PARIGI – La stampa è libertà. Nel Belpaese, in senso orwelliano, visto il deplorevole 77esimo posto in cui si colloca nella classifica di Reporters sans Frontieres appena rilasciata.

Pubblicata con cadenza annuale a partire dal 2002, misura l’Indice della Libertà di Stampa nel Mondo (World Press Freedom Index) su un totale di 180 Paesi .

Non è un caso il titolo, rubato all’irriverente blog Spinoza.it, perché rende bene l’idea di come tra un po’ andranno date le notizie per evitare la censura. E perché ormai la satira è una delle poche isole rimaste per far emergere la “verità”, quella sommersa perché scomoda a qualcuno, o a qualcosa che gli appartiene. La natura è semplicemente indifferente.

I giornali sono in allarme perché l’Italia “crolla”, “precipita di 4 posizioni” rispetto al 2015. Tanto rumore per così poche? Su 180 sono polvere. In altri anni e settori si è fatto peggio.

Inoltre la dice lunga che quasi nessuno menzioni le precedenti, buonanime. Nel 2012 l’Italia era 49esima, 57esima nel 2013, 49esima nel 2014 e infine 73esima nel 2015.

Eccolo il vero crollo: bruciate in 2 anni, 24+4 posizioni.

In termini di punteggio, l’indice attuale segna 28,93 (quello della Finlandia, che è prima, solo 8,59): guadagnamo – si fa per dire – 0,99 punti rispetto all’anno scorso e 5,18 rispetto al 2014 quando eravamo nella “top 50”.

Per capovolgere la realtà, così da vedere finalmente quasi tutta l’Unione Europea dopo di noi, si può leggere la classifica al contrario in attesa che emerga il messaggio subliminale: “La libertà di stampa è una delle garanzie che ogni Stato di diritto, assieme agli organi d’informazione (giornali, radio, televisioni, provider internet) dovrebbe garantire ai cittadini ed alle loro associazioni, per assicurare l’esistenza della libertà di parola e della stampa libera, con una serie di diritti estesi principalmente”. Solo poche righe tratte da Wikipedia. Ma per noi sono Satana.

Oggi siamo comunque nell’onorevole “top 77” o volendo i primi nella classifica “post-76”.

La nuova mappa della libertà ci consegna la “maglia a stampa arancione” grazie a tutte le pressioni, minacce e violenze di cui sono vittime i giornalisti, inclusi i procedimenti giudiziari per quelli che hanno scritto sullo scandalo Vatileaks e che fanno inchieste su corruzione e crimine organizzato.

“Nel mese di maggio 2015 – si legge infatti nella motivazione – il quotidiano La Repubblica ha riferito che tra i 30 ei 50 giornalisti erano sotto la protezione della polizia perché erano stati minacciati. Il livello di violenza contro i giornalisti (comprese le minacce di morte e intimidazioni verbali e fisiche) è allarmante. I giornalisti che indagano su corruzione e criminalità organizzata sono quelli presi maggiormente di mira. Nella Città del Vaticano, è il sistema giudiziario che sta molestando i media in relazione agli scandali Vatileaks e Vatileaks 2. Due giornalisti si trovano ad affrontare fino a 8 anni di carcere a seguito dello scrivere libri sulla corruzione e sugli intrighi all’interno della Santa Sede”.

Nelle prime posizioni troviamo Scandinavia e Paesi Bassi: la Finlandia è prima dal 2010; seconda l’Olanda, che guadagna 3 posizioni rispetto al 2015; terza la Norvegia, che ne perde una come la Danimarca, quest’anno quarta. Al quinto posto c’è invece la Nuova Zelanda, a +1 rispetto all’anno scorso.

Nell’UE possiamo però ringraziare Cipro (81° posto), Grecia (89°) e Bulgaria (113°), i soli che riescono a salvarci un po’ la faccia facendo peggio, e non era facile.

Non sorprende la coda dell’elenco, chiuso da nomi tristemente noti sulla scena mondiale: la Cina è 176esima, seguita da Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea, 180esima.

Le avanzate più significative portano a +30 la Tunisia (96° posto) e a +22 l’Ucraina (107°).

Precipitano invece la Polonia, “solo” 47esima (-29 rispetto al 2015) per via della stretta sui media operata dal Governo conservatore; il Tagikistan (150°), con la deriva autoritaria del regime; e il Brunei (155°), per l’imposizione della Shari’a. Entrambi perdono 34 posizioni.

L’elenco, come ogni anno, serve anche a farci scoprire Paesi che sottovalutavamo, o che facciamo difficoltà a trovare sulla cartina geografica o che persino neanche ricordavamo esistessero: per esempio Costa Rica (6°), Jamaica (10°), Namibia (17°), Surinam (22°), Latvia (24°), Ghana (26°), Samoa (29°), Cile (31°), Capo Verde (32°), Belize (36°), Burkina Faso (42°), Botswana (43°) e Mauritania (48°).

Ebbene, solo i pochi citati hanno tutti una triste cosa in comune: ci precedono e sono anche tra i primi 50. Se può consolarci, fanno quasi tutti meglio anche degli Usa, 41esimi (sebbene a +8 rispetto al 2015), e dalla Gran Bretagna, solo 38esima e come noi a -4.

Per quello che ci riguarda, la tendenza tipicamente italiana – la deriva – è già in atto. E se davvero “orange is the new black”, ancora qualche annata come le ultime due, e verrà il giorno in cui la maglia nera della libertà di stampa non ce la toglierà nessuno.

Peccato che non lo sapremo mai, visto che la notizia sarà sicuramente censurata o alla meglio, camuffata in qualche articolo. Magari titolato “Gli ultimi saranno i primi”.

Per compiacere il V., come vuole la tradizione. Tanto lui, in classifica non c’è…

D. salvi la libertà!

 

Mappa interattiva: http://rsf.org/ranking
Classifica con indici dettagliati: http://rsf.org/en/ranking_table