SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Ho seguito con interesse e curiosità l’ascesa del Movimento Cinque Stelle, dagli esordi dei Meet Up all’affermazione su scala nazionale. Non ho mai amato, nei confronti dei movimenti politici nascenti, l’abiura a prescindere (così come la lode gratuita). Certi comportamenti inizialmente settari sono comprensibili anche quando non giustificabili in pieno, per forze inizialmente piccole o che hanno bisogno di creare gruppi abbastanza coesi. La radicalità di certe posizioni insomma può dar luogo a fenomeni molto differenti nella loro successiva evoluzione.

Negli ultimi mesi, nonostante i sondaggi diano alla forza di Beppe Grillo risultati sempre migliori, la piega presa dal M5S nazionale mi è sembrata inequivocabile. Nell’accezione negativa, pur non mancando ovviamente i distinguo del caso. Conosco molti attivisti del M5S, la cosiddetta base, con molti di loro ho avuto modo di collaborare per eventi e ho sicuramente apprezzato lo spirito di purismo civico che ne anima la maggior parte. Ma non basta. Non bastano le buone intenzioni. Anzi.

Il punto nodale della mia critica al M5S riguarda proprio la sua organizzazione. “Uno vale uno”, la piattaforma orizzontale, la liquidazione di intermediari della politica, di riferimenti locali; l‘impossibilità poi di creare delle aree di discussione interne che dibattano dal vivo sui temi importanti: tutto questo viene demandato ad una “Rete” gestita da una azienda, la Casaleggio Associati Srl, che si pone al vertice del movimento.

Le critiche all’organizzazione potrebbero sembrare superficiali e non politiche, ma in realtà vanno a colpire proprio la capacità del vertice del M5S di mettere in campo la politica desiderata dai vertici senza che dalla base arrivi il minimo mal di pancia. Vuoi perché si è all’opposizione, certo, e non al governo, vuoi perché tolto il mantra “onestà-onestà” non si è ancora capito quale diversità si propone a livello di politica economica, dalla quale, ahinoi, discende la visione della società che si desidera forgiare. Tutti vogliamo una società di onesti, di buoni, di bravi. Qualità che non crescono però sugli alberi: e ogni scelta è politica, non tecnica. E la politica è divisione tra opposti interessi, non condivisione acritica.

Così ecco che gli ex-odiati giornali, come L’Espresso, mettono in copertina, composta e elettoralmente seducente, Virginia Raggi, la candidata sindaco del M5S per Roma; ecco che Di Maio cestina di fatto la campagna no-euro, primo potenziale abbozzo di idea politica concreta manifestato; e lo stesso Di Maio, giunto al crocevia tra radicalismo e “sistemismo”, ha scelto inequivocabilmente quest’ultimo.

Si spiegano gli incontri con gli ambasciatori, gli ammiccamenti e i tour nei templi del potere estero. Il tutto avviene e può avvenire senza che a Milazzo, a Parma o a Tolentino qualcuno abbia la possibilità di discuterne. Un concetto assolutizzato di “uno vale uno”. Semmai, “uno vale tutto, tutti valgono zero“. Ovviamente in molte questioni secondarie la discussione esiste, ci sono le piattaforme di voto, il commento libero. Si studia magari dove far arrivare l’ultimo rivolo d’acqua, ma non si discute della portata della diga. Neoliberismo, diciamo. Micro-analisi. Ambientalismo di quartiere. Sulla portata della diga il movimento non prende posizione ufficiale, o, comunque, non la impone: “Ognuno è libero di agire come crede”, spiegano, sull’euro o sul referendum costituzionale.

La lunga premessa serve per arrivare al caso clamoroso di 1.100 comuni che alle prossime amministrative non vedranno la partecipazione del M5S. Il “caso”, dunque, è nazionale e non locale, e sbaglia chi affibbia responsabilità a candidati o consiglieri regionali per quanto avvenuto a San Benedetto come a Roseto e in tantissime località italiane. Si tratterebbe di un evento politico di proporzioni enormi che la stampa nazionale sta relegando alle notiziole da riempimento, preferendo, anche qui, stuzzicare le bave alla bocca del pueblo di “onestà-onestà” con la vicenda di Nogarin, sindaco di Livorno.

Cosa è accaduto? Il M5S ha uno “Staff” che lavora nella sede della Casaleggio Associati Srl, a Milano, il quale verifica se la richiesta del logo “M5S” può essere legittimamente accettata. Dunque verifica che tutti i candidati rispondano ai requisiti del M5s: incensurati, non candidati in altri partiti, non alla terza candidatura consecutiva, non dimesso da altri incarichi per concorrere alla campagna elettorale. Eccetera.

Il problema è che l’82% delle città al voto non avrà il M5S, perché in molti casi lo “Staff” non ha concesso l’uso del logo. Cerchiamo di capire meglio: il logo “M5S” è una proprietà privata della Casaleggio Associati Srl, che non è una libera associazione di cittadini/soci ma una azienda. La Casaleggio Associati Srl si comporta come fosse una Feee, o un Touring Club, i quali, prima di rilasciare la Bandiera Blu per la qualità delle acque di balneazione o la Bandiera Arancione per i centri storici dell’entroterra, verificano che i requisiti necessari siano rispettati. E fanno legittime attività di marketing per fare in modo che molti comuni desiderino avere le Bandiere Blu o Arancioni. Così la Casaleggio Associati Srl fa marketing per far sì che i cittadini votino il logo “M5S“. Nulla di clamoroso: anzi arguta attività aziendale privata applicata a fenomeni sociali. Anche gli altri partiti usano strumenti di marketing, e di comunicazione. La differenza sottile è che qui un’azienda di marketing e comunicazione è proprietaria del partito, e non una semplice emanazione tecnica dello stesso.

Ma il criterio è identico.

I vari gruppi locali che si candidano ad usare il logo “M5S” equivalgono a clienti privati. Non pagano quote (vietato pensare che la politica abbia un costo, nel mondo M5S: devi pagare tutta la benzina, tutte le fotocopie, e combattere contro Goldman Sachs come con le cerbottane contro i tank), e quindi la Casaleggio Associati Srl non lucra sulle richieste d’uso. La Casaleggio Associati Srl consente all’intero movimento di fruire gratuitamente dei suoi servizi, rilasciati discrezionalmente e al riparo da ritorsioni grazie a regolari contratti a prova di avvocati, e in cambio gestisce tutti i flussi informativi, interni (votazioni on line, regolamenti, eccetera) ed esterni (il blog pubblico, unica sede legale del M5S) garantendosi gli introiti necessari a pagare il personale e i profitti del capitale aziendale. Se anche fosse, potenzialmente, in perdita, questa sarebbe ripagata dal potere di gestione della seconda forza politica nazionale. Sai che affari ne escono fuori in via indiretta?

Fine del cerchio.

Ora, torniamo alle vicende locali. Perché così tante liste locali, spesso già con un gruppo consiliare alle spalle, sono state escluse?

Prima di analizzare le ipotetiche risposte, è bene capire questo: in nessuna organizzazione democratica un vertice nazionale può escludere una lista comunale, per quanto ipotizzabile inadempiente alle regole statutarie (o non-statutarie…) senza doversi permettere di specificare per quale motivo ciò sia avvenuto.

Questo comportamento può farlo la Feee quando non-assegna la Bandiera Blu: e il Comune escluso può chiedere le spiegazioni di tale decisione solo successivamente alla decisione della Feee, resa pubblica con un comunicato stampa o sul sito internet. Esattamente come fa il M5S.

Ma in politica, in democrazia, le esclusioni si motivano pubblicamente, se ne rendono partecipi gli iscritti, gli attivisti. Si creano luoghi democratici di confronto e di verifica. Si ha la possibilità di ricorrere. E anche di sconfessare la decisione del vertice se scorretta.

In un sistema aziendalistico-assoluto, invece, il cliente non è garantito in nessun modo.

L’esclusione di decine o centinaia di liste comunali può essere così motivata:

a) lo “Staff” ha ravvisato problemi certi nella composizione della lista;

b) lo “Staff” ha dei dubbi per cui preferisce evitare che in un secondo momento si venga a sapere che le liste non siano conformi ai dettami del M5S;

c) lo “Staff” non ha personale sufficiente o adeguato a gestire una mole di lavoro così impegnativa, per cui vengono evase solo le richieste di “affitto” del logo giunte per prima, o semplici da verificare.

Oppure, vi è un mix tra le tre ipotesi. La situazione potrebbe essere scardinata soltanto da attivisti che decidano di mettere la vicenda in mano a degli avvocati capacissimi: sia per vincere la causa, sia per sollevare un caso di mala-gestione e di inefficienza privata. Il danno è questo: voi, Casaleggio Associati Srl, siete un’azienda privata e siete cautelati da contratti. Noi però siamo cittadini, impegniamo tempo e denaro, risorse, mettiamo il nostro volto nella campagna elettorale e voi, cara Casaleggio Associati Srl, nel caso ci riteniate non adatti a rappresentare degnamente il vostro logo, avete il dovere di avvertirci per tempo e darci la possibilità di rimediare per partecipare alle competizioni politiche, evitandoci danni patrimoniali e di immagine irrimediabili.

Il discorso è ai limiti dell’incredibile ma questa è la situazione di fatto (ad esempio è incredibile che gli iscritti del M5S di una stessa città non si conoscano l’un l’altro, perché l’elenco non è pubblico ma gestito privatamente dalla Casaleggio Associati Srl che per renderlo pubblico dovrebbe chiedere l’autorizzazione alla diffusione pubblica di dati privati, altrimenti commetterebbe violazione della privacy…).

Il tema, tuttavia, è politico. Trascinare in tribunale lo “Staff”, da parte di decine e centinaia di gruppi locali, avrebbe un impatto molto forte sulla “base” del movimento. Ma non sarebbe risolutivo. E i temi politici sono due:

a) gran parte della base del M5S esclusa dalle competizioni comunali è incazzata nera, pur tuttavia l’unico ambito di discussione consentito sono le innocue bacheche di Facebook e Twitter e una saracinesca abbassata, a Milano, quella della Casaleggio Associati Srl. Non esistono spazi di confronto pubblico regionali e nazionali. Cul de sac. In altri partiti, anche quelli più pacifici e moderati, una vicenda del genere farebbe saltare qualche dente e rovesciare all’aria diverse scrivanie. Qui invece i nostri 5S non possono che stare buoni davanti al pc.

b) il M5S è nato dall’azione capillare comunale, coi primi Meet Up che iniziarono a prendere i primi consiglieri comunali nel Piemonte No-Tav e poi nell’Emilia-Romagna delusa dalla nascita del Pd.

La soluzione è una: è questo il momento giusto per abbandonare quello che sarà del M5S al suo destino nazionale. Vero che oggi è una forza in grado di vincere a Roma e forse a vincere a livello nazionale, o forse arrivare secondo. Dunque si avvicina all’apice del suo successo. Ma è una forza che appartiene al passato, seppure recente. Il “non di destra non di sinistra” non significa nulla e se può essere accettato come vagito del bebè politico, non va bene ripeterlo quando si auspica di iscriversi all’università.

L’Italia va ri-politicizzata, ri-democratizzata. Il rigurgito anti-casta va anche bene, ma purché si abbia lo stomaco pieno di contenuti politici e non di aria fritta. Bisogna scegliere. Studiare e non solo partecipare. Lasciar perdere le fissazioni onanistiche sui ladruncoli, che quelli ci saranno sempre e ovunque, quando si avrà il potere in mano, e sempre più quando il potere da gestire è scarso e solo ragionieristico.

Bisogna scegliere. Diventare di parte.

L’opposizione del M5S, nata sulle ceneri berlusconiane, ha creato il Renzismo ovvero la deforma della Costituzione in nome del neoliberismo della “governance multilivello”, la precarizzazione in nome di modelli anni ’90 morti e defunti, la riduzione del ruolo dello Stato come sano regolatore delle disfunzioni del mercato e di conseguenza l’ulteriore commissariamento interno, oltre quello esterno operato dalla Troika, della rappresentanza politica a favore di funzionari politici (sia questo nelle province che nelle liste bloccate dell’Italicum che nel futuro Senato dei nominati).

E’ tempo di lasciare i vertici a se stessi, magari ancora circondati da un consenso fuggevole, e cercare di fornire il proprio apporto in maniera meno vincolata e per certi versi fanatica. Non si tratta di un passaggio facile nell’immediato, potrebbe richiedere tempo e calma. Ma dai più assennati cinquestelle va valutato fin da ora. Se invece non si è consapevoli di alcuni funzionamenti della Casaleggio Associati Srl o, per amore del M5S, non si è in grado di articolare una auto-critica, ci si potrà crogiolare ancora un po’ nelle forme senza riscontrare modifiche della sostanza.

Prendi il 30% ed poi domandi all’amministratore delegato cosa devi fare.