Con il contributo di Pino Perotti

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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Inaugurato il 22 novembre 1931 e abbandonato il 9 giugno 1985, nel mezzo 54 anni di storia fatta di goal, campioni, tifo viscerale, promozioni emozionanti e una tragedia ancora negli occhi e nei racconti di tanti. E’ la storia del “Ballarin”, pantheon del pallone nostrano condannato progressivamente e inesorabilmente all’oblio e al centro, da 15 anni a questa parte almeno, di progetti su progetti che ne vorrebbero la riqualificazione.

D’altronde anche un “tempio” può diventare un peso e ogni tentativo e ogni piano per smuovere quel monumento un po’ ingombrante è quasi sempre passato per un presupposto inesorabile e doloroso: demolire la struttura. Ma in altre parole, e per tanti a San Benedetto, distruggere un luogo della memoria e un simbolo di legami familiari e d’amicizia, un posto “sacro” per la fede calcistica.

Le esigenze urbanistiche moderne e la necessità di una città aperta e funzionale difficilmente risparmiano i sentimenti e se restyling sarà un giorno, anche i più nostalgici si dovranno rassegnare a una inevitabile demolizione. Ma demolire non per forza significa dire addio. Chi è legato infatti alla storia di quello stadio, pur non potendolo più ammirare a “guardia” dei confini settentrionali della città, potrebbe comunque conservarlo, semplicemente portandosene un “pezzo” a casa.

L’idea arriva da Reggio Emilia che negli anni ’90 diede addio al suo storico e amato impianto “Mirabello”, datato 1910 e dolorosamente abbandonato dai tifosi granata per il più moderno Giglio. Con l’arrivo del nuovo millennio poi, il vecchio impianto del capoluogo emiliano venne quasi del tutto smantellato. Ma qualcuno non si è dato per vinto e ha ideato una sorta di “asta” delle reliquie dello stadio: seggiolini, mattoni, zolle, tutto in vendita. Tifosi reggiani Doc come il cantante Zucchero Fornaciari o addirittura il Cardinale Camillo Ruini si dice abbiano comprato il loro “pezzetto” di Mirabello, rigorosamente firmato dalle vecchie glorie della Reggiana.

Ecco che quindi dall’Emilia potrebbe arrivare un’idea tanto romantica quanto funzionale per i propositi di riqualificazione del vecchio stadio sambenedettese. Pensiamo a un mattone del Ballarin firmato da Francesco Chimenti o da Walter Zenga. Certamente un’idea che potrebbe riscuotere successo fra i nostalgici, se proprio demolizione dovrà essere. E in caso di successo nelle vendite il ricavato potrebbe anche essere utilizzato per la stessa area, date le endemiche difficoltà di più di un’amministrazione nel trovare fondi adeguati alle intenzioni dichiarate per il destino della struttura.

Insomma demolire ma non distruggere, questa l’idea.