SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È dal 1972 che l’Europa continua a ripetercelo: “chi inquina paga”, talvolta in denaro ma più spesso in salute. Sono trascorsi  44 anni ma poco o nulla sembra cambiato. È infatti di pochi giorni fa la notizia che saranno costruiti 8 nuovi inceneritori per “smaltire” – o meglio “bruciare” – 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno. Uno tra questi, e nemmeno il più piccolo (stiamo parlando di 190 mila tonnellate di rifiuti ogni anno), è in previsione proprio nelle Marche. È quanto annuncia il Dpcm in attuazione dello Sblocca Italia pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 5 ottobre 2016.

“Ancora – ci comunica Peppe Giorgini – non si sa dove vogliano costruirlo”. Il consigliere in commissione ambiente e paesaggio afferma infatti: “Nelle Marche non abbiamo bisogno di un nuovo inceneritore. Il piano regionale – prosegue – non lo prevede. Siamo una Regione virtuosa con un’alta percentuale di rifiuti riciclati”. Ma andiamo per gradi.

Il gruppo consiliare del M5S già nel settembre 2015 aveva presentato una mozione per opporsi alla costruzione di questo impianto. Il 7 settembre Sandro Bisonni (M5S) e Andrea Biancani (Pd), erano della stessa opinione. Proprio Biancani aveva chiesto a Sciapichetti di rifiutare la costruzione di un inceneritore non necessario oltreché in contrasto con gli indirizzi di giunta e Regione e l’assessore aveva concordato con il presidente della terza commissione permanente.

Nel consiglio regionale del 1 dicembre 2015 il M5S aveva votato una mozione, approvata all’unanimità, affinché la giunta desse parere negativo in conferenza Stato – Regioni. Nonostante questi secchi no si è andati avanti, come mai?

In realtà, risulta che in data 4 febbraio 2016 in conferenza Stato – Regioni, gli unici pareri negativi siano stati quelli di Lombardia e Campania. Il presidente Ceriscioli,  invece, pare aver accettato di fatto il decreto attuativo dello Sblocca Italia promettendo un accordo con Molise, Umbria e Abruzzo per ottimizzare le infrastrutture di trattamento dei rifiuti. Poi, il 16 febbraio, Sciapichetti ha ribadito il no nel rispondere a due interrogazioni di Lega nord e gruppo misto in merito alla mozione di dicembre. “Il no all’inceneritore non è cambiato di un millimetro” aveva affermato l’assessore.

Quindi un no che si è trasformato in sì passando attraverso i “nì” della politica.

Nelle tre tabelle allegate al decreto di attuazione dello Sblocca Italia è possibile visualizzare gli impianti di incenerimento attivi e non. Trentaquattro i termovalorizzatori operativi che bruciano 5,810 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno. Altre 665.650 tonnellate sono calcolate come capacità potenziale di trattamento dei rifiuti in impianti autorizzati ma non in esercizio. A questi il decreto intende aggiungere gli otto impianti di Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Sardegna e  Sicilia (qui le opere previste sono addirittura due). Il tutto per arrivare ad un Leviatano di circa 8 milioni di tonnellate di immondizia ogni anno.

“Questi centri – si legge in Gu – costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di  preminenteinteresse nazionale”.

Ma cos’è un inceneritore? Il Dpcm rimanda all’arcinoto decreto 152/2006. Qui gli impianti sono descritti come “qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione”. Se “le parole sono importanti”, nelle fonti normative lo sono di più. Perché dal decreto Ronchi (d.lgs. 22/1997) in Italia gli impianti devono prevedere recupero di calore. Dunque a che pro parlare di impianti “con o senza recupero di calore”? A che pro non prevedere “la Vas per tali impianti – come dice Peppe Giorgini – e aggirare le leggi europee”?

Forse, viene da pensare, perché c’è chi vuole sbloccare l’Italia, ma vuole sbloccarla così tanto da mandarla in tilt ché a scuotere un salvadanaio vuoto al massimo ottieni un salvadanaio rotto, non uno pieno. Così scuotiamo il nostro territorio con trivelle e inceneritori, nell’attuazione dello Sblocca Italia.

Non si chiude qui l’argomento per il M5S regionale che ha in preparazione una mozione relativa ad inadempienze circa la procedura di  Vas e sulla quale sono attesi aggiornamenti.

Gli impianti, prosegue il decreto, “realizzano un sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti urbani e assimilati”. Come si può definire moderno un sistema classificato al pari di una fabbrica insalubre già nel 1994? Il signor G cantava che “si può”. Il decreto ministeriale 5 settembre 1994 ha allegato al TU delle leggi sanitarie un elenco di “fabbriche insalubri” tra cui, al punto C) 14 troviamo proprio gli inceneritori. Il 5 ottobre 2016,  22 anni dopo, quelle strutture che  “debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni” (definizione del TU 27 luglio 1934) diventano “moderne”.

È legittimo pensare che non si possa riciclare o riusare tutto, o che nell’attesa di una piena realizzazione dei principi di precauzione e “rilascio zero” sia pur necessario lo smaltimento mediante termovalorizzatori.

Ma se l’obiettivo resta il riuso anziché l’inquinamento perché costruire 8 nuovi impianti e progettare l’attivazione di quelli già esistenti ma non operanti?

Sembra davvero che non sia cambiato nulla dalla raccomandazione 26 maggio 1972 n°128, quando per la prima volta venne formulato il principio “chi inquina paga”. Anche alla luce di quanto è costato l’uso dei termovalorizzatori in termini di salute. Se tante associazioni ambientaliste negli scorsi mesi si sono stracciate le vesti, il loro non è un “j’accuse” peregrino. Una relazione del 2008 sul caso degli inceneritori a Venezia dovrebbe aver fatto scuola ma il condizionale è d’obbligo. Lo studio, condotto dalla Asl di Mantova assieme al registro tumori del Veneto, ha concluso che il rischio di cancro al tessuto connettivo (sarcoma) in rapporto all’esposizione alle diossine emesse dai termovalorizzatori è evidente.  “Gli inceneritori con più alto livello di emissioni in atmosfera sono stati quelli che bruciavano rifiuti urbani. Nell’ordine sono seguiti quelli per rifiuti ospedalieri e quelli industriali”. Ancora: “La Provincia di Venezia ha subito un massiccio inquinamento atmosferico da sostanze diossino – simili rilasciate dagli inceneritori”.

I composti presenti nelle emissioni gassose includono diossine,  composti organici volatili e metalli pesanti. Molte sostanze sono persistenti, bioaccumulabili e tossiche. Considerando i gas emessi, peso e volume dei rifiuti non vengono affatto ridotti con l’incenerimento. Si dice che il volume dei rifiuti venga ridotto di circa il 90% durante la combustione ma la percentuale è più vicina al 45. Si assume che il peso venga ridotto di circa un terzo ma la quantità di rifiuti immessi è inferiore a quella dei gas tossici e cancerogeni prodotti. Nella trasformazione delle sostanze in calore si generano gas che non possono essere totalmente filtrati e che quindi vengono distribuiti in una superficie più ampia di quella occupata e inquinata da una qualunque discarica.

Studi di Greenpeace realizzati grazie all’università di Exeter hanno dimostrato un aumento del 44% del sarcoma del tessuto molle e del 27% del linfoma non-Hodgkin’. Gli stessi studi hanno fatto emergere l’aumento della probabilità di mortalità da cancro del polmone di un fattore da 3 a 5, della probabilità di mortalità da cancro dell’esofago da 1 a 5. Senza contare l’aumento della mortalità da cancro all’apparato gastrico di un fattore da 2 a 79. In aumento anche il rischio di mortalità per malattie ischemiche ed è aumentato del doppio il rischio di mortalità per cancro nei bambini.

Prevedibili purtroppo anche i rischi che  questo progetto – in attuazione dello Sblocca Italia – avrebbe sull’apparato respiratorio come asma e bronchite. Crescerebbe da 1 a 26 il rischio di malformazioni congenite dei  neonati.

Un noto e compianto divulgatore scientifico, Carl Sagan, una volta ebbe a dire: “La nostra generazione deve scegliere cosa le interessa di più: profitti a breve termine o l’abitabilità a lungo termine della nostra casa?”.