SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Riceviamo una interessante riflessione da parte del presidente del Consorzio Ceimas Nazzareno Torquati in merito alla pesca delle vongole.

L’autorizzazione a pescare le vongole ad una dimensione di 22 millimetri è stata salutata da una unanime soddisfazione, con in testa il ministro Martina, come una conquista e un beneficio per la pesca italiana. In realtà è l’ennesima sconfitta di un settore che non ha la forza e il coraggio di analizzare i problemi e di conseguenza cambiare in senso moderno la propria attività.

Uno e forse il principale problema consiste nella tecnica di prelievo dal fondale delle vongole che viene effettuato con la turbosoffiante, sistema altamente invasivo inventato negli anni ’70 quando c’erano da sfruttare i ricchi banchi millenari in un mercato in forte espansione. Esso è stato ulteriormente potenziato in una logica paradossale che vede l’incremento della capacità di cattura nel mentre diminuisce la biomassa pescabile.

Questo sistema ha funzionato malissimo visto che nel volgere di un decennio ha quasi desertificato la fascia costiera e attivato un gap negativo di riproduzione naturale e chissà forse di mutazione genetica vista la fragilità del sistema nervoso delle vongole che notoriamente non hanno cervello, in questo sono di poco superiori alle piante, e organizzato in gangli collegati fra loro da fibre nervose.

In una comunità attenta e moderna questa questione andrebbe affrontata scientificamente e risolta non traendo conclusioni irrazionali quali l’incremento delle temperature. La vongola cresce nel primo anno fino a 16 millimetri e raggiunge la maturità sessuale, a due anni la taglia di 25 millimetri, a tre di 36 millimetri e può vivere fino ad otto anni e raggiungere una taglia di 80 millimetri, ma parliamo di casi rari ma riscontrabili. Quindi per avere una vongola Chamelea gallina di buon valore commerciale bisogna farla crescere almeno per tre anni.

Andrebbe invece attuata una pianificazione sperimentale per la progettazione e realizzazione di un attrezzo di pesca molto meno invasivo del tipo di rastrello dei primi tempi ma meccanizzato e a fronte di una analisi genetica creare una banca dati per verificarne anno dopo anno gli eventuali mutamenti. Come già previsto in un lontano convegno del 1997.

Poi approntare centri di riproduzione artificiale con riproduttori naturali e verificare la possibilità di utilizzo impianti fissi di svezzamento in upwelling (sistema che prevede la sistemazione dei molluschi in strutture con flussi d’ acqua marina dal basso verso l’alto) seguendo una metodologia inglese, “Flupsy” (floating upweller system) che sta dando risultati più che soddisfacenti nel caso della vongola verace semidecussata già dal 2007 in Val Bonello. In questo caso la ricerca è iniziata con animali di 4 mm, sino al raggiungimento in tre mesi della taglia di 8-12 mm, ovvero sino alle dimensioni che consentono la semina direttamente sul fondo.

Un programma di questo tipo potrebbe essere attuato in brevissimo tempo ed aprirebbe la strada ad una nuova stagione di gestione della fascia costiera e alla riqualificazione di un settore oggi in estrema difficoltà per farlo ritornare ad essere un comparto competitivo e con una equa distribuzione della ricchezza creata a livello continuativo e sostenibile.