SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Non consumi? Allora niente bagno & arrivederci. F-i-n-e. Sergio Leone ci perdoni, ma oggi la questione potrebbe chiamarsi “per un pugno di euro”. Quelli di un panino o un caffè.

È una sporca domanda, ma qualcuno deve pur farla: è possibile usufruire dei servizi igienici di un locale pubblico, senza consumare?

La risposta potrebbe essere meno scontata di ciò che intuitivamente pensiamo o di quelle che magari abbiamo letto in questi giorni sui social, scaldati dagli interventi di un pubblico locale diviso in due, nel sostenere l’una o l’altra parte in causa.

Proprio su facebook, terreno prediletto per il western virtuale a colpi di aggressioni verbali e vendette che se ne fregano della legge, è tornato alla ribalta un caso interessante, perché “esemplare”. Di chi si è visto negare l’accesso al bagno in un locale, pur avendone urgente bisogno. Per essersi opposto alla richiesta di effettuare prima una consumazione.

Non è la prima volta che capita, né sarà l’ultima: gli esempi sono disseminati in tutta Italia – i più noti quelli di Firenze e Sanremo – ma la legge non aiuta a risolvere tutti dubbi (se qualcuno, in seguito al diniego, poi si sentisse male? Può chiedere i danni al titolare?).

La questione è spinosa, ma certo è che il gestore di un pubblico esercizio non può impedire l’accesso nel suo locale. L’ha imparato a sue spese persino Belèn.

Come pure non può rifiutarsi di consentire l’utilizzo dei servizi ad un cliente pagante senza una valida ragione (articolo 187 del Tulps, Testo Unico di Pubblica Sicurezza): “Salvo quanto dispongono gli articoli 689 e 691 del codice penale, gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”. Ma qui si parla di clienti paganti.

Diverso il caso dei club, che sono considerati circoli privati e non pubblici esercizi. In questi locali è quindi ammessa la selezione all’ingresso ed il gestore non è tenuto a giustificare le sue decisioni su chi possa entrare o meno.

Ma si ha diritto ad usufruire dei servizi di un bar, un ristorante, senza tirar fuori un euro?

Per rispondere a questa domanda è illuminante per esempio la sentenza del Tar Toscana (numero 691 del 18 febbraio 2010) secondo cui l’uso del bagno nei pubblici esercizi è un servizio privato fornito ai clienti e non un servizio pubblico a disposizione dei passanti.

“È agevole ribattere – dice la sentenza – che una cosa è l’attività di pulizia e manutenzione di un locale destinato ad uso bagno, se ne possono far uso un numero limitato ed in una certa misura preventivabile di persone; tutt’altra cosa è tale attività, se a poter fruire del locale destinato a bagno è la generalità del pubblico, cioè, all’occorrenza, masse di persone ingenti e non predeterminabili (si pensi ad esempio agli afflussi di pubblico, formato non soltanto da turisti, in occasione di famose manifestazioni culturali e cerimonie)”.

I gestori non sono tenuti a farne usufruire a chi non consuma, con grande soddisfazione della Fipe (Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi), che aveva fatto ricorso contro una deliberazione del Consiglio Comunale di Firenze, la quale imponeva l’utilizzo del bagno anche ai non clienti.

La sentenza fa giurisprudenza e quindi la decisione riguarda tutta la Penisola. Così se prima era un’azione di buon senso e facoltativa, quella di consumare nel locale per poter andare nella toilette, ora diventa obbligatorio. O quanto meno l’esercizio può imporlo.

“Dispiace essere dovuti arrivare ad un braccio di ferro con l’amministrazione coinvolgendo anche le aule di tribunale – lamentava il presidente Fipe, Lino Enrico Stoppani – ma in questo caso non abbiamo potuto fare a meno di difenderci. Se tutti, invece, applicassero un po’ di sano buon senso si arriverebbe a risultati migliori, concordati e senza spendere soldi dei contribuenti. L’amministrazione non può scaricare sugli esercenti compiti che le spettano, come per esempio dotare le città di servizi igienici per il pubblico, come avviene in tutte le città d’Europa”.

“E se è professionale per l’esercente – continuava – consentire l’uso del bagno a una persona in evidente stato di necessità, sarebbe altrettanto delicato da parte dell’avventore avere l’accortezza di consumare qualcosa, magari proprio per riprendersi dallo stato di disagio. Invece, purtroppo, l’uso dei servizi è diventato occasione di vandalismo, inciviltà, furti e altre cose vergognose in una società civile. Speriamo che limitare l’uso dei bagni agli avventori consenta un più ordinato utilizzo di un servizio che comporta impegno e risorse; servizio che non può essere imposto per legge ai pubblici esercizi”.

Un po’ diverso il parere del Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell’Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori), convinto che “un locale pubblico debba sempre mettere i bagni a disposizione di tutti, salvo ovviamente casi eccezionali. Ciò non per mere interpretazioni legali, quanto per una questione di sensibilità e di attenzione verso la categoria dei consumatori e, quindi, dei potenziali clienti. Resta inteso che l’utente che utilizza una toilette, dovrebbe prestare la massima attenzione nel mantenere pulito e funzionale il servizio, a maggior ragione se tale servizio viene usato gratuitamente. Come in tutte le cose, basterebbe il semplice buon senso per risolvere con facilità qualsiasi problematica”.

I gestori hanno tutte le ragioni a difendersi, e anche a lamentarsi del “nostro” senso civico, clienti o meno (che possiamo constatare con i nostri occhi nei locali come al di fuori). D’altro canto per fortuna, è ancora possibile chiedere “senza impegno” un bicchiere d’acqua. Finché dio/Tar vorrà.

Le esigenze fisiologiche sono diventate un business? Probabile. Mentre il buon senso, spesso da entrambe le parti, sicuramente non ancora.

Sta di fatto che, al tempo di internet e dei social, l’informazione corre veloce. E quello che è il sacrosanto rispetto di un regolamento, può rivelarsi una cattiva mossa pubblicitaria e di marketing. Soprattutto verso coloro che clienti lo sono già e lo vengono a sapere, ma nutrendo a riguardo aspettative differenti, ci restano male per la mancanza di sensibilità e attenzione, anche se non è capitato a loro.

Per un pugno di euro, non vale la pena giocarseli. Perché proprio qui potrebbe concentrarsi il danno di immagine maggiore (ed in conseguenza anche economico). Ben al di là delle rimostranze della singola “vittima”, che in caso di una eventuale diffamazione in pubblico si assumerà, nel bene o nel male, la responsabilità.

Inoltre, osserva bene il Codacons, non va dimenticato che la persona a cui si nega di poter usufruire liberamente dei servizi è pur sempre un cliente potenziale. Anzi, era.

Scommettiamo un caffè che adesso è il cliente potenziale solo della concorrenza?