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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quando sei un bambino e ti approcci al mondo dello sport è importante cogliere alcuni valori. Lealtà, unione, rispetto e divertimento in primis. Insegnamenti utili anche nella vita tutti i giorni. Ed è importante per un allenatore di settori giovanili relazionarsi nella maniera giusta con ragazzini di tutta l’età. Talvolta, però, la voglia di ottenere risultati a tutti i costi può comportare una negligenza a livello sociale.

In Riviera tra le persone che sono riuscite a vincere e a insegnare i giusti valori di vita ai giovani c’è il 39enne Marco Zazzera. Nato a Jesi ma residente a San Benedetto dall’età di quattro anni, è stato per molto tempo (tra gli anni 90, 2000 e recentemente) allenatore di squadre di calcio del Piceno e del Fermano ottenendo in varie circostanze soddisfazioni calcistiche. “Ma la cosa più bella è essere ricordato con affetto e stima dai miei allievi” ha affermato Marco Zazzera durante la nostra intervista. Effettivamente è così. Non c’è ragazzino (adesso uomo) allenato dal 39enne che non dimostri riconoscenza nei suoi confronti. Non solo a livello sportivo ma anche umano. Un elemento da non sottovalutare nella società odierna, considerata spesso egoista e superficiale. Se si hanno la forza e la pazienza di far conoscere certi valori, questi ultimi rimarranno ben impressi nella mente del giovane. Schiettezza, lealtà e comprensione: sono state queste le armi di mister Zazzera.

Marco, raccontaci come hai deciso di diventare allenatore.

“Avevo 20 anni e giocavo come portiere nel Ragnola negli anni 90. Un giorno Osvaldo Viscioni (mio dirigente all’epoca) durante una partitella di calcetto mi chiese se me la sentivo di allenare i ragazzi. All’inizio ero perplesso. Non avevo nessuna esperienza a riguardo e la vedevo come una cosa più grande di me. Osvaldo, persona eccezionale, mi disse però una cosa: tu non hai mai allenato e questi ragazzi non hanno mai giocato. Non avete nulla da perdere ma solo da imparare. E mi convinse. Iniziai ad allenare nella storica Sanfilippese. Dopo poco tempo i miei dubbi furono spazzati via. Allenare i giovani mi piaceva tanto che decisi di appendere le scarpette al chiodo per dedicarmi completamente alla nuova attività”.

Avevi qualche punto di riferimento nell’allenare? Hai seguito qualche metodo?

“Da buon tifoso del Torino il mio principale mentore era Emiliano Mondonico. In seguito ho avuto anche l’occasione di scambiarci qualche parola, un uomo davvero straordinario. Riguardo ai metodi di allenamento ho iniziato da autodidatta. Seguivo molto gli allenamenti dei settori giovanili di Sambenedettese, Ascoli e Ancona. Inoltre ho letto qualche guida alle basi e vedevo diversi Vhs. Nel tempo, poi, ho continuato a essere autodidatta pure con gli aggiornamenti. Adesso con Internet è più facile ma prima era molto impegnativo”.

Elencaci le tue squadre in questi 19 anni di attività.

“Ho iniziato alla Sanfilippese divenuta in seguito poi Riviera Samb. Nonostante il cambio societario, l’ossatura della squadra rimase la stessa. Allenavo giovani dai 10 ai 14 anni. Ragazzini straordinari con talento e una notevole unione sociale. Ho iniziato con loro e ho imparato molto. In seguito andai alla Cuprense (Pulcini e Giovanissimi). Un gruppo eccezionale dove ci togliemmo la soddisfazione di vincere qualche campionato. Andai poi ad Acquaviva Picena, dove mi occupai degli Esordienti. La località picena è molto attaccata al calcio, dalla Prima Squadra ai Pulcini, e ho mantenuto con tante persone un buonissimo rapporto. Dopo Acquaviva andai nel Fermano, alla Spes Valdaso (Pulcini). Rimasi due anni e poi allenai la Firmum a Fermo. I dirigenti mi dissero che la squadra, prima di me, aveva ottenuto risultati disastrosi e di non preoccuparmi troppo perché ritenevano la rosa non all’altezza della situazione. Invece cogliemmo 13 risultati utili su 26 partite. Una soddisfazione enorme data la pessima premessa. I ragazzi avevano semplicemente bisogno di fiducia, era un gruppo molto valido. Dopo la Firmum andai a Centobuchi per tre anni. Lì trovai qualche difficoltà perché il gruppo che allenavo non era molto unito però fu comunque un’esperienza positiva. Infine ho allenato l’anno scorso la Sportlandia (Pulcini). Adesso, un po’ a malincuore, sono fermo ma per motivi familiari. Sono sposato e ho due figli piccoli (una femmina e un maschio) e naturalmente loro sono la mia bellissima priorità. In futuro spero, comunque, di tornare allenare”.

Ti sei occupato per moltissimi anni di giovani che affrontavano l’adolescenza. Un periodo difficile per qualsiasi ragazzo. Come sei riuscito a esporti positivamente con loro?

“Sono sempre stato schietto e leale. Quando hai davanti dei giovani, devi far capire a loro che il rispetto e l’unione fanno la vera forza. L’approccio è fondamentale. Far capire a un ragazzino perché gioca o no non è facile. La mente è fragile. Ho visto tanti ragazzi avere un grande talento ma perdersi emotivamente. Io ho sempre lavorato molto sulla parte emotiva. Se la testa sta bene, i piedi girano alla grande. Ho sempre voluto trasmettere serenità e compattezza. Lo spirito sano dell’agonismo. Non mollare mai nonostante certi limiti. Ogni giovane è diverso: a qualcuno serviva conforto, ad altri un po’ di fermezza. Ma ho sempre trattato alla pari tutti quanti. Sono molto contento che i miei allievi riconoscano positivamente il mio lavoro. Non avrei vinto niente grazie a loro e di ciò sono grato. Ulteriore gratifica è il fatto che mi apprezzano come uomo. Sapere di avere fatto breccia nelle loro anime è meraviglioso”.

Hai allenato vari settori giovanili nel Piceno e nel Fermano. Qual è la tua considerazione calcistica sul nostro territorio?

“Direi positiva. Ovunque sono stato ho trovato buone società e ragazzi talentuosi. Piazze calde. A livello di strutture forse stiamo un po’ indietro rispetto ad altre realtà. Il nostro è un territorio fertile. Gli addetti al lavoro dovrebbero tornare a credere di più nei nostri giovani come succedeva in passato. Adesso si guarda, spesso, con superficialità al nostro orto. I ragazzi bravi ci sono. Basterebbe crederci un poco di più. Senza, a mio parere, perdere i giusti valori di vita da insegnare allenamento dopo allenamento. Se a un giovane inietti il vincere a tutti i costi, magari diventerà un vincente nel campo. Ma fuori troverà molte difficoltà perché non saprà relazionarsi. Il rispetto genera rispetto. Sui campi da calcio e in qualsiasi ambito”.

Hai mai pensato ad allenare una prima squadra?

“Devo dire che le opportunità ci sono state. Quando ho allenato i giovani, ho ricevuto varie proposte. Segno che il mio lavoro era seguito e apprezzato. Alla fine non c’è stata l’occasione giusta ma se dovesse capitare in futuro la coglierei volentieri”.

Fuori dal campo ti occupi, in maniera eccellente, dei ragazzi diversamente abili.

“E’ il mio lavoro ma è innanzitutto una buonissima palestra di vita. Questo mestiere è arrivato casualmente ma mi sono trovato subito a mio agio. Mi piace relazionarmi con loro. Sono persone ‘sfortunate’ ma ognuno di loro ha un valore immenso e aiuto questi ragazzi a comprendere ciò. Quanto valgono. Gli insegnamenti che do a loro sono gli stessi che incorporo ai miei allievi”.

Che cosa senti di dire ai numerosi ragazzi che hai allenato in questi 19 anni?

“Ai miei allievi, cui voglio tutti un grande bene, mi piace ricordare ciò che ho insegnato sul campo. Non mollare mai, essere spensierati anche se quando si cresce ciò può venire meno e non perdere mai la retta via. Ricordatevi i veri valori che vi ho insegnato. E grazie a tutti per gli insegnamenti ricevuti da voi”.