Il saccarosio, comunemente noto come zucchero da cucina, è probabilmente l’alimento più amato e insieme più odiato di tutte le tavole del mondo. Gioia di bambini e ragazzi, che lo assumono con merendine e caramelle, e tentazione proibita per le donne, specie se a dieta. Questo piacevolissimo granulato di cristalli trasparenti si trova ormai in gran parte degli alimenti, anche al di fuori della categoria dolciaria vera e propria, e viene prodotto in milioni di tonnellate l’anno.

Il classico zucchero bianco deriva dalla bollitura di una specifica varietà di barbabietola, che ha una radice polposa particolarmente ricca di questa sostanza. Una volta estratto, il “succo” contenente il saccarosio ha un colore marroncino, e deve passare attraverso vari stadi di raffinazione, per eliminare tutte le impurità e ottenere un concentrato puro.

Proprio a causa del lungo processo raffinatorio, che prevede l’uso di sostanze chimiche come calce e anidride solforosa, alcuni consumatori hanno preferito ridurne il consumo a favore del più grezzo zucchero di canna. Nonostante gli accorgimenti, però, il saccarosio rimane un composto altamente nocivo per la salute, se consumato in grande quantità.

A livello microscopico, l’unità fondamentale di questo zucchero è una piccola molecola, denominata disaccaride, derivata dal glucosio; la sua struttura è semplice, ed il composto, una volta ingerito, viene digerito molto velocemente dall’organismo, producendo energia. Se l’energia non viene spesa in una qualche attività fisica, si accumula nelle cellule sotto forma di molecole di riserva, che nel tempo provocano un aumento della massa corporea. Livelli estremi di riserve zuccherine sfociano nell’obesità, con tutti i gravissimi problemi di salute che ne derivano.

Visto l’allarmante avanzamento dell’obesità nel mondo, che quest’anno ha toccato la soglia record di 600 milioni di individui, il 13% della popolazione mondiale, le industrie alimentari si sono messe al lavoro per trovare validi sostituti del saccarosio: sostanze facili da reperire, economiche, capaci di dolcificare i cibi, aventi però un più basso valore energetico.

I risultati non si sono fatti attendere; grazie alle moderne tecniche di ingegneria chimica, sono stati messi in commercio una serie di additivi artificiali, potenti dolcificanti con proprietà nutrizionali pressoché nulle. Fino a poco tempo fa era piuttosto comune, leggendo le etichette di alimenti e farmaci, trovare ingredienti come aspartame, saccarina e sucralosio.

Se in un primo momento il problema sembrava in fase di risoluzione, però, studi successivi hanno sollevato dubbi crescenti sulla validità di queste molecole: i dolcificanti artificiali, in effetti, non fanno ingrassare, ma è stato dimostrato che se assunti in dosi massicce provocano altre serie complicazioni; gli animali da laboratorio, per esempio, hanno manifestato cancri e scompenso cardiaco. E’ pur vero che i cibi in commercio contengono una bassissima percentuale di questi additivi, teoricamente non sufficiente per scatenare effetti collaterali, ma questo non li rende automaticamente innocui.

Da una parte dunque c’è il saccarosio: naturale, non cancerogeno, ma molto calorico.

Dall’altra si schierano gli edulcoranti artificiali, dietetici ma dai dubbi effetti a lungo termine.

Cosa scegliere?

La risposta, naturalmente, è la moderazione. Entrambi gli alimenti non sono un pericolo, se si segue una dieta povera di dolci. Purtroppo, il sogno di tuffarsi in un mare di torte e bignè senza aumentare il girovita appare ancora lontano.

Tuttavia, ricerche recenti dicono che potrebbe esistere, forse, una soluzione al dilemma.

Trattasi di molecole ipocaloriche, molto dolci, e naturali al cento per cento; non sono zuccheri, ma proteine, e vengono chiamate per questo “sweet proteins”.

Come già accennato, le sweet proteins si trovano in natura, precisamente nella polpa di alcuni frutti africani; finora sono stati scoperti e isolati sette tipi di proteine dolci, ciascuna con specifiche proprietà chimiche.

La monellina, per esempio, viene estratta dalla bacca della serendipità, ed è circa duemila volte più dolce del saccarosio. Non si chiama così perché è dispettosa, il nome deriva semplicemente dal centro chimico Monell, dove è stata studiata per la prima volta. Una particolarità, però, ce l’ha: è dolce solo a determinati pH; se si trova a contatto con sostanze troppo acide, o troppo basiche, perde completamente il sapore.

Diverso è il caso della curculina, che oltre a conservare sempre il suo gusto originale, riesce addirittura a convertire il sapore aspro in dolce. Provate ad abbinare un pizzico di curculina ad un bicchiere di limonata, e avrete una dolcissima sorpresa.

Se la curculina è sorprendente, la miracolina fa di meglio: da sola non ha nessun gusto, ma se viene messa in bocca converte qualsiasi sapore in dolce. L’effetto dura circa un’ora. Questa è un’ottima notizia per chi, come me, ha assaggiato l’inimitabile Augmentin. Per quanti non lo sapessero, Augmentin è un simpaticissimo sciroppo antibiotico per bambini, al gusto di zucchero, vomito e mandorle amare. Una volta provato non si scorda più.

Attualmente molte di queste molecole non sono in commercio perché ancora oggetto di studi. Finora non sono stati osservati effetti nocivi di alcun genere, ma non conoscendone appieno la struttura e la reattività le organizzazioni sanitarie hanno preferito ritardarne il lancio sul mercato.

C’è da augurarsi che queste molecole siano davvero sicure, e che possano presto essere usate al posto degli edulcoranti artificiali.