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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il 25 novembre si celebra la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Purtroppo gli episodi dove sono vittime di abusi numerose donne sono quasi all’ordine del giorno. Maltrattamenti non solo fisici ma anche psicologici. Spesso dai media e dalle televisioni sentiamo storie folli che sfociano anche in omicidi. Dal bullismo, alla gelosia ma anche nel mondo della prostituzione. Molte donne subiscono quotidianamente abusi ma non hanno la forza di parlarne.

Sono nate molte associazioni che hanno come obiettivo il contrasto di questo degradante fenomeno e dare voce alle vittime. Anche sul nostro territorio. A tal proposito abbiamo intervistato la sambenedettese Laura Gaspari, in prima linea con l’associazione On the Road.

Laura, parlami dell’associazione e di ciò che fate.

“L’Associazione On the Road nasce dalla volontà di volontari e volontarie che negli anni 90, a seguito di una forte immigrazione dall’Albania e dalla Nigeria di donne poi costrette a prostituirsi, decisero di organizzarsi per cercare di incontrare queste donne e dar loro aiuto e supporto. Le attività sono iniziate in particolare sulla strada Bonifica del Tronto, luogo in cui da anni viene esercitata la prostituzione e il suo sfruttamento. L’Associazione quindi da circa 25 anni si occupa del contrasto alla tratta di essere umani al fine di sfruttamento sessuale. Nel corso degli anni l’Associazione ha allargato i propri orizzonti e lavora attualmente anche per offrire accoglienza a persone richiedenti asilo (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – Sprar), supporto a persone senza fissa dimora, persone vittime di sfruttamento lavorativo, donne vittime di violenza di genere, migranti in difficoltà. Recentemente è stato istituito un servizio per l’orientamento ed il lavoro, accreditato come ente per la formazione professionale”.

Dove operate e quali sono i territori di vostra competenza?

“L’Associazione opera in tre territori regionali: Marche, Abruzzo e Molise. La sede legale si trova a Martinsicuro in via delle Lancette 27, nella quale vengono svolte attività di drop-in (sportello a bassa soglia per il rilevamento dei bisogni dell’utenza), unità mobile e uffici del servizio di accoglienza vittime di tratta e sfruttamento sessuale. Altre sedi operative sono sparse nei territori della Provincia di Fermo per il Centro Antiviolenza Percorsi Donna (Numero Verde 800215809 – in gestione dal 2009) e di Ascoli Piceno per quando riguarda il Centro Antiviolenza Donna con Te (Numero Verde 800021314 – in gestione dal 2015), Porto Sant’Elpidio ospita uno sportello drop-in, a San Benedetto del Tronto si trova il servizio di orientamento lavorativo, nella Provincia di Teramo si trova la sede del Centro Antiviolenza La Fenice (Teramo 0861.029009, Pineto 085.9493607, Martinsicuro 0861.762337 – in gestione dal 2015), a Pescara c’è un altro sportello drop-in, uffici del servizio di accoglienza vittime di tratta e sfruttamento sessuale e il Centro Polifunzionale Train de Vie per persone senza fissa dimora”.

Come opera il centro Antiviolenza?

“L’Associazione On the Road gestisce tre Centri Antiviolenza, dei quali enti titolari sono istituzioni pubbliche: Ambiti Sociali Territoriali nel caso di Fermo e Ascoli Piceno, Provincia nel caso di Teramo. Vengono pertanto elargiti fondi pubblici per il sostegno delle attività dei Centri Antiviolenza, che sono a tutti gli effetti un servizio pubblico e gratuito fondamentale per il contrasto alla violenza contro le donne. Il Centro Antiviolenza ha la funzione di offrire informazioni, sostegno, supporto e consulenza alle donne che hanno vissuto una violazione dei propri diritti in quanto donne, intervenendo in modo proattivo al contrasto del fenomeno della violenza di genere in tutte le sue coniugazioni (violenza fisica, psicologica, sessuale, economica, stalking, molestie e violenze in ambito lavorativo). Il Centro è un punto di riferimento dove le donne possono essere ascoltate, sentirsi libere di parlare della loro vita e dei loro problemi, di esprimere il loro dolore e avviare un percorso per soddisfare il loro desiderio di rivalsa. Le donne che si recano al Centro Antiviolenza non vengono giudicate in base alle scelte passate o future, anzi viene loro garantita la totale autodeterminazione e il rispetto delle proprie decisioni: l’approccio peculiare è proprio quello di porre la donna come figura centrale e attiva, con la propria individualità e le proprie risorse, prima di tutto per porre fine a quel senso di isolamento ed esclusione sociale che spesso vengono riportati da tale tipologia di utenza. L’obiettivo centrale del Centro Antiviolenza è l’empowerment della donna, elemento necessario per l’uscita dalla situazione di violenza: l’equipe del Centro opera sinergicamente per accompagnare la donna in un percorso, spesso lungo e difficile, di autoconsapevolezza, di individuazione o riscoperta delle proprie capacità e delle proprie risorse personali, al fine di raggiungere l’autonomia loro negata dal maltrattante. Il Centro Antiviolenza è oltremodo funzionale a promuovere una maggiore coscienza da parte delle donne dei loro diritti e ed in particolare quello riguardante l’autodeterminazione: le attività del Centro contribuiscono a diminuire il senso di isolamento delle donne e ad aumentare la loro autopercezione come soggetti aventi diritti, risorse e capacità. Il Centro Antiviolenza rappresenta un punto focale anche per i servizi territoriali, quali Servizi Sociali, Forze dell’Ordine, personale sanitario, privato sociale e mondo dell’associazionismo, i quali possono certamente fungere da filtro tra le donne vittime di violenza e il Centro stesso. La formazione di una rete attiva di collaborazione con tali attori è certamente indispensabile e funzionale ad un effettivo contrasto alla violenza di genere, oltre che ad un adeguato supporto delle donne che ne sono vittime. Inoltre il Centro Antiviolenza può per questo rappresentare una fonte importante di informazioni e indicazioni, necessarie per un supporto efficace. Il Centro Antiviolenza ha altresì un’importante valenza sociale in senso formativo e di sensibilizzazione, poiché svolge attività di promozione e sviluppo degli obiettivi citati. Di fatto il Centro Antiviolenza è coinvolto in attività di sensibilizzazione presso istituti scolastici e di partecipazione ad eventi e iniziative sul territorio locale, nei quali promuove una cultura di genere, il rispetto delle differenze e offre spunti di riflessione sulla società contemporanea relativamente alle problematiche legate al fenomeno della violenza di genere sulle donne. Il Centro Antiviolenza offre un servizio specialistico ed esclusivamente dedicato a quelle donne vittime di violenza, maltrattate proprio a causa di una disparità di potere legata al sesso. I servizi offerti a titolo gratuito, in totale rispetto della privacy e attivati solo su richiesta della donna, sono molteplici: – Consulenza telefonica – Consulenza informativa/orientativa – Supporto psicologico – Consulenza legale – Accompagnamento presso i servizi del territorio – Orientamento al lavoro – Gruppi di Auto Mutuo aiuto”.

Qual è il tuo ruolo nell’associazione?

“Il mio compito nello specifico è quello di dare una prima accoglienza alle donne che si recano allo sportello, ascoltarle in modo empatico e astenendomi dal giudicarle, rispettare la loro autodeterminazione, renderla protagonista e darle centralità nella costruzione del percorso di uscita dalla violenza, fornirle le prime informazioni legali, accompagnarle eventualmente ai servizi del territorio (Forze dell’Ordine, Servizi Sociali, Associazioni del privato sociale). Solitamente il primo accesso avviene tramite strumento telefonico: viene così accolta la prima richiesta di aiuto della donna, intrisa di ansie, preoccupazioni, domande, pretese di soluzioni. Attraverso l’ascolto telefonico la donna può decidere di mantenere nascosta la sua identità e sentirsi così meno limitata nell’espressione del proprio vissuto di violenza. Contenimento e rassicurazione fanno sì che la donna possa prendere coraggio e considerare la possibilità di recarsi di persona al Centro per un primo incontro con l’operatrice. La prima risposta telefonica è finalizzata a fornire informazioni e, attraverso ascolto attivo e astensione del giudizio, l’operatrice può instaurare con la donna una relazione di fiducia, basata sull’empatia e sulla solidarietà femminile, condizione di base per poter avviare un percorso di uscita dalla violenza. Quando la donna si reca fisicamente al Centro Antiviolenza si procede con un’analisi dettagliata della richiesta, l’attuazione del processo di aiuto, la promozione del sentimento di empowerment individuale e di consapevolezza delle proprie competenze. Insieme a me nei Centri Antiviolenza lavorano anche psicologhe e avvocate, con la quale cerchiamo di fornire un supporto adeguato alle donne, confrontandoci costantemente in equipe e valutando insieme alle utenti il percorso ottimale per ognuna di esse. Un altro importante ruolo di un’operatrice antiviolenza è quello di fungere da nodo della rete, diventando punto di riferimento anche per altri servizi e professionisti/e”.

Com’è la situazione nel Piceno?

“Da gennaio a ottobre 2016 al Centro Antiviolenza Donna con Te hanno fatto accesso 52 donne, delle quali sono state prese in carico 32 (21 nella sede di San Benedetto del Tronto, 11 nella sede di Ascoli Piceno). Altre 5 sono le donne che si aggiungono alle prese in carico, poiché in continuità con l’anno precedente. Per presa in carico si intende qui l’inizio del percorso di uscita dalla violenza. Dai dati che le operatrici di accoglienza rilevano, le donne vittime di violenza accolte sono italiane che hanno nella maggior parte dei casi dai 39 ai 49 anni, sono sposate o comunque in una relazione affettiva (convivenza), hanno figli spesso di minore età, posseggono un diploma di scuola superiore e risultano per lo più essere occupate. Questi dati ovviamente non sono assoluti di una rappresentatività del profilo della donna vittima di violenza: al centro si recano certamente anche donne straniere, alcune molto giovani e altre più anziane, alcune sono in corso di separazione, altre risultano essere casalinghe, altre posseggono una laurea. Le operatrici del Centro rilevano caratteristiche anagrafiche e relative alla violenza per fare annualmente una valutazione del servizio e delle utenti, ma è bene ricordare che nessuna donna è completamente protetta dalla violenza di genere. La tipologia di violenza più rilevata è la violenza psicologica, fortemente connessa a quella fisica. Emerge sempre più anche la violenza economica, elemento difficilmente rilevabile dalle operatrici poiché poco percepita dalle donne: questo a causa del fatto che ancora oggi è convenzione che nell’ambito familiare sia l’uomo ad occuparsi delle finanze domestiche. Lo stalking spesso è rilevato successivamente a situazioni in cui le donne decidono di separarsi anche a causa di maltrattamenti e l’uomo, non accettando tale scelta, continua con le violenze coniugandolo in atti persecutori. La violenza sessuale è poco rilevata e viene solitamente dichiarata dopo qualche colloquio, quando cioè la donna ha instaurato un rapporto di fiducia con l’operatrice. C’è ancora molta vergogna in tal senso: il pudore sulla sfera sessuale e il fatto che le donne lo vivono spesso come dovere coniugale, rendono più difficoltosa l’emersione durante i colloqui. Gli uomini maltrattanti sono nella totalità dei casi persone conosciute alle donne, con i quali esse hanno rapporti affettivi e relazionali: sono i mariti, i compagni o gli ex partners delle donne a renderle vittime di violenza”.

Quali sono i comportamenti ‘anomali’, e di conseguenza sbagliati, della società di fronte al problema?

“Sicuramente in Italia, seppur abbiamo un buon apparato legislativo, i diritti delle donne non sono ancora totalmente rispettati. Basta guardare ai dati dell’ultima indagine Istat (http://www.istat.it/it/archivio/161716) sono quasi 7 milioni le donne che almeno una volta nella vita hanno subito violenza, troppo poche denunciano gli episodi di violenza e il sistema di protezione a volte non risulta essere efficiente nella tutela della vita di queste donne (96 feminicidi nel 2016). Per non parlare delle discriminazioni giornaliere che avvengono sul posto di lavoro, nel sessismo delle rappresentazioni mediatiche delle donne (pubblicità, film, libri di testo, videogiochi) nel mancato rispetto della legge sull’interruzione di gravidanza, nello squilibrio della distribuzione del lavoro domestico, negli ostacoli alla corretta coniugazione al femminile della lingua italiana. Ci vorrebbe attenzione a tutti questi temi, 365 all’anno e non solo nelle ricorrenze. La cittadinanza non è abbastanza sensibilizzata, le istituzioni spesso latitano, non dimostrano abbastanza interesse o addirittura tagliano o ritardano l’elargizione dei fondi, gli organi di informazione si interessano solo alla morte delle donne o quando una celebrazione lo richiede. Le donne vivono e muoiono tutti i giorni e i loro diritti tutti i giorni vengono calpestati. La nostra è una cultura ancora molto maschilista, lo è stata per tanti secoli e abbiamo iniziato da qualche decennio ormai a mettere in dubbio alcuni principi patriarcali che hanno retto la società. Sono necessarie attività costanti di formazione, informazione, sensibilizzazione, nelle scuole come tra le Forze dell’Ordine, nei servizi sociali come nelle associazioni territoriali, tra i/le giudici, insegnanti, professionisti sanitari, psicologi e psicologhe, avvocati e avvocate. La violenza e le discriminazioni basate sul genere e nello specifico su uno squilibrio di potere tra generi, sono parte della nostra società ed è proprio per questo che è così difficile contrastarle. E’ ancora molto forte la pratica omertosa di nascondere i panni sporchi, la società chiede che restino fatti privati, la donna deve sopportare la violenza e i soprusi perché l’uomo è fatto così ed ella lo deve accettare, se non addirittura aspettarsi di riuscirlo a cambiare. Il problema non è il singolo uomo maltrattante, bensì il fatto che la violenza costituisce il modus operandi che riguarda tutti e tutte noi, è un modo di considerare la donna e di vivere una relazione basata su rapporti di dominio. Per tutti questi motivi, i Centri Antiviolenza andrebbero maggiormente promossi e potenziati poiché offrono un supporto specifico per le donne. Andrebbero inserite nei programmi scolastici anche le figure femminili che hanno fatto la storia oltre che prevedere un’illustrazione della storia del femminismo, dato che le battaglie femminili vengono proprio da lì: andrebbe rispettato il corpo delle donne e non essere utilizzato e considerato come oggetto. Le nostre strade dovrebbero portare anche nomi di donne. I professionisti della sicurezza, dei servizi sociali, giudici e insegnanti dovrebbero avere l’obbligo di formarsi e aggiornarsi sui diritti delle donne. Andrebbero potenziati i servizi all’infanzia per non fare più in modo che l’educazione e la crescita della prole impedisca alle donne di accedere al mondo del lavoro o che ne favorisca la discriminazione lavorativa: andrebbero quotidianamente distrutti gli stereotipi di genere e contrastato il sessismo dilagante”.