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Psicosi! Allarme! Corsa ai vaccini! Sono le parole più comunemente associate ai nuovi casi di meningite che si stanno verificando in Italia. Dopo l’aviaria e l’influenza suina, questa potrebbe diventare la nuova pandemia del 2017. E come tutte le altre volte, si tratta di una paura eccessiva, gonfiata a dismisura da televisione e internet.

Questa particolare infiammazione, infatti, è davvero difficile da contrarre: colpisce grossomodo mille italiani l’anno, e solo in qualche caso degenera in forme fulminanti spesso letali. Medici e ricercatori rassicurano inoltre che, nel 2016, i casi non sono aumentati rispetto alla norma, e quindi non c’è nessuna epidemia in corso. La meningite è una realtà presente da tempo a livello nazionale, e, sebbene la malattia sia molto grave, una cura tempestiva abbassa drasticamente la probabilità di decesso.

In realtà, parlare della meningite come di una singola patologia è errato: l’infiammazione delle meningi del sistema nervoso centrale, infatti, è più che altro un sintomo, e può essere provocata da diversi tipi di infezione.

Un’infezione, di solito, si manifesta quando un organismo estraneo entra all’interno del corpo, e provoca una risposta immunitaria: “l’intruso” può essere un batterio, un virus, un fungo microscopico, un parassita. In base al numero di microorganismi infettanti, e alla porzione dell’organismo che viene attaccata, si hanno i sintomi delle varie malattie.

Ebbene, il termine “meningite” indica che uno di questi corpuscoli si è insediato nelle meningi del cervello, ed è in attiva proliferazione.

Le meningi sono un insieme di tre membrane, che proteggono encefalo e midollo spinale dagli urti e dagli agenti dannosi. Disposte come foglietti al di sotto delle ossa, sono stratificate in duramadre, aracnoide e piamadre. Normalmente, questi foglietti sono efficienti nel garantire che nessun patogeno raggiunga il cervello, per questo i casi di meningite sono molto rari. Tuttavia, in alcune condizioni particolari, alcune specie possono attraversare la barriera ematoencefalica, ed insediarsi in loco.

I batteri, per esempio, raggiungono le meningi tramite il flusso sanguigno, oppure passando attraverso la cavità nasale o la pelle. La ferita provocata da un trauma cranico è una via di accesso preferenziale. Una volta che un batterio, un virus, o un parassita generico è entrato nelle meningi, il corpo scatena immediatamente una massiccia risposta immunitaria, con conseguente infiammazione della membrana.

Nello specifico, le cellule addette alla difesa nel sistema nervoso centrale, ovvero gli astrociti e la microglia, rilasciano grandi quantità di citochine, molecole addette al reclutamento di altre cellule immunitarie. La reazione immunitaria che si genera può avere effetti devastanti sull’organismo, non solo a livello cerebrale, ma anche nel resto del corpo. Una reazione comune alla meningite, infatti, è un’alterazione della pressione sanguigna; nei casi più gravi, il cervello non riceve più una sufficiente quantità di sangue ossigenato, ed il paziente muore.

In altri contesti, per fortuna non frequenti, l’infiammazione è talmente estesa che il sangue, per azione delle cellule immunitarie, forma coaguli in tutto il corpo. Questa condizione è definita sepsi, ed è la complicazione più grave. I coaguli, che si presentano come grumi rossastri di grandezza variabile, sono come mine vaganti, perché possono tappare le arterie, privando di sangue alcune parti del corpo. Gli organi ed i tessuti non irrorati vanno rapidamente in cancrena, rendendo necessaria l’asportazione. La cancrena può interessare braccia e gambe, organi come cuore, fegato, reni, e anche i nervi che controllano vista, udito e movimento. Sono stati documentati casi anche famosi di persone che, dopo aver contratto la meningite con sepsi, ne sono uscite gravemente menomate.

Come già detto, esistono diversi microorganismi in grado di provocare la patologia. Quelli di maggiore interesse, attualmente, sono tre categorie di batteri: il meningococco, lo pneumococco e l’Haemophilus influenzae di tipo B. L’introduzione del vaccino contro pneumococco e H. influenzae ha ridotto moltissimo il numero di contagi, lasciando quindi il primato al meningococco.

Questo batterio, solitamente, non è pericoloso: si insedia comunemente nelle cavità nasali e nella gola, e si trasmette attraverso la respirazione, senza però provocare alcun sintomo. Si stima che fino al 30% degli italiani potrebbero essere portatori sani del patogeno. E’ probabile che nelle regioni dove il meningococco è presente, la maggior parte della popolazione abbia sviluppato una resistenza naturale.

Il batterio, però, diventa aggressivo quando infetta individui non adeguatamente immunizzati. E’ il caso, per esempio, di bambini piccoli, ma anche di adolescenti e giovani adulti che non sono mai stati a contatto con il meningococco. Il rischio di contagio diventa più alto, quindi, quando molti giovanissimi provenienti da zone differenti si riuniscono in ambienti chiusi. Si pensi ai militari in caserma, o meglio, agli studenti universitari nei campus. Non è strano che molti dei casi comparsi al telegiornale riguardavano, appunto, universitari.

Queste informazioni non devono allarmare: la meningite, come già detto, è una malattia rara, almeno in Italia. Il livello di igiene nazionale, unito all’efficacia dei farmaci, rende molto basso il pericolo di contagio, e ancora minore la probabilità di morte. Comunque, per abbassare ulteriormente i rischi, sono disponibili vaccini ad ampia copertura contro il meningococco, oltre a quelli già menzionati per lo pneumococco e l’H. influenzae.

Si raccomanda di vaccinare soprattutto i bambini in tenera età, cosa che è già prevista in molte regioni. Recentemente, in Toscana e Lombardia è disponibile un ulteriore vaccino contro il meningococco di tipo C, rivolto sia ai bambini che agli adulti.

Per qualsiasi dubbio, è bene non dare troppo credito alle informazioni sui grandi canali di comunicazione, perché spesso si tratta di notizie allarmistiche e poco veritiere. La fonte migliore resta il proprio medico di famiglia, che saprà sicuramente consigliare se il vaccino serve o meno.