MONTEPRANDONE – Nella giornata del 6 agosto avevamo riportato la nota dell’Ansa riguardo a due nigeriane residenti nella Provincia di Ascoli arrestate per un giro legato allo sfruttamento della prostituzione. (CLICCA QUI)

Sono accusate dalla Procura antimafia di Catania di associazione per delinquere finalizzata alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione di connazionali minorenni. Le ragazze sbarcavano in Sicilia e poi venivano avviate alla prostituzione tramite le due fermate.

Nella giornata del 13 agosto la Questura di Ascoli ha diramato una nota con ulteriori dettagli sulla vicenda. Tutto era partito a febbraio con una segnalazione giunta alle Forze dell’Ordine siciliane riguardo a una minorenne nigeriana sbarcata ad Augusta che poteva essere vittima della triste e nota tratta di persone.

La minorenne era stata mandata in una comunità e qui ha raccontato la sua storia: era partita dalla Nigeria alla volta dell’Europa, dove pensava di svolgere il mestiere di parrucchiera, dopo aver contratto un debito di oltre 30 mila euro con una madame già dimorante in Italia che l’aveva sottoposta a un “rito magico”, il JuJu, dove in caso di inadempimento del debito, la sua famiglia sarebbe stata colpita da varie disgrazie.

Nella stessa comunità si trovava un’altra minorenne sbarcata ad Augusta insieme alla giovane e anche lei vittima dell’organizzazione criminale con le modalità simili. Quest’ultima è stata prelevata dalla comunità ed è stata portata in provincia di Ascoli dove è stata costretta a prostituirsi sulle strade del territorio per estinguere il debito contratto.

Le sfruttatrici, inoltre, parlavano con i parenti delle giovani informandoli che se non avessero obbedito agli ordini il “rito magico” JuJu avrebbe avuto effetto. Quindi i familiari delle vittime, spaventati, dicevano di obbedire agli ordini delle aguzzine.

Dopo varie indagini sono state riscontrate le responsabilità delle donne. Inevitabile, quindi, il fermo.

Il Gip del Tribunale di Ascoli Piceno ha disposto per loro la custodia cautelare in carcere, accogliendo le risultanze dell’inchiesta.