SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Crollano ai minimi storici i prezzi del pesce Made in Italy, con il ritorno in mare in Adriatico che vede quotazioni sui livelli di trent’anni fa, anche sotto gli 0,1 euro al chilo  per alcune delle specie più tipiche del periodo. A denunciarlo è la Coldiretti Impresapesca che per sabato 8 ottobre, lancia il Triglia Day, una giornata di sensibilizzazione dei consumatori sulle proprietà del pesce di stagione, invitando all’acquisto direttamente dai produttori o nei mercati ittici a km zero, a partire da quelli di Campagna Amica.

La fine del fermo pesca – rileva Coldiretti Impresapesca – ha portato sul mercato una grande quantità di prodotto proprio nel momento in cui i consumi calano, con la fine del periodo estivo. Il risultato è che i prezzi pagati ai pescatori sono crollati ai livelli di trent’anni fa, mentre il pesce resta sui banchi. Basti pensare al caso delle triglie, le cui quotazioni sono crollate fino a 0,1 euro al chilo, mentre le gallinelle si trovano anche a 0,5 euro al chilo. E ciò nonostante si tratti di prodotti di qualità e dalle importanti proprietà nutrizionali, essendo ricchi, tra l’altro di Omega3. Un problema grave per una marineria che negli ultimi 30 anni hanno perso in Italia il 35 per cento delle imbarcazioni e 18.000 posti di lavoro, mentre si è progressivamente ridotto il grado di autoapprovvigionamento del pescato. Senza dimenticare che sulla ripresa delle attività pesa il mancato arrivo dei fondi per il fermo 2015, il cui sblocco era stato annunciato nel luglio scorso, con i pagamenti che sarebbero dovuti scattare da settembre.

L’ennesima dimostrazione – denuncia Coldiretti Impresapesca – del fatto che l’attuale meccanismo di arresto delle attività è sbagliato, in quanto non premia i produttori, né tutela la risorsa, non tenendo peraltro conto del fatto che solo alcune specie ittiche si riproducono in questo periodo. Il fatto di togliere poi il pescato Made in Italy dal mercato proprio nel periodo di massimo consumo non fa altro che favorire le importazioni di prodotti ittici dall’estero, i cui arrivi si sono, non a caso, moltiplicati negli ultimi anni, fino a raggiungere nel 2015 quota 769 milioni di chili, dei quali ben il 40% viene da paesi extracomunitari secondo l’analisi della Coldiretti.

Dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola, la frode è dunque in agguato sui banchi di vendita in Italia dove più di due pesci su tre provengono dall’estero con il rischio evidente che venga offerto come Made in Italy pesce importato, anche perché al ristorante non è obbligatorio indicare la provenienza.

Per effettuare acquisti di qualità al giusto prezzo il consiglio di Coldiretti Impresapesca è di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (Gsa). Le provenienze da preferire sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta). Ma si può anche rivolgersi alle esperienze di filiera corta per la vendita diretta del pescato che Coldiretti Impresapesca ha avviato presso la rete di Campagna Amica.