Da Riviera Oggi 1102, dal 12 al 18 dicembre

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Prelievi, trasfusioni, Rh e gravidanza, sono parole che si sentono piuttosto spesso. In una visita medica, dopo una catastrofe, ma anche per lieti eventi come la nascita di un figlio.

Fino a qualche tempo fa, imperversava anche la dieta del gruppo sanguigno; una moda che, dietro la spinta del veganesimo e dell’olio di palma, sembra avere già imboccato la via dell’oblio. Tutti questi termini si riferiscono alla composizione del sangue, che è alla base di ogni procedura clinica. Ma cosa sono, di preciso, i gruppi sanguigni? Perché sono così importanti in ambito medico?

Cominciamo dal principio: i vari gruppi sanguigni derivano da differenze nella struttura dei globuli rossi del sangue; ciascun globulo rosso, a livello microscopico, possiede due molecole aggiuntive, che si attaccano alla sua superficie come dei codini. Queste molecole si chiamano antigeni, e vengono ereditati uno dal padre e uno dalla madre.

Gli antigeni, fondamentalmente, sono molecole zuccherine, o polisaccaridi, per usare il termine scientifico; ne esistono molti tipi diversi, tra cui c’è anche il fattore Rh, ma i più importanti, quelli che tutti conosciamo, sono tre: l’antigene A, l’antigene B, e l’antigene 0.

Cosa li distingue uno dall’altro? In realtà molto poco, perché tutti e tre hanno la stessa struttura di base, ovvero una microscopica catenella polisaccaridica.

A questa catena possono essere poi attaccati ulteriori pezzi: se la molecola che si aggiunge è una acetil galattosamina, si forma l’antigene A. Se invece il secondo pezzo è un D-galattosio, si avrà l’antigene B. E se non si aggiunge niente? Ebbene, in questo caso, la catena incompleta non è altro che l’antigene 0.

Questi tre antigeni, mettendosi in coppia, determinano sei possibili gruppi sanguigni: AA, BB, AB, A0, B0 e 00. La diversità tra i gruppi sanguigni è alla base delle trasfusioni, perché quando del sangue estraneo entra nel circolo sistemico, gli antigeni che trasporta possono essere riconosciuti dal sistema immunitario come pericolosi. In questo caso, l’organismo crea degli anticorpi che si legano ai globuli rossi, formando grossi aggregati insolubili; il fenomeno, definito agglutinazione, è particolarmente dannoso, in quanto gli ammassi ostruiscono le arterie, e nei casi più gravi possono bloccare l’afflusso di sangue al cervello, determinando ictus.

Gli antigeni A, B e 0 sono i più conosciuti perché provocano le reazioni immunitarie più accentuate, ma non sono gli unici. Come già accennato, anche il fattore Rh è un antigene, tuttavia, a differenza dei principali, il corpo umano non reagisce subito alla sua presenza. Solo dopo il primo contatto con questa molecola vengono prodotti anticorpi, che si attiveranno a partire dalla trasfusione successiva.

La presenza di Rh può costituire un problema soprattutto per le donne in gravidanza: poniamo, ad esempio, che una donna con gruppo Rh negativo, quindi priva dell’antigene, sia incinta di un bimbo Rh positivo, che invece lo possiede. Al momento del parto, è probabile che un po’ del sangue del nascituro si mescoli a quello materno. L’organismo della madre produce quindi anticorpi, che in futuro attaccheranno tutti i globuli rossi Rh positivi. Se la donna in questione rimarrà incinta una seconda volta di un feto Rh positivo, i suoi anticorpi lo danneggeranno, per un meccanismo noto come eritroblastosi fetale; nel peggiore dei casi, questa reazione si risolve in un aborto.

Fortunatamente, la medicina odierna ha trovato una buona soluzione per evitare questa reazione: subito dopo il parto, alla madre viene iniettato un farmaco che distrugge i globuli Rh positivi prima che vengano riconosciuti dall’organismo, evitando così la formazione di anticorpi. L’iniezione va ripetuta al termine di ogni gravidanza.

Se le trasfusioni umane possono essere problematiche, a volte quelle animali lo sono ancora di più; i gruppi sanguigni, infatti, non esistono solo nell’uomo, ma sono presenti in tutti i mammiferi.

Mentre un essere umano possiede solo tre antigeni principali, i cani ne hanno ben nove, che formano più di venti gruppi sanguigni diversi. La situazione non è migliore nei cavalli e nei maiali, che ne hanno un numero più o meno simile. I gatti, invece, sono più fortunati, perché posseggono soltanto due antigeni e tre gruppi sanguigni.

La scienza che studia queste molecole, l’immunologia, è costantemente alla ricerca di nuovi antigeni; non tutti i fattori sono ancora stati scoperti, conoscerli porterà in futuro a rendere sempre più precise e sicure le trasfusioni, tanto negli animali che nell’uomo.