SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Proprio l’altro giorno, dopo la scomparsa di Pietro Paolo Menzietti, ricordavo l’episodio di un viaggio a Roma con l’onorevole e con Alberto Panichi, l’imprenditore sambenedettese scomparso la notte scorsa.
Nel mezzo un’altra perdita importante per la città di San Benedetto del Tronto, quella di Domenico Mozzoni.

Tutti e tre, seppur per versi differenti, hanno rappresentato molto per la nostra comunità. Menzietti per il suo impegno politico che definirei intelligente, Mozzoni per essere stato protagonista positivo (al di là delle sue grandi capacità professionali) della crescita dell’Associazione Albergatori e della città, con una signorilità non comune.

Una caratteristica (la politica è questa) che forse contribuì alla sua non elezione a sindaco pur senza che, in questa mia affermazione, venga coinvolto Domenico Martinelli, il quale in seguito ha dimostrato di essere anche lui della stessa pasta.

Con Alberto Panichi però, rispetto a Menzietti e Mozzoni, non avevo soltanto una stretta conoscenza ma un’amicizia sincera oltre ad una frequentazione nettamente superiore. Ho assistito in presa diretta alla sua scalata come imprenditore che lo aveva portato ad aprire un punto Blooming in una via importante di New York, ma anche alla sua ripida discesa. Passò nel giro di pochi anni dalla vetta del Kilimangiaro a… livello del mare, ad una situazione cioè che non mi è capitata di vedere con nessun altro imprenditore finito male. Fu letteralmente ridotto sul lastrico senza mai, però, aver provato un giorno di carcere come capitato e capita ad altri in Italia. Altri che, dopo la detenzione, tornano alla vita brillante precedente. Lui, pur non meritando alcuna pena, è stato letteralmente spogliato di tutto.

Clamorose le sue battaglie legali che videro coinvolti anche esponenti della nostra magistratura. Noi di Riviera Oggi gli abbiamo sempre permesso di gridare tutta la sua rabbia (clicca qui), pur senza mai schierarci essendo la questione più grande di noi. Per un nostro articolo subimmo anche una querela per un errore di procedura che non è il momento di ricordare.

Io lo pensavo e lo ricordo così: un imprenditore molto capace, tanto da raggiungere mete mai toccate da altri sambenedettesi, che però perse l’equilibrio (anche per colpe proprie, ci mancherebbe altro) appena toccata la cima. Nel momento in cui si trovava su un filo appeso tra due montagne, invece di aiutarsi con la classica asta e attraversare un percorso difficilissimo, ha cercato di buttarsi a capofitto con una corda legata ai piedi. Purtroppo per lui la distanza tra dov’era e la terra era inferiore alla lunghezza della corda.

La morte che lo ha raggiunto stanotte è stata soltanto fisica, quella vera gli è stata decretata una ventina di anni fa. Confesso che nel suo periodo più buio ho provato a dargli consigli che ritenevo buoni per lui, ma non li accettò. Cose personali.

Tra i suoi errori l’aver dato molto a tutti, ad amici veri e falsi. I secondi lo hanno poi totalmente dimenticato e tanto meno aiutato e confortato dopo, nonostante le sue enormi difficoltà. Io mi metto tra quelli veri per i motivi sopra esposti: sono stato più dalla parte sua quando era in caduta libera che prima. Anche per una specie di feeling caratteriale che ci accomunava. Pur mantenendo un orgoglio esagerato, sapeva che io lo capivo ma principalmente che non avrei mai tradito la sua fiducia (stimava molto il mio modo di fare giornalismo). Senza darmi la possibilità di dirglielo apertamente capiva però chiaramente mie parole velate o silenzi più comprensibili di tante parole.

Se ne è andato un amico, un coetaneo al quale volevo un bene sincero. Indimenticabili le partite a calcetto del venerdì nella sua villa in zona Acquaviva. Ne ricordo una in cui io, lui, Ivo Di Francesco e mi pare Gianfranco Fratini (‘robustino’) in porta, durante la festa che organizzava a Ferragosto, battemmo cinque avversari che erano stati calciatori professionisti e più giovani di noi. Fu per lui una gioia immensa perché strabiliammo la folta platea di invitati (oltre 100) che non avrebbe scommesso una lira su di noi.

Dopo ogni gara tutti a cena a parlare di Sambenedettese e della sua Inter, le sue squadre. Fu utile anche alla nostra benamata grazie ad una lauta sponsorizzazione per la scritta Blooming sulle maglie. Era serie B.

Non lo vedevo da tanto tempo, l’ultima volta mi disse che era stato operato e stava bene. Una malattia che ho visto insorgere perché si era rivolto a me per alcuni accertamenti di laboratorio. Ricordo come fosse ora quando, circa quindici anni fa, nell’atrio dell’ospedale mi disse. “Zarè tu te ne intendi, che dici, devo preoccuparmi? Mi hanno detto che devo andare in Gastroenterologia per un ulteriore controllo, mi dicono che è un esame fastidioso che io vorrei evitare”. “No – gli dissi – è indispensabile”. Dopo qualche mese subì la prima operazione ed è stato bene per tantissimo tempo.

Addio Albé, grande amico mio