La mancanza di partecipazione dei cittadini di San Benedetto del Tronto per più di 15 anni, sta creando uno scenario politico di iper-partecipazione ai cambiamenti della città, sia direttamente dai cittadini che da parte dei partiti e politici ad essi legati.

Cerchiamo allora di capire come si fa la partecipazione dei cittadini nella pianificazione della città e come invece è intesa dalle nostre parti.

La partecipazione dei cittadini alle decisioni strategiche e ai progetti urbanistici è indispensabile per migliorare le trasformazioni urbane della città, la qualità della vita degli abitanti, produrre inclusione sociale e garantire la trasparenza.

Le scelte così realizzate in maniera condivisa assicurano l’efficacia degli interventi realizzati oltre a tutelare l’unicità, l’identità e le caratteristiche ambientali dei luoghi riqualificati.

Negli ultimi anni la forma di partecipazione all’interno dei Comuni, è passata attraverso due forme, quella più materiale legata alle esperienze degli Urban center come a Bologna e quella più virtuale che passa attraverso i “social-forum” dedicati come a Rieti. A mio avviso sono più efficaci quelli istituiti ufficialmente dai Comuni stessi (lo chiesi anni fa direttamente all’ufficio Urbanistica quando chiedeva idee in merito alla pianificazione), per garantire appunto la trasparenza massima e scongiurare il clientelismo e non come sta avvenendo da noi dai candidati sindaci prima di essere eletti.

All’interno confluiscono le problematiche, progetti in atto o futuri, addirittura le tesi di laurea delle facoltà di architettura e ingegneria sulla città come, per dirla un po’ alla buona non si butta via niente (all’inizio), ma si valuta tutto.

Le esperienze di coinvolgimento dei cittadini in questi termini parte almeno nella forma che vediamo oggi dagli anni ’70, un po’ come rivoluzione un po’ come sperimentazione a un’urbanistica che in quegli anni del dopo guerra aveva cementificato e lucrato sul territorio. Oggi più che ad una rivoluzione siamo chiamati ad una evoluzione di questi processi.

La progettazione partecipativa non è una cosa da fricchettoni o romantica del tipo “ci facciamo una birra e immaginiamo il futuro della città”, non è neanche il trovare la giusta risposta con i cittadini, si tratta di identificare con precisione, quale è la domanda giusta. Non c’è nulla di peggio che rispondere bene alla domanda sbagliata.

Quindi veniamo al punto centrale, la partecipazione deve portare delle domande esatte ai problemi dei cittadini.

La partecipazione da parte dei cittadini e associazioni, non deve costituire una riproduzione di forme di democrazia diretta, in quanto riconoscono alle istituzioni rappresentative il diritto all’ultima parola.

Le risposte devono essere date dalla politica che ha il compito di individuare quanto meno dei scenari futuri per la città e “canalizzare” le capacità delle persone, attraverso il potere di sintesi della progettazione, che ha invece il dovere di fare un uso più efficiente delle risorse scarse della città, attraverso il coordinamento delle azioni in atto e future.

Qui però nasce il problema, il grave rischio da parte dei politici e anche dei tecnici di dare una risposta populistica alla crisi della politica, poiché prefigurano percorsi strutturati e regolamentati.

E’ ciò che sta avvenendo alla vigilia delle elezioni comunali a San Benedetto del Tronto, tutti i candidati Sindaco hanno parlato di partecipazione ampia, ho sentito dire di sì a tutto e a tutti, nessuno che si è azzardato a dire di no o a mettere in discussione qualche idea o progetto o quanto meno di usare la parola valutare.

Questa strada anche se può apparire partecipativa o democratica, può portare a scelte obbligate successivamente alle elezioni e anche sbagliate, si rischia infatti di cadere nella trappola dell’accontentare il cittadino sambenedettese attraverso un puzzle di progetti che soddisfano le piccole problematiche momentanee, se pur legittime del singolo e non della comunità.

Spesso si è parlato in questi mesi della direzione che dovrebbe prendere il nostro comune o meglio di cosa vive il nostro comune: Commercio? Turismo? Servizi? Industria? E se sì, quali tipologie? Ecco se stiamo ancora a queste domande forse il dare risposte troppo precise, anche con i progetti non è poi la cosa più giusta, bisognerebbe prima analizzare dei dati, prefigurare degli scenari, individuare dei settori appetibili, soprattutto oggi che la vetrina è il mondo, come si fa ad accogliere il turista o attrarre un imprenditore di Sidney se poi la città è pianificata sui bisogni dei soli cittadini sambenedettesi.

Quindi se un consiglio si può dare a tutti i candidati sindaco, ma anche ai futuri assessori è quello di guardare lontano oltre l’altezza dell’erba, alla Riviera del 2080, molti hanno promesso che sarà premiata la capacità delle persone e non l’appartenenza a un partito, speriamo sia vero.

Siate giraffe, che faticano a guardarsi le punte dei piedi, ma riescono bene a guardare l’orizzonte.