Il tragico evento del terremoto di questi giorni mi porta a fare delle brevi riflessioni su quello che leggo o sento, consapevole che non riuscirò a sviscerare tutte le questioni, ma spero serva a porsi delle domande su alcune questioni.

Un paese sismico da sempre

Il nostro è un paese sismico da sempre, relativamente giovane geologicamente, è soggetto per gran parte del territorio ai movimenti della crosta terrestre, la terra fa la terra da quando è nata e forse anche al fatto che sia “viva” che ci troviamo su questo pianeta. Sono le costruzioni dell’uomo che causano le vittime. In Giappone, dove negli ultimi 30 anni il terremoto più piccolo è stato di magnitudo 6 (come quello che ha colpito Amatrice), è dal 1923, quando a Kanto si verificò una scossa di magnitudo 7.9 che lasciò sotto le macerie 143 mila morti che costantemente si mettono a norma gli edifici, come del resto in California.

Abbiamo la mappa sismica del territorio (nella sezione archivio quesiti del sito troverete molte risposte alle vostre domande) e anche le statistiche dei terremoti dei secoli dietro (non a caso capitano quasi sempre negli stessi punti) e abbiamo anche i migliori tecnici per costruire in maniera antisismica, allora la domanda è: perché in un secolo di terremoti gravi la politica non ha fatto nulla?

Giuseppe Mercalli nel 1908 diceva: “La sismologia non sa dire quando, ma sa dire dove avverranno terremoti rovinosi, e sa pure graduare la sismicità delle diverse province italiane, quindi saprebbe indicare al governo dove sarebbero necessari regolamenti edilizi più e dove meno rigorosi, senza aspettare che prima il terremoto distrugga quei paesi che si vogliono salvare”.

Un patrimonio edilizio non antisismico da sempre

Le lesioni degli edifici rimasti ma anche quelli crollati ci dicono molto: nuovi tetti o sopraelevazioni in cemento armato su murature portanti, materiali diversi utilizzati in diversi periodi per diversi ampliamenti, strutture diverse di tipo misto muratura portante insieme a pilastri, quindi non coerenza tra le strutture, che rispondono in maniera diversa alle sollecitazioni del sisma, mancanza di staffe nei pilastri o di ferro sagomato.

Altra questione riguarda invece alcuni edifici costruiti negli ultimi 20 anni che risultano non agibili e che sollevano molte polemiche, da quel po’ che ho visto non risultano non agibili per cedimenti strutturali, anzi spesso le strutture hanno risposto molto bene, sono inagibili perché sono caduti i muri e quelli da buoni italiani li abbiamo fatti da sempre in muratura perché “il mattone è il mattone!”, ma “il mattone”, se ti prende in testa ti può anche uccidere.

Un ingegnere giapponese l’altro giorno ha detto: “l’Italia si deve scordare mattoni e pietra”, quindi via a sistemi leggeri, di veloce e facile esecuzione e di facile sostituzioni, meno peso, meno materia, meno inquinamento, meno feriti, “togliere per aumentare” prestazioni e sicurezza.

Da anni si parla dell’istituzione obbligatoria del fascicolo del fabbricato, una sorta di carta di identità del fabbricato, che già farebbe capire come è stato costruito, ampliato e come intervenire, un po’ come l’Ape (attestato di prestazione energetica), abbiamo tecnici e strumentazione adatta per fare la diagnosi, quindi chiamate professionisti preparati come se dovreste pensare alla vostra salute, tanto indirettamente di quella si tratta. A tal proposito il governo ha inserito da qualche anno, tra le agevolazioni fiscali per l’efficienza energetica e per le ristrutturazioni degli edifici privati, anche quelli per l’adeguamento sismico.

Un’architettura per sempre

In questi giorni molti architetti, ingegneri e geologi si sono espressi sulla questione del terremoto e mi sembra che tutti abbiano le idee chiare e sopratutto concordino sul fatto che il nostro paese sia all’avanguardia su questa questione e ci siano tutte le conoscenze per mantenere un patrimonio architettonico unico al mondo, ma che rischia di scomparire. Ho tratto tre stralci da tre interviste che mi sembrano interessanti come spunto di riflessione.

Alejandro Aravena, l’architetto cileno premio Pritzker 2016, direttore della Biennale architettura in corso a Venezia, punta sulla partecipazione della popolazione e dice “…. senza partecipazione dei cittadini ogni passaggio sarebbe stato più lento e sarebbero aumentati i fattori di inefficienza. Inoltre partecipare può anche funzionare come terapia per alleviare il dolore e ridurre la paura. Si condivide una visione del futuro. L’importante è capire che dalle persone colpite dal terremoto non bisogna aspettarsi risposte, ma domande che occorre interpretare alla luce delle conoscenze tecniche”.

Renzo Piano, architetto a livello internazionale, vincitore del premio Pritzker 1998: “Siamo eredi, indegni, di un grande patrimonio che ci è stato lasciato. Indegni perché non lo proteggiamo. Non ascoltare è colpevole. Davanti a catastrofi così non si può parlare di fatalità. Prendiamo in carico il lascito che abbiamo ricevuto dal passato e occupiamocene seriamente ”.

Luigi Prestinenza Puglisi critico e storico dell’architettura italiano, fa un’analisi sul ricostruire dove era e come era alla luce di fallimenti di nuovi paesi di fondazione post sisma come a Gibellina dove Burri ha “congelato” con un’immensa opera di land art il vecchio paese distrutto dal terremoto del Belice il 14 gennaio 1968: “Vi è però un problema che dovrebbe farci riflettere: nella ricostruzione bisogna conservare gli errori? Pensare che un capolavoro, o anche un’opera riuscita, debba essere fotocopiata dov’era e com’era è relativamente semplice, basta utilizzare le tecniche più idonee a far sembrare vero il falso, ma pensare a ricostruire un errore fa tremare i polsi. In tutti i paesi civili – penso alla Francia, alla Spagna, alla Svizzera, all’Olanda, alla Gran Bretagna – la storia non è un tabù come in Italia. E la loro risposta è stata: correggiamo gli errori, innalziamo la qualità, introduciamo con intelligenza tecniche e forme nuove che sappiano dialogare e migliorare. Ecco perché propongo quattro o cinque interventi pilota (con “quattro o cinque” intendo un numero limitato e ragionevole da gestire) di qualità, e quindi affidati ai migliori progettisti attraverso una agevole ma seria procedura concorsuale. Teniamoci, allora, il presepe, se è quanto di meglio questa povera Italia sa produrre, ma almeno senza quel feticismo che contribuisce, giorno dopo giorno, a trasformarci nel Paese della nostalgia senza ritorno.“

Questo a mio avviso è un altro problema, perché da quello che mi risulta i fondi vengono dati a chi risiede nella casa, ma in quei paese tranne alcune eccezioni come Amatrice, i residenti sono la minima parte, gli altri hanno tutte seconde case che usano nel periodo estivo, quindi? Avremo solo paesi ricostruiti per un quarto? E di quelli residenti? chi ricostruirebbe sapendo che intorno c’è il deserto, perché gli altri non hanno le risorse per ricostruire.

I presupposti per essere leader mondiali in positivo, per quanto riguarda questa tipologia di catastrofi: dalla protezione civile ai vigili del fuoco, dai volontari all’esercito, dagli ingegneri agli architetti, dai costruttori ai produttori di materiali, sembra ci siano tutti, occorre solo una politica che vigili e sia capace di volere che si riducano al minimo tali catastrofi, cominciando dalla messa a norma degli edifici pubblici strategici, perché l’impressione che la burocrazia intasi e rallenti il tutto è forte.