SAN BENEDETTO DEL TRONTO – L’intervista scritta e video è stata realizzata da Riccardo Bianconi, Miguel Sayas e Cristian Bruni nell’ambito del Laboratorio di Comunicazione dell’Ama-Aquilone.

Come è organizzata la Cgil, quali sono i suoi ruoli principali?

“La Cgil è la sigla di Confederazione Generale Italiana del Lavoro, è organizzata come confederazione di diverse categorie, ad esempio la Fiom per i metalmeccanici, poi altre per l’agroindustria, i lavoratori del commercio, dei servizi e via dicendo. È una organizzazione che cerca di fare l’interesse di tutti i lavoratori. La Cgil è una organizzazione privata, i soci sono lavoratori e pensionati che pagano la quota mensile tramite un versamento diretto o per trattenuta dallo stipendio e dalla pensione. È nata nel 1948: prima c’era un sindacato unitario, poi c’è stata la scissione con la Cisl, che faceva riferimento al mondo cattolico, e la Uil, che era vicina al mondo laico. La Cgil era invece il sindacato di riferimento del Partito Comunista e del Partito Socialista”.

Esiste un percorso per diventare sindacalisti?

“Non c’è un percorso standard. Solitamente si fa attività sindacale nel proprio posto di lavoro e qualora si riesce ad emergere e la persona viene ritenuta in grado di seguire quei compiti anche all’esterno, il sindacato può decidere di chiamare quella persona. Chi lavora nel campo politico del padronato, si può essere assunti a tutti gli effetti: occorre ovviamente che vi sia disponibilità ad un certo tipo di lavoro verso i più deboli e una certa vicinanza ideale alla Cgil”.

Quali sono le caratteristiche del Jobs Act? È efficace?

“Si è tradotto in legge con diversi decreti, il più rilevante l’assunzione a tutele crescenti in vigore dopo il 24 marzo. Ciò significa che i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 24 marzo, significa che non hanno la tutela dell’articolo 18 anche se assunti in aziende superiori a 15 dipendenti. Possono quindi essere licenziati in qualsiasi momento attraverso il pagamento di una piccola somma. Se consideriamo che questi lavoratori hanno delle agevolazioni contributive di circa 8 mila euro l’anno per tre anni, quindi 24 mila euro, mentre in caso di licenziamento dovrebbero risarcire non più di 6-7 mila euro, ciò comporta che in caso di licenziamento ci sarebbe comunque un guadagno per l’azienda di 16-17 mila euro. Questo ha significato che molte aziende hanno assunto persone a tempo indeterminato o hanno regolarizzato contratti precedenti a tempo determinato, o contratti di collaborazione o compartecipazione agli utili li hanno utilizzati per ottenere i contributi”.

Quindi il vostro giudizio sulla norma è negativo?

“Riteniamo che questo sia stato un danno. Inoltre sono cadute altre tutele: la videosorveglianza, il controllo a distanza con strumenti tecnologici. C’è un maggior controllo e ciò comporta anche la caduta dei sistemi di sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. È più difficile denunciare materiali inquinanti o sollevamento di pesi eccessivi, ad esempio, quindi il giudizio complessivo è quello di un peggioramento generalizzato delle condizioni dei lavoratori. Riteniamo che non sia questo il modo per rilanciare l’economia italiana, andavano finanziate le assunzioni nuove e non quelle sostitutive come avvenuto”.

Come vengono assegnate le case popolari? È giusto che siano assegnate agli stranieri?

“Bisognerebbe pensare di costruire case popolari per tutti, stranieri e non. A San Benedetto ci sono 3-400 domande ogni volta che si fa un bando, credo innanzitutto che le case popolari dovrebbero essere a disposizione per tutti coloro che ne hanno necessità, il problema non è che vanno agli stranieri, ma verificare se se ne ha diritto o meno. Il vantaggio degli stranieri è dovuto al fatto che oltre a problemi di reddito, hanno delle famiglie numerose e questo comporta vantaggi a livello sociale. Non si può loro fare una colpa per questo”.