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Lo scorso 4 ottobre sono stati annunciati i vincitori del premio Nobel per la Fisica 2016: una grande sorpresa per la comunità scientifica, in quanto l’ambito riconoscimento non andrà, come ci si aspettava, agli scopritori delle onde gravitazionali. Sono stati preferiti, invece, gli studi di Thouless, Haldane e Kosterlitz sulle transizioni di fase topologiche della materia, sebbene non abbiano avuto una grande risonanza pubblica.
Cionondimeno, l’aver dimostrato l’esistenza delle onde gravitazionali, comprovando la Teoria della Relatività Generale di Einstein, è un traguardo sorprendente per l’umanità.
Einstein, in particolare, ipotizzava che la gravità non fosse solo una forza esercitata da una massa. Secondo i suoi calcoli, lo spazio e il tempo sono da considerarsi come un unico tessuto che pervade l’intero universo, e che definiscono il campo gravitazionale. In risposta all’accelerazione di una massa, esso si deforma, producendo così le onde gravitazionali. Come è facile intuire, più è grande e densa la materia, più forti saranno le onde gravitazionali che genera; purtroppo però, un’onda gravitazionale ha solitamente una bassissima intensità, ed è molto difficile da rivelare. Eventi catastrofici come esplosioni stellari e formazione di buchi neri sono gli unici fenomeni che, attualmente, producono distorsioni del campo gravitazionale, abbastanza forti da essere captate dagli strumenti terrestri.
Un’onda gravitazionale ha effetti sia sullo spazio sia sul tempo: al suo passaggio, le distanze oscillano, si allungano e si accorciano, facendo letteralmente “tremolare” la realtà. Dal momento che tutto si muove contemporaneamente, nessuno è in grado di accorgersi del cambiamento; soltanto la luce presenta delle peculiarità che permettono la rivelazione.
E’ proprio in base a questo principio che i ricercatori del progetto Ligo, negli Stati Uniti, hanno progettato l’imponente interferometro che ha rilevato per la prima volta queste onde.
L’interferometro Ligo è stato realizzato grazie agli sforzi congiunti degli scienziati del California Institute of Technology (Caltech) e del Massachusetts Institute of Technology (Mit); il progetto, sponsorizzato dalla National Science Foundation (Nsf), è costato ben 365 milioni di dollari.
I primi, sospirati risultati sono stati annunciati alla comunità scientifica all’inizio del 2016; Ligo ha effettivamente rilevato un’onda gravitazionale, la quale finora era stata soltanto teorizzata dai calcoli di Einstein.
Questo risultato è frutto dello sforzo di oltre mille scienziati in tutto il mondo, riuniti nella Ligo Scientific Collaboration. Tra questi anche un giovane fisico, originario di Cupra Marittima, ha partecipato attivamente al progetto.
Camillo Cocchieri è uno studente dell’Università di Pisa; attualmente, a supporto della sua tesi magistrale, sta lavorando ad uno dei sistemi di isolamento di Ligo, per ridurre gli effetti del rumore sismico, in modo da rendere le misurazioni sempre più precise. Inoltre, nell’autunno 2014, Cocchieri ha trascorso un periodo di ricerca presso il sito Ligo di Livingston, per sviluppare un ulteriore progetto.
Di seguito, è riportata l’intervista che Cocchieri ha gentilmente rilasciato, alla vigilia del suo prossimo viaggio in America.
Che cosa sono le onde gravitazionali? Perché la loro scoperta è così importante?
Nella vita di tutti i giorni siamo abituati a descrivere degli eventi usando l’informazione spaziale in in relazione a un tempo assoluto: se si lascia oscillare un pendolo, la nostra esperienza ci porterà a dire che il periodo misurato da un osservatore fermo o in moto rispetto al pendolo sarà lo stesso. La Relatività di Einstein invece introduce il concetto di tempo relativo, non c’è più quindi un orologio universale che scandisce i secondi che passano, ma ogni osservatore ha con sé il suo orologio che misura un tempo, in generale, diverso dagli altri.
La necessità di una descrizione invariante per gli eventi porta quindi alla nascita dello spazio-tempo, dove lo spazio e il tempo sono strettamente collegati, un po’ come se venisse creato un “tessuto” su cui è possibile definire delle distanze.
La Relatività Generale di Einstein ci mostra come la gravità sia la manifestazione della deformazione geometrica dello spazio-tempo, dovuta alla presenza di masse in una regione dello spazio. Le onde gravitazionali sono increspature del tessuto spazio-temporale che si propagano alla velocità della luce e vengono generate da masse in accelerazione: sono gli effetti radiativi del campo gravitazionale.
Se la gravità è vista come la curvatura generata da una pallina posata su un tappeto elastico, allora le onde gravitazionali sono le increspature del tappeto che si propagano, ad esempio, dopo aver sbattuto con forza la pallina sulla superficie.
E’ possibile vedere l’effetto dell’onda come lo stiramento-schiacciamento armonico dello spazio in due direzioni perpendicolari fra loro nel piano trasverso alla direzione di propagazione dell’onda. Un po’ come se, quando un’onda gravitazionale vi colpisce frontalmente, voi vi allungaste e sfiniste poi vi abbassaste e allargaste a tempo ritmato.
A causa della debole natura del campo gravitazionale però, la teoria prevede per la radiazione ampiezze piccolissime. Come se avessimo un tappeto elastico troppo rigido e a disposizione solo palline da ping-pong.
Agitare il tappeto con una palla da bowling equivale a rivolgerci a fenomeni intensi dell’Universo, come ad esempio le Supernovae (esplosioni di stelle). Sfortunatamente la frequenza di questi eventi nella nostra galassia è piuttosto bassa (1 ogni 30 anni) e dobbiamo quindi considerare i grandi ammassi galattici per aumentare un po’ la frequenza. Per eventi del genere nell’ammasso della Vergine (che è il più vicino ammasso), l’effetto del passaggio dell’onda sulla terra porterebbe a una variazione delle distanze grossomodo pari a una parte su mille miliardi di miliardi. Usando l’analogia precedente, una volta che la palla da bowling è rimbalzata via, le onde generate allungherebbero-accorcerebbero una linea di un metro, tracciata sul nostro tappeto elastico, di circa un milionesimo del raggio di un protone.
Teorizzate per la prima volta da Einstein nel 1916, dopo la pubblicazione del suo lavoro sulla Relatività Generale, per molto tempo la comunità scientifica è rimasta perplessa sulla possibilità di una verifica sperimentale, data la loro natura evanescente. Oggi, grazie a un grandissimo sforzo da parte di scienziati di tutto il mondo, si è finalmente riusciti a rivelare una così minuscola increspatura dello spazio-tempo.
Tale scoperta permette di porre limiti ancora più stringenti sulle teorie alternative della gravitazione, ma, cosa più importante, apre una nuova era nello studio della cosmologia. Infatti, se nel passato abbiamo cercato la comprensione dell’universo solo attraverso la radiazione elettromagnetica (la luce visibile, raggi X…) e lo studio della fisica astroparticellare, ora invece abbiamo una nuova fonte di indagine: le onde gravitazionali. Tali onde hanno una bassissima interazione con la materia attraversata nel loro percorso e riescono quindi a conservare preziosissime informazioni relative alla sorgente, come buchi neri, stelle di neutroni, supernovae e sistemi di oggetti compatti in genere.
La portata di questa scoperta è paragonabile al momento in cui Galileo per la prima volta alzò gli occhi al cielo con un cannocchiale per scrutare la volta celeste, utilizzando la radiazione elettromagnetica visibile (la luce!) come fonte di ricerca; di diverso c’è che ora dobbiamo servici di strumenti non proprio maneggiabili come cannocchiali. Si utilizzano infatti interferometri, con bracci di lunghezza dell’ordine del chilometro.
Parliamo di Ligo, l’interferometro laser che ha rilevato per la prima volta queste onde; come è fatto, e come funziona?
Gli interferometri del progetto Ligo (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory), uno in Lousiana e l’altro nello stato di Washington, sono interferometri di tipo Michelson. A grandi linee sono costituiti da due tubi a vuoto di 4 Km di lunghezza perpendicolari l’uno all’altro poggiati a terra. Alle estremità dei tubi sono presenti degli specchi riflettenti mentre uno semiriflettente è posto a 45° nel punto in cui i tubi si incrociano. Un raggio laser è immesso da un’ estremità, viene diviso in due fasci ortogonali dallo specchio semiriflettente, che proseguono il loro cammino all’interno dei bracci dell’interferometro. Una volta giunti a fine corsa, i due fasci vengo riflessi e si ricombinano lì dove si erano divisi, dando luogo a interferenza. L’ interferenza rivelata conserva informazioni precise sulla differenza in lunghezza dei due bracci.
Al passaggio di un’onda gravitazionale, come detto in precedenza, ci sarà uno schiacciamento dello spazio in una direzione e uno stiramento nella direzione perpendicolare che si manifesterà come un locale cambiamento della differenza della lunghezza dei bracci dell’interferometro. Questo fenomeno è quindi rivelabile tramite l’analisi dell’interferenza dei due fasci laser che lascerà una precisa impronta del passaggio dell’onda.
Un punto fondamentale è che si deve garantire che gli specchi creino quello che viene definito un sistema di riferimento in caduta libera: devono essere completamente svincolati da forze esterne mantenendo costante la distanza fra di loro. La soluzione adottata è un complesso sistema di isolamento attivo che culmina con la sospensione degli specchi con una coppia di fili.
Il principio dell’isolamento passivo (la sospensione) è facilmente dimostrabile appendendo una massa a un filo e agitando il punto superiore di fissaggio: si nota che agitandolo lentamente (basse frequenze), la massa segue il movimento del punto di fissaggio mentre, agitandolo velocemente, (alte frequenze) la massa rimarrà ferma. Questo vuol dire che la massa, e dunque lo specchio, è “ferma” considerando alcune frequenze mentre si muove per frequenze più basse. Dunque, un’analisi in frequenza del segnale dell’interferenza del laser può darci una finestra di operatività per la rivelazione delle onde gravitazionali.
Quello appena analizzato è però solo una fonte di rumore (rumore sismico) per l’interferometro; ne esistono molti altri che affettano diverse bande di frequenza. Basti pensare che, come monitoraggio sul segnale, si tiene anche conto dell’attrazione gravitazionale delle nuvole sugli specchi!
Nel febbraio 2016 è stato annunciato che Ligo, in collaborazione con il progetto Virgo, aveva ufficialmente dimostrato l’esistenza delle increspature nello spazio-tempo teorizzate da Einstein. Dov’eri il giorno della grande scoperta? Come hai reagito alla notizia?
Il giorno della scoperta (14/09/15) ero al letto, era pomeriggio, controllavo le mail sul cellulare appena svegliato. Fra quelle appena ricevute ne noto una, parlava di un segnale rivelato molto interessante, si chiedeva se ci fossero state iniezioni di segnali fake di calibrazione… Da lì a poco si è capito che qualcosa di grande stava accadendo. Ero molto contento della notizia ma… non ho potuto condividerla con nessuno fino al febbraio successivo quando, dopo mesi di verifiche e test, si è deciso che finalmente era giunto il momento di rendere pubblico l’evento.
Come sei entrato a far parte del team di ricerca? Di cosa ti sei occupato nel periodo della tesi?
Quando ho avuto i primi contatti, frequentavo il corso di laurea magistrale in “Fisica delle Interazioni Fondamentali”, a Pisa.
Due anni fa, nel 2014, ho vinto una borsa di scambio Infn/Nsf della durata di circa 3 mesi, per effettuare una ricerca estiva presso l’osservatorio Ligo di Livingston, in Lousiana, avendo come sponsor locale l’Università del Mississippi. Il progetto a cui lavoravo permetteva degli ulteriori sviluppi, così, una volta tornato in Italia, continuai la collaborazione. Poiché eravamo continuamente in contatto, giunto il momento di scegliere una tesi magistrale, ho avuto una proposta da loro per un lavoro sperimentale: dovevo sviluppare un sensore sismico insensibile alle inclinazioni del suolo, utile a garantire un migliore isolamento sismico degli specchi dell’interferometro. Il lavoro sarebbe stato effettuato presso l’Università del Mississippi, come membro del suo gruppo Ligo, con ottime possibilità di raggiungere nuovamente il sito di Livingston per ulteriori studi, solo a 5 ore di auto distante.
Come avevo accennato prima, l’isolamento sismico negli interferometri ha un ruolo cruciale. Il sistema attivo di isolamento è a grandi linee costituito da una serie di sensori ambientali che rivelano lo spostamento del suolo e inviano il segnale ad attuatori che agiscono sui controlli meccanici degli specchi, cercando di annullare il moto originale.
Il problema sorge quando si utilizzano sensori inerziali (accelerometri, geofoni…) per monitorare le vibrazioni. Infatti il loro segnale è contaminato da una componente dovuta alle inclinazioni del terreno, il cui contributo aumenta quadraticamente col diminuire della frequenza (se divido in due la frequenza, il contributo è quadruplicato). Questa incapacità nel risolvere a dovere il moto traslazionale del terreno porta a una maggiore necessità nell’attuazione diretta sulle sospensioni degli specchi, che inevitabilmente introduce del rumore, e a una minore durata del periodo in cui l’interferometro è funzionante.
Nel periodo della tesi ho sviluppato un’idea appena nata per rendere i sensori inerziali insensibili alle inclinazioni del terreno. Il principio di funzionamento è semplice: come un pendolo è idealmente insensibile alle inclinazioni del punto superiore di fissaggio, sospendendo opportunamente il sensore, si dovrebbe ottenere una sensibilità soddisfacente per gli standard Ligo. Mi sono quindi occupato prima dell’analisi del problema negli osservatori di Livingston (LA) e Hanford (WA) poi all’analisi teorica del sistema da sviluppare, la modellazione del sistema stesso e il setup dell’esperimento, poi la costruzione e messa in opera… ed ora dobbiamo attendere fiduciosi i primi dati sperimentali definitivi.
L’ambiente di ricerca americano è in qualche modo diverso da quello italiano? Quali sono gli aspetti che hai apprezzato di più, durante la tua permanenza?
Purtroppo ho conosciuto solo il modello americano. Le mie brevi esperienze di ricerca (3 mesi in Lousiana e 6 mesi in Mississippi) sono state svolte tutte negli Stati Uniti, ma ho avuto comunque modo di scambiare opinioni con colleghi che hanno lavorato o lavorano in Italia. Il problema che ricorre nel paragone è sempre lo stesso, cioè la lentezza della macchina burocratica e finanziamenti pressoché assenti.
La mia esperienza dal punto di vista della ricerca è stata entusiasmante. Ho avuto la possibilità di lavorare in un bellissimo ambiente; puntano molto su di te, dandoti praticamente carta bianca. Le risorse economiche sicuramente non mancano, permettendo di investire su strumentazione all’avanguardia, personale, viaggi di lavoro e la quasi assenza della burocrazia porta i tempi di gestione delle risorse a livelli bassissimi.
Questo ha riguardato la mia personale esperienza, ma sentirei di estendere questo ritratto a tutta la nazione.
E quelli che ti sono piaciuti meno?
Come spesso mi capita di dire, quando sei in America si sente che c’è un oceano che ti divide da casa. La vita sociale e la società stessa è completamente diversa da come siamo abituati, specialmente nel sud degli States. Questioni di abitudini.
Pensi di tornare negli Stati Uniti prima o poi? Che progetti hai per il futuro?
Ho ricevuto da loro un’offerta di PhD, pensando di continuare a sviluppare il progetto a cui ho lavorato nei mesi passati. Ho accettato l’offerta, il cammino è ancora lungo ma, in fondo, desidero solo fare ciò che mi piace, la ricerca di base. Non dimentichiamo che comunque abbiamo anche un’eccellenza europea (italo-francese) nel campo della gravitazione sperimentale, il progetto Virgo (osservatorio a Cascina, PI), che collabora strettamente con Ligo. Non escludo, quindi, il ritorno. Se accadesse, vorrei solo tornare più professionalmente maturo cercando, insieme a tanti altri ricercatori, di valorizzare la ricerca italiana e cambiare qualcosa, in un Paese ricchissimo di menti geniali.
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