ROMA – Un team di sismologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha analizzato le relazioni esistenti tra la micro-sismicità indotta dalla re-iniezione di acque di strato, associate all’estrazione di idrocarburi, e le faglie presenti nel sottosuolo della Val d’Agri, in provincia di Potenza. Si tratta del primo studio italiano, condotto nell’ambito di un progetto ENI-INGV per rispondere ad una prescrizione della Regione Basilicata relativa alle attività di re-iniezione nel pozzo Costa Molina 2.

La ricerca Inversion of inherited thrusts by wastewater injection induced seismicity at the Val d’Agri oilfield (Italy)” è stata pubblicata oggi su Scientific Reports (gruppo Nature) e ha l’obiettivo di caratterizzare la struttura geologica del sottosuolo delineata dalla distribuzione della sismicità indotta osservata nei dintorni del pozzo di re-iniezione, grazie all’integrazione di una grande mole di dati di sottosuolo, per esplorazione petrolifera (sismica a riflessione e dati di pozzi profondi) e di micro-sismicità locale, registrati dal 2001 al 2014 dalle stazioni permanenti e temporanee dell’Ingv e dalla rete di monitoraggio Eni.

Da essa emerge che i microterremoti indotti sono localizzati tra i 2 e i 5 km di profondità nell’immediato intorno di Costa Molina 2 e raggiungono la magnitudo massima di 2.2. Dovuti all’incremento della pressione dei fluidi, si concentrano maggiormente nel serbatoio di iniezione, costituito da rocce carbonatiche fratturate, su una faglia inversa cieca con pendenza di circa 50° a nord-est, appartenente ad un sistema di faglie preesistente.

“La Val d’Agri ospita il più grande giacimento europeo di idrocarburi in terra ferma – spiega Mauro Buttinelli, ricercatore INGV e coordinatore della ricerca – A partire dal giugno 2006 le acque di strato associate all’estrazione di idrocarburi vengono re-iniettate in un’area marginale e non produttiva sul lato sud-orientale del giacimento petrolifero attraverso il pozzo Costa Molina 2, nello stesse rocce che costituiscono il serbatoio di provenienza degli idrocarburi estratti, a circa 4 km di profondità. La re-iniezione delle acque di strato induce sismicità con magnitudo massima di 2.2, che si è manifestata fin dalle prime ore successive all’inizio dell’attività di iniezione”.

“Il meccanismo fisico che viene proposto per spiegare la microsismicità indotta osservata è quello della riattivazione con cinematica estensionale di piccole faglie e fratture (di lunghezza massima di 100-200m) appartenenti ad una zona ad elevata permeabilità della faglia delineata dall’allineamento dei microterremoti. Le piccole faglie e le fratture riattivate sono quelle favorevolmente orientate all’interno del campo di stress estensionale attuale. La riattivazione è indotta dall’incremento della pressione dei fluidi nel serbatoio di iniezione. In sintesi, con questo studio si è riusciti a definire che la re-iniezione di fluidi ha riattivato alcune porzioni di una faglia preesistente. In questo contesto la stretta collaborazione tra il mondo della ricerca, gli Enti di Controllo (MiSE, Regioni, ARPA) e le compagnie petrolifere risulta un elemento di grande importanza per la caratterizzazione ed il monitoraggio della sismicità, sia essa naturale o indotta”.

Basterebbe cambiare strada per eliminare, o almeno limitare, la sismicità indotta. Ma le compagnie petrolifere preferiscono studiarla. E sono fondamentali anche per monitorare quella naturale.
Come faremmo senza di loro?