Secondo Debora Serracchiani, vicepresidente del Partito Democratico e sostenitrice del Sì, il 75% della produzione legislativa italiana è di derivazione comunitaria (intervista a Radio Anch’io).

L’Italia non ha più una propria moneta. Questo vuol dire che non può intervenire sul tasso di interesse pagato sui titoli di Stato, e che quindi non può gestire neppure l’ammontare del deficit annuale e del debito pubblico, a meno che non si alzino sempre più le tasse o taglino servizi essenziali.

L’Italia non ha una politica fiscale autonoma. Infatti la Legge di Stabilità, sulla base della qualelo Stato italiano decide chi mangia e chi no, viene scritta sotto rigida osservanza delle prescrizioni dell’Unione Europea. Non è un caso che questa viene inviata alla Commissione Europea prima della discussione nel Parlamento italiano. L’Italia ha una relativa libertà di spostamento di risorse da un settore all’altro, sempre rispettando le prescrizioni generali.

L’Italia non ha neppure dei confini, non solo fisici, ma anche economici.

Di fronte ad un contesto di spoliazione così grave addirittura del primo articolo della Costituzione Italiana (“la sovranità appartiene al popolo“), fatico a comprendere davvero la propaganda dei sostenitori del Sì al referendum del 4 dicembre.

In un contesto dove non “si decide” ma “si attua” ciò che da altri deciso fuori da ogni controllo democratico, la propaganda di leggi rapide per essere competitivi, oltre che contraddittoria in sé, risulta di difficile comprensione. Eventualmente la millantata velocità e modernità dell’azione legislativa sarebbe conforme ad una obbedienza dei desiderata altrui.

A meno che i sostenitori del Sì non si riscoprano improvvisi neo-sovranisti (il che sarà possibile), questo mi sembra un punto fondamentale e, ahimè, non trattato nel dibattito in corso.