Quando sentii parlare per la prima volta Dario Fo, avevo da poco cominciato a contare gli anni con due mani. Non conoscevo né lui né le sue opere; non avevo idea di cosa fosse il Grammelot, l’attivismo era per me un concetto ancora sconosciuto. Sapevo solo, per bocca dei miei genitori, che quella che stavo guardando era una bella cosa. E lo era davvero.

“La freccia azzurra”, di Enzo D’Alò, è rimasto un grande capolavoro tra i film di animazione. Fo, per l’occasione, è la burbera voce del Signor Scarafoni, un omaccione avido e con pochi scrupoli, ma un po’ maldestro e molto sfortunato. Un personaggio graziosissimo nella sua veste di cattivo, capace di far nascere sorrisi anche nei momenti di maggiore tensione. Ho ancora in mente il suo buffo accento, la voce calda e dura di chi si arrabbia per finta, il linguaggio misto al dialetto.

Tutti elementi che hanno caratterizzato l’intera carriera di Dario Fo, divisa tra teatro, scrittura e pittura. Un artista a tutto tondo, dallo stile unico e inimitabile, instancabile e sempre pronto a prendere la parola, sulla scena come nella vita. E’ difficile descrivere Fo senza fare riferimento alla sua carriera; era infatti un perfetto esempio di “animale da palcoscenico”: viveva per il teatro, era la sua gioia, vedendolo recitare era inevitabile rimanere ammaliati dalla sua energia e dal buonumore.

La passione per la narrazione, sia scritta che parlata, fu un amore precoce, presente fin dall’infanzia. Nato a Sangiano nel 1926, Dario Fo trascorse i suoi primi anni ascoltando storie: racconti di lavoratori, favole locali, novelle dialettali, gettarono le basi di uno stile affabulatorio, immediato e deliziosamente ironico, che lo ha accompagnato in tutta la sua grande produzione artistica.

La sua carriera iniziò tra il 1943 ed il 1950: dopo un periodo di militanza volontaria nell’esercito, ottenne il diploma presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera, e cominciò a lavorare per la RAI; erano gli ultimi anni d’oro della radio, prima dell’avvento della televisione: lo stesso termine RAI non era ancora acronimo di Radiotelevisione Italiana, ma di Radio Audizioni Italiane. Il passaggio di significato avverrà quattro anni dopo.

Fo si occupò inizialmente di scrivere e recitare testi satirici alla radio; proprio in quell’ambiente conobbe la collega e attrice Franca Rame. E’ un felicissimo incontro per i due artisti, e anche per la storia della drammaturgia italiana: tra gli anni sessanta e settanta, infatti, fondarono insieme prima la compagnia teatrale Dario Fo – Franca Rame, poi il gruppo teatrale Nuova Scena, riscuotendo un crescente successo tra il pubblico.

L’idea che animava entrambi i progetti era di ricostruire la commedia dalla base, dalla sua forma più popolare: un linguaggio semplice, intuitivo, con personaggi caricaturali ma arguti; a questo scopo Fo attinse a piene mani dalla tradizione giullaresca medievale, elaborandola in chiave moderna. Cominciò così anche un lavoro di satira sociale; la leggerezza dei personaggi veniva usata per descrivere, senza drammatizzare, situazioni di cronaca e quotidianità italiana, che spesso invece risultavano drammatiche nella realtà.

Il suo spirito di denuncia, nel periodo di fermenti e proteste che era il ’68, destò molto clamore, e suscitò le ire delle maggiori istituzioni statali. Il culmine si ebbe nel 1970, quando andò in scena la commedia “Morte accidentale di un anarchico”. La vicenda si ispirava alla tragica fine di Giuseppe Pinelli, morto nel commissariato della Polizia di Milano in circostanze mai chiarite; l’allestimento dello spettacolo costò a Fo oltre quaranta processi in varie regioni.

“Morte accidentale di un anarchico” è rimasta una delle commedie più conosciute dell’artista. Il suo capolavoro, però, era stato scritto già nel 1969; Mistero buffo, la somma giullarata anticlericale, fu accolto con un immediato e meritatissimo successo. L’opera sarebbe presto diventata la pietra miliare per un nuovo genere di spettacolo: il teatro di narrazione. La commedia, infatti, non prevede alcun personaggio; è un narratore che, cambiando gestualità e voce, racconta la storia di santi e poverelli, in un linguaggio inventato appositamente per lo scopo.

Il Grammelot è una miscela di vari dialetti padani, con una cadenza estremamente onomatopeica. L’espediente linguistico è straordinario perché, come per magia, il Grammelot può essere compreso da chiunque. In tutto il mondo. E’ proprio quello che serve a Fo per diffondere il suo messaggio al grande pubblico.

Furono soprattutto queste due opere che valsero all’artista, nel 1997, il premio Nobel per la Letteratura; l’autore ne fu informato in modo piuttosto bizzarro, degno di un grande comico: al momento dell’annuncio, infatti, si trovava in auto sull’autostrada del Sole, per le riprese del programma Milano/Roma di Rai3. Un giornalista di Repubblica, che viaggiava in un’altra vettura, gli si affiancò con un foglio di carta attaccato al finestrino; sopra c’era scritto: “Hai vinto il Nobel”.

In seguito si fermarono tutti al primo Autogrill, per ascoltare la notizia in televisione.

Negli ultimi anni di vita, Fo si è dedicato incessantemente alla scrittura di nuove opere, alla recitazione e all’attivismo politico-sociale. Mi capitò di incontrarlo di persona, per la prima e ultima volta, nel 2011, quando rimise in scena il suo Mistero buffo in un teatro di Modena. Era già molto anziano, e aveva evidenti difficoltà a muoversi. Eppure, una volta salito sul palco, ho assistito ad una trasformazione stupefacente: tutt’a un tratto, braccia e gambe hanno cominciato a muoversi con assoluta scioltezza, la voce è fluita come un fiume, forte e decisa; non sentiva più stanchezza, né acciacchi, si muoveva con tutta la naturalezza accumulata in tanti anni di spettacolo. Ad ogni età, era lui il re, il servo ed il Matto della scena; c’era anche Franca Rame, che invece appariva più provata, ma sempre felice di condividere il riso del pubblico. Di loro mi è rimasto un bellissimo ricordo, e due ghirigori sulla prima pagina di un libro.

Fo si è spento stamattina, il 13 ottobre 2016, all’età di novant’anni. Da due settimane era ricoverato in ospedale per un’insufficienza respiratoria, derivata da una lunga malattia ai polmoni. “Se mi dovesse capitare qualcosa, dite che ho fatto di tutto per campare” Aveva detto in precedenza; e non si è mai smentito. I suoi ultimi mesi erano trascorsi in una serie interminabile di impegni; tra pubblicazioni, spettacoli e nuove idee, Fo ha voluto lasciare quanto più possibile di sé sulla Terra, con tanto più vigore in quanto sentiva la sua ora avvicinarsi sempre più. Non è stato un incontro drammatico, quello con la Morte. Fo l’ha affrontata serenamente, come la giusta conclusione di una vita ricchissima di affetti e successi. Sabato, alle ore 15, si terranno i funerali in Piazza Duomo a Milano.

Buonanotte grand’uomo, giullare d’Italia.