SAN BENEDETTO DEL TRONTO – L’annuncio fu accolto positivamente, peccato che per un anno non si sia mossa una foglia.

Era il settembre 2014, quando Margherita Sorge illustrò il progetto della Social Street, nella speranza di attuare in Riviera un’idea che aveva preso vita con notevole successo a Bologna.

Nel periodo di massima polemica per le conseguenze della movida molesta, l’assessore alle Politiche Sociali si era detta intenzionata a convocare “al più presto” una riunione con tutti i presidenti di quartiere per attivare una campagna di recupero dei beni e degli spazi urbani comuni.

Un modo per affidare agli stessi quartieri la gestione delle zone pubbliche degradate, la cura e la piantumazione di palme e aiuole, la realizzazione di fioriere ed orti urbani e la pulizia di alcune vie cittadine (sulla scia dell’iniziativa promossa recentemente a Roma dall’attore Alessandro Gassman).

Ad oggi, Andrea Sanguigni ed Elio Core, presidenti rispettivamente di Ponterotto e Porto d’Ascoli, negano qualsiasi tipo di coinvolgimento, così come Pierfrancesco Troli, al comando del quartiere Marina Centro, dove insistono i disagi maggiori legati al divertimento notturno.

Non sono mai stato contattato – taglia corto Troli – non so di cosa parli il progetto, dal momento che nessuno ce lo ha mai esposto. Come zona degradata credo che la nostra non sia da meno rispetto alle altre”.

La Social Street coinvolge in Italia più di 15 mila persone, con oltre 300 strade che hanno aderito. Al recupero degli spazi a rischio si aggiungono il prestito dei libri e film, il passaggio di vestiti usati, i servizi di dog-sitter. Tutti modi per mettere in contatto vicini di casa.

Nella presentazione della sua candidatura a sindaco, la Sorge ha promesso di coinvolgere sempre più la cittadinanza “per farla diventare protagonista nella comunità in cui vive”. I presupposti non sono dei migliori.