Sappiamo. Una partecipazione al voto oltre ogni previsione e un esito dello stesso oltre ogni previsione degli ottimistici del NO. La crisi politica del governo Renzi è in atto ma più che il 5 dicembre della cronaca ci interessa un altro 5 dicembre.

A QUELLI DI #IOVOTONO Non tutti i “No” sono stati uguali. Ma non c’è da vergognarsene né da stupirsene: c’era stata una renziana chiamata alle armi e ognuno ha pensato di difendersi con quel che poteva o voleva. Ci sono stati dei “No” convinti nel merito della proposta e nel metodo con il quale questa si è affermata. Dei “No” politici che hanno bocciato con la modifica costituzionale anche la politica governativa tutta. Ci sono stati dei “No” partitici, con i quali si è deciso di raccogliere l’offerta renziana di dimissioni in caso di sconfitta. “No” contro l’Europa dell’austerità e “No” per salvare il Pd dallo sfracello.

Ognuno di questi “No” vale l’altro, tuttavia il 5 dicembre è cosa diversa dal 4 dicembre. Ognuno setaccerà i “No” e cercherà le sue pepite d’oro. Occorre esporsi. Personalmente la mia pepita d’oro è la Costituzione da applicare ancora prima di cambiarla. C’è un solo programma politico dato dai 20 milioni di voti, nonostante le diversità del “No”: applicatela.

Piena occupazione, pieno stato sociale, pieni servizi, libertà dell’azione economica secondo canoni di interesse pubblico. Uno Stato che sia comunità e si faccia carico di dare compimento primi fra tutti all’articolo 1 e all’articolo 3, oggi carta straccia; è un “No” questo che va portato nel cuore dell’Europa, per una sfida democratica che potrebbe essere storica ancor più del 4 dicembre. Ci vogliono forza, coraggio, intelligenza. Altri “No” mi sembrano meno interessanti e anzi classificabili già come doppio tradimento: rispetto alla Carta del ’48 e poi rispetto al 4 dicembre 2016. Intollerabili.

A QUELLI DEL #BASTAUNSÌ Non è umanamente semplice parlare, da attivista del No, al fronte opposto dopo un risultato tanto netto. Cosa c’è da apprezzare? Essenzialmente il grande impegno personale, una risorsa civica comunque importante che non andrebbe disattivata dopo la disfatta. Se per molti il “Sì” era anche la chiave per una promozione politica (ma lo stesso si può dire per qualche parte del “No”) c’è anche chi si è mosso partendo da basi personali convinte.

Senza entrare nel merito né politico né delle tecnicismi, vi è una questione che le dimissioni di Renzi risolvono in parte, proprio perché il #bastaunSì è parso una emanazione diretta del volere del segretario/presidente del consiglio/promotore. Il referendum non è stato una partita di calcio, e il terzo tempo finale è umanamente desiderabile ma non oblia, né potrà, la politica. Non è una metafora casuale: le parole di Renzi sono sovrapponibili a quelle degli allenatori delle squadre di calcio dopo una batosta (“Ho sbagliato io, i giocatori non c’entrano nulla”, ripetono).

A 24 ore di distanza si può comprendere come lo spiazzamento sia forte, tuttavia si temono reazioni auto-assolventi a quel punto inutili e deleterie per gli stessi #bastaunSì. La più scontata è: “Gli italiani non vogliono cambiare“. Oppure la variante sportiva: “Abbiamo provato a cambiare, ci è andata male, continuiamo. Grande Mattè“.

Ma entro qualche giorno almeno sarebbe necessario che ci si interrogasse sul perché. Lasciamo stare il merito. Ma sul metodo? Resta incredibile come si sia condonato tutto (in nome di cosa lo vedremo): applausi a Napolitano che ha trattato il Parlamento come un bivacco di manipoli, revisione costituzionale in antitesi al patto fondativo del partito e della stessa campagna elettorale 2013, arrogante disinteresse della sentenza della Corte Costituzionale del 2014, approvazione a maggioranza, personalizzazione della campagna elettorale, trasformazione di una campagna referendaria in una campagna politica, iper-presenzialismo mediatico, accentramento delle funzioni di partito e di governo. Su questo occorrerà rispondere; una ulteriore difesa strenua consegnerà i renziani ad un pericoloso culto della personalità.

Ma vi è l’errore fatale: aver creduto e fatto credere che cambiare la Costituzione rappresentasse un’azione di politica economica. Il risparmio di due spicci dalla politica venduto come occasione per rilanciare gli investimenti; l’accentramento neo-bonapartista spacciato per risolutivo nelle cure ai malati gravi; la velocità (paventata) nelle decisioni ipotesi per una crescita del Pil. Le parole d’ordine della finanza e dell’iper-capitalismo prese e iniettate nella revisione e aver venduto tutto ciò come una manovra di politica economica e non come semplice manomissione (a mio avviso) istituzionale: peccato politico grave perché culturale e sparso a piene mani a livello popolare con una campagna pervasiva.

Il capo sulla cenere del pentimento non viene richiesto; servirà capire invece che la politica del #cambiaverso non può essere un vuoto slogan, dovrebbe essere invece una reale inversione di politica economica. E tutto l’armamentario anticasta e non costituzionale dovrà essere abbandonato al passato.

 

QUELLI DEL #NÌ Tra i due campi, un’area vasta per lungo tempo alla finestra. Tra questi, chi si è recato a votare con consapevolezza o più superficialità, ma anche una zona grigia soprattutto di professionisti e intellettuali estranei alla campagna referendaria, estranei quindi ai temi politici e istituzionali affrontati, e pronti, purtroppo, a denigrare il confronto come becero, violento addirittura (nonostante non si sia registrato alcun dato di cronaca).

Nessuno, sia chiaro, è obbligato a votare o a prendere parte. Ma neppure è accettabile la falsa superiorità intellettuale (immeritata), la pavidità del voto in stile Prodi. Parlo del Comitato per il No Piceno: con autofinanziamento in pochi mesi si sono organizzati decine di incontri con costituzionalisti di livello nazionale di sinistra e liberali; tanti attivisti hanno letto, studiato e ristudiato diritto costituzionale, ne hanno scritto, sono andati a parlarne tra la gente. Ebbene, questo movimento civile andrebbe preso e cullato.

Invece una quota non indifferente di benpensanti, spesso agiati e pigramente borghesi, ha compiuto un’operazione minoritaria ma pericolosa: disinteressarsi, deridere persino gli interessati, infischiarsene delle conseguenze costituzionali del proprio voto, ignorare il contesto politico nazionale e internazionale che ha generato questa revisione costituzionale, e infine in gran parte appoggiarla soltanto per timore di nuovi scenari. Non hanno distinto, per incapacità o forse per profondo dissenso verso le masse popolari, chi fosse l’attaccante e chi avesse solo armi di difesa.

Personalmente, se i #BastaunSì possono e dovranno intraprendere un percorso di comprensione e magari rilancio, quelli del #Nì rappresentano la parte più immobile e imbevuta di politicamente corretto di questa strana Italia del 2016. Difficile recuperarli ad un sano dibattito pubblico.