenati di quelli odierni, ma le ricostruzioni erano poco realistiche, la profondità scarsa, e la tecnologia di quegli anni non permetteva una migliore qualità dell’immagine. Inoltre, l’assenza delle microcomponenti elettroniche rendeva gli apparecchi incredibilmente pesanti, tanto che era quasi impossibile sorreggerli sulla testa.

Fino al 2010, il più leggero modello di visore virtuale in commercio pesava ben mezzo chilo.

Ma è stato proprio in quell’anno che è avvenuta, finalmente, una svolta. In un anonimo garage della California, l’allora diciassettenne Palmer Luckey riuscì a creare il prototipo PR1, il capostipite di una nuova generazione di congegni per la realtà virtuale. PR1 aveva un campo di visione di 90°, una buona risoluzione dell’immagine, ed era sufficientemente leggero da essere indossato senza fatica. Era esattamente la rivoluzione tecnica che l’industria stava aspettando.

Dal 2010 in poi, PR1 è stato finanziato, migliorato, riproposto, preso a modello per tutti i visori VR attualmente in commercio. Dopo un primo finanziamento di 2,4 milioni di dollari, raccolti tramite crowfunding sulla piattaforma Kickstarter, nel 2014 il brevetto è stato comprato da Facebook per 3 miliardi di dollari. Da allora, Luckey è diventato uno degli imprenditori under 40 più ricchi del pianeta.

I visori odierni, sebbene non siano ancora perfetti, possiedono grafiche eccellenti, e permettono di interagire con le immagini anche attraverso le proprie mani. Il principale problema da risolvere, per ora, rimane il prezzo, che parte da circa trecento dollari.

Come funziona un visore VR? Il visore, essenzialmente, serve a proiettare immagini interattive, e viene comunemente collegato ad una consolle o un pc che fornisce i programmi. Diversi modelli hanno funzioni e collegamenti differenti.

Per un’esperienza di gioco, per esempio, si può sfruttare il Play Station VR, associato all’omonimo apparecchio, che fornisce una visione tridimensionale a 360°. Il sistema di lenti, leggermente sfalsate da un occhio all’altro, restituisce una convincente profondità; rispetto ai primi modelli del 2014, è sensibilmente migliorata la risoluzione, che ora non dà più nausea né giramenti di testa.

Grazie a sensori infrarossi, collegati ad una telecamera posta davanti al giocatore, è in grado di percepire i movimenti della testa e di replicarli nel gioco, cosicché è possibile guardare in tutte le direzioni. Movimenti netti possono far compiere azioni come saltare, prendere oggetti e lanciarli. Si tratta di una strategia per massimizzare l’effetto del movimento, la maggior parte dei comandi è ancora affidata al joystick. Presto però anche questo sparirà, sostituito da nuovi cursori da applicare alle mani, i quali sono già in vendita.

I videogiochi, per quanto emozionanti, sono l’applicazione meno importante della nuova tecnologia virtuale. La vera rivoluzione consiste nel poter interagire attivamente con un ambiente artificiale, con sbocchi pressoché illimitati: un liceo della Repubblica Ceca ha già sperimentato con successo un ciclo di lezioni con visori RV. Mentre il professore spiegava il funzionamento del cervello, gli alunni avevano un perfetto modello a grandezza naturale davanti agli occhi, da far girare, ingrandire, di cui osservare gli impulsi elettrici e le componenti microscopiche in 3D. Lo stesso principio più essere applicato alla storia, con veri e propri film di guerra, all’elettronica, con simulazioni di montaggio di componenti, e a quasi tutte le altre materie.

Eppure, questo non esaurisce ancora le funzioni del visore VR. Fin qui si è parlato essenzialmente di realtà virtuale; esistono, invece, altre modalità di interazione, che includono anche l’ambiente reale.

Realtà virtuale, realtà aumentata e realtà mista: sono i tre modelli principali, usati da tutti i visori. La realtà virtuale, di cui si è già parlato, è la forma più immersiva, si basa su un universo artificiale che esclude completamente la realtà. Con occhiali chiusi abbinati a cuffie, al momento è usato soprattutto per i videogiochi.

Diverso è il caso della realtà aumentata, che qualche mese fa è diventata argomento di conversazione grazie a Pokemon Go. In questo caso lo schermo, che può essere un cellulare o la lente di un occhiale, permette di vedere il mondo reale, aggiungendovi però degli elementi virtuali in sovraimpressione.

L’ultima trovata tecnologica però, il progetto che probabilmente guiderà le innovazioni del prossimo futuro, è la realtà mista, o merged reality. Similmente alla realtà aumentata, è caratterizzata dalla sovrapposizione di elementi reali e virtuali. La differenza è che, mentre nella realtà aumentata si possono muovere solo gli oggetti ricostruiti, la merged reality permette di spostare e comporre virtualmente sia gli oggetti reali che quelli artificiali.

Nel 2016, la società Intel ha presentato Project Alloy, il nuovo visore a realtà mista. Questo sarà in commercio a breve, forse entro il 2017, e diventerà un grande sostegno per il lavoro di ingegneri, ricercatori e professionisti vari.

La corsa alla realtà virtuale non si fermerà certo qui. Sempre più visori compariranno in aziende, scuole e case private, creando una piattaforma con cui interagire non solo con oggetti, ma anche con persone reali. Alla fine, probabilmente, lo stesso internet diventerà un universo tridimensionale, dove muoversi, giocare, chattare con gli amici e lavorare, proprio come se ci si trovasse in una sconfinata città cibernetica.

Se questo porterà l’umanità a vivere come in Futurama o in Matrix, non ci è ancora dato sapere.