Prima o poi doveva succedere. Il successo televisivo della serie Game of Thones, Il trono di spade, in onda in italiano sul canale satellitare Sky Atlantic, ha indotto gli sceneggiatori ad accelerare alcune dinamiche della storia, tanto da scavalcare la stessa scrittura del suo ispiratore.

La serie statunitense di genere fantasy creata da D.Benioff e D.B.Weiss, infatti, è nata come adattamento televisivo del ciclo di romanzi “Cronache del ghiaccio e del fuoco (A song of Ice and Fire)” di George R.R. Martin, saga che l’autore ha iniziato a scrivere nel 1991 e che tuttora continua ad impegnarlo nella scrittura. Dal 2011, quando esordisce il suo adattamento televisivo, la saga comincia ad appassionare milioni di lettori, io stessa ammetto di aver iniziato a leggere i testi di Martin solo dopo aver visto la prima stagione della serie tv, e da allora il suo creatore vive sotto la pressione del pubblico che freme in attesa delle sue pubblicazioni. Ad oggi, sono circa 60 milioni in tutto il mondo i lettori della saga ed il loro numero continua a crescere.

La storia si svolge in un mondo immaginario dove magia, creature leggendarie e essere dai poteri misteriosi convivono. A tenere uniti i protagonisti sono le lotte intestine tra casate nobiliari per la conquista del Trono di Spade. I personaggi sono tutti molto spietati, spesso rozzi e volgari, spinti nelle azioni dai più bassi istinti animaleschi. Il loro linguaggio, quasi senza eccezioni, è sfacciatamente scurrile, cosa che dà alla saga una cornice di viva carnalità che rappresenta uno dei maggiori fattori di attrazione della saga.
Il 2016 è l’anno della sesta stagione, a partire dalla quale, saga letteraria e serie tv si separano ufficialmente. I fan della serie abituati ai colpi di scena chiedono sempre più vendette sanguinarie che non vengono risparmiate (sono molti i personaggi che Martin tiene ancora in vita nella sua saga, ma che gli sceneggiatori americani hanno deciso di togliere di mezzo), in più l’affezione verso alcuni personaggi spinge gli sceneggiatori ad esasperarne alcuni tratti (per esempio, Martin risparmia alla povera Sansa Stark le sevizie di Ramsey Bolton – interpretato da Iwan Rheon, imperdibile già in Misfits, nella veste di Simon Bellamy). Ma la cosa interessante, secondo me, non è questa, perché i cambiamenti dovuti alle trasposizioni sono piuttosto prevedibili in ogni campo. La cosa interessante sta nel fatto che la separazione tra l’immaginario letterario e quello televisivo, avvenuta piano piano a partire dal 2011 e coronata con la stagione attuale, ha maturato una differenziazione nei pubblici delle due storie che sta cambiando definitivamente le regole del gioco. Oggi Martin suggerisce alcuni avvenimenti che vorrebbe succedessero in futuro nella serie, perché lui stesso li ha previsti nei suoi libri, ma allo stesso tempo fa succedere nei suoi libri cose che gli sceneggiatori hanno inventato di sana pianta, solo perché al pubblico televisivo sono piaciuti molto. Martin, cioè, ha deciso di parlare ai nuovi fan della serie, più che ai suoi vecchi lettori. Ed è questo, secondo me, che va segnalato.

Il fatto è che Game of Thrones incarna un cambiamento nello storytelling molto contemporaneo: la contaminazione mediatica a cui ci hanno abituato i nuovi linguaggi dell’audiovisivo, infatti, sta dando origine ad una vera e propria fusione di contenuti, a scapito della natura stessa di ciò che avevamo chiamato Narrazione fino ad oggi. La dinamica delle costruzione delle storie è decisa da pubblici nuovi, fino a qualche anno fa inesistenti. E questo va analizzato molto bene. Pertanto continueremo a parlarne.

Quando sedevo da studentessa tra i banchi universitari, mi dicevano che questo rischiava di essere il futuro e che da bravi esperti della costruzione del testo dovevamo contrastarlo. Ora che questo è il presente, dico che, invece, secondo me c’è solo da sorridere e guardare avanti con più occhi. Perché, che piaccia o no, c’è davvero spazio per tutti.