Ho sempre pensato che il senso del passato, fosse quello di essere utile al presente per rivoluzionare il futuro. L’ho sempre pensato in relazione alla vita privata, personale, lo penso per la vita sociale, in generale, figuriamoci per quella letteraria. Anzi. Dirò di più. Forse è addirittura proprio per questo che ho iniziato ad occuparmi di interpretazione in modo scientifico, perché il modo in cui menti particolarmente intelligenti e creative approcciano al passato stravolgendolo, mi dà la carica e mi fa sentire fiduciosa verso il prossimo, che, a dirla proprio tutta, non sempre amo.

Tra tutti i rimpasti contemporanei di un passato visionario, sicuramente Sherlock, la serie britannica prodotta dalla BBC, ideata da Steven Moffat e Mark Gatiss, mi sta particolarmente a cuore.
Partita nel 2010 da un’idea forte, ma senza troppe pretese, restituire, cioè, al mondo il suo acuto risolutore di casi impossibili in veste contemporanea, con gli anni la serie ha acquisito una forza ed un’autonomia narrativa tali, che la stessa figura mitica di Sherlock Homes ne risulta ormai toccata. Ed arricchita.

The Abominable Bride
, La sposa abominevole in italiano, è un episodio scritto per il grande schermo, a colmare un vuoto produttivo di almeno due anni trascorsi dalla messa in onda dell’ultimo episodio della serie, in preparazione della quarta stagione in registrazione a partire dal prossimo aprile. Benedict Cumberbatch, il nostro Sherlock dei tempi moderni, abbandona il cappotto e la pettinatura riccioluta, per indossare completo di tweed e deerstalker in una Baker Street del 1895, ed è alle prese con un caso dalle atmosfere molto simili a quelle de Il Mastino di Baskerville. Molto più vicina nei contenuti (anche scenografici) alla saga di Doyle, l’episodio ci entusiasma all’inizio, ma, ahimé, non ci esalta alla fine.
La trama dell’episodio, infatti, non è del tutto convincente, ma spesso ci appare in tutta la sua malizia: che davvero sia solo un divertissement tra una stagione e l’altra? L’evoluzione narrativa della prima metà dell’episodio si lascia prevedere in pochi minuti, e la tensione legata alla risoluzione dell’enigma della sposa perde di forza non appena viene svelato l’intreccio passato-presente ed entriamo nel palazzo mentale del nostro genio, che lotta costantemente con la sua nemesi, il cattivo Moriarty. Quasi è un sollievo, alla fine, tornare su quel lussuoso aereo che per qualche minuto ha tenuto Sherlock ostaggio del proprio esilio!

Tuttavia, qualcosa di nuovo nell’episodio si intravede e ci convince: su tutti, un gioco ironico e, per certi versi, sarcastico, che gli autori imbastiscono contro una certa ingenuità tipica delle opere letterarie di Doyle, dal gusto teatrale eccessivo. Se un divertissement è, sicuramente gli autori devono essersi divertiti molto a scriverlo. E poi, in fondo, a noi hanno restituito uno Sherlock Holmes ed un dottor Watson in forma smagliante, che hanno accarezzato la nostra attitudine all’esaltazione estetica, con un certo gusto. E di certo non è poco.