
Premessa. La prima volta che mi sono imbattuta in un Pokemon è stato qualche settimana fa in Università. Ero in aula docenti e c’era la fila fuori. Me ne sono accorta non solo perché avere la fila fuori dalla porta in aula docenti d’estate è cosa rara, ma perché è praticamente assurdo che le persone in fila spingano per entrare… Così ho capito: ho chiesto ai ragazzi di poter vedere i loro cellulari, mi sono fatta spiegare il gioco, e poi niente, siamo rimasti a chiacchierare in aula per un po’. Dopo questo primo incontro, ho fatto scaricare Pokemon Go al mio compagno e ci siamo divertiti a cacciare Pokemon in spiaggia qualche giorno fa a San Benedetto. In verità non abbiamo giocato per più di mezz’ora, alla nostra età ci si annoia più velocemente, ma ho osservato la gente. Per capire che posizione prendere.
Ed ecco le mie considerazioni. Intanto parto da un punto. Insegno a ragazzi la cui età oscilla tra i 20 e i 30/32 anni, in media, da più di 10 anni. In tutti questi anni ho osservato loro in molte situazioni e vi assicuro che cacciare Pokemen per strada non è affatto la cosa più stupida o preoccupante che gli ho visto fare. Per dirne una e tornare all’esempio citato, l’ultima volta che avevo visto una fila così in aula docenti, i ragazzi erano accompagnati dai genitori (a 20 anni suonati…) e a spingere per entrare erano le mamme. L’altro giorno invece, dopo la “cattura” siamo rimasti a chiacchierare sui corsi del prossimo anno accademico accanto alla macchinetta del caffè. Capite la differenza?
Il secondo punto da cui parto è molto semplice e sempre lo stesso da quando siamo diventati schiavi del digitale, e cioè che gli strumenti sono strumenti. Il problema non è l’offerta, ma educare alla giusta domanda ed al giusto uso. A divertirti e distrarsi non c’è niente di male. Figuarsi poi d’estate! Ma certo, distrarsi con la realtà aumentata rispetto ai giochi di quartiere in cortile lo scenario della nostra vita quotidiana lo cambia, non possiamo nasconderlo. E allora il ruolo educativo delle istituzioni predisposte non può rimanere a guardare.
A 20 anni mi sarei vergognata di giocare a PokemonGo in strada. Mi sarei sentita stupida a fare qualcosa che i passanti avrebbero giudicato fuori di testa. Ritengo sia un problema di educazione familiare e generazionale. Adesso invece la realtà aumentata ci proietta in una modo diverso di vivere la realtà da cui non si torna indietro. Cade la barriera che attribuisce a ciò che VEDO lo statuto di verità e ciò che NON VEDO quello dell’irrealtà. Il mondo e la sua rappresentazione si arricchiscono e questo cambia il nostro modo di essere curiosi. Perché se 15 anni fa mi sarei vergognata di cacciare Pokemon in strada, oggi sapere cosa mi possa spuntare alle spalle senza che me ne accorga, un po’ mi incuriosisce. Mi fa dialogare con le mie nipotine in un modo nuovo e mi fa avvertire che la nostra fantasia ha sempre meno limiti di condivisione.
Certo, poi c’è il marketing, il risvolto commerciale e manipolatorio e lì la curiosità poco tiene. Ma di certo non sono i Pokemon, da questo punto di vista, le creature da temere di più…Quindi sarei cauta. Vorrei dire a tutti di non giudicare senza provare. E niente. Vediamo che succede, tanto, come in ogni buona storia, chi viene cacciato prima o poi si vendica e diventa cacciatore: https://www.youtube.com/watch?v=6-RerthVB54
Lascia un commento