SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si complica la strada verso le primarie del centrosinistra. Il direttivo del Pd, riunitosi domenica pomeriggio, non ha trovato un accordo sulle regole da applicare.

Il muro contro muro è netto e riguarda temi fondamentali per il corretto svolgimento delle consultazioni. La segreteria ha confermato la volontà di non voler aprire a più di due candidati democratici, che eventualmente si andranno a confrontare con altre figure della coalizione.

Il timore è bissare il precedente milanese del 2011, quando un Pd diviso in mille fazioni dovette cedere il passo al vendoliano Giuliano Pisapia. Renziani e minoranza hanno obiettato, spiegando che la naturale scrematura avverrebbe con il ballottaggio, altro scenario che però i vertici del partito intendono accantonare.

E non finisce qui. Perché le serrate trattative investono pure il numero di firme necessario per poter presentare le candidature. Sabrina Gregori ha recentemente dichiarato che le adesioni andranno raccolte tra i tesserati e non nell’intero bacino cittadino. In questo modo, più alta sarà l’asticella, meno saranno i partecipanti alle primarie. Ma l’opposizione è insorta, avvisando che lo statuto regionale fissa da un minimo del 3 ad un massimo del 6% le firme tra gli iscritti indispensabili per scendere in campo, più un altro 10% da racimolare all’interno dell’Unione Comunale (qui i componenti sono poco più di cinquanta, quindi ne basterebbero 5-6).

Per i renziani i paletti posti dalla segreteria avvantaggerebbero di gran lunga Margherita Sorge, mediante l’esclusione dalla gara di Tonino Capriotti e del possibile candidato portodascolano.

Un nuovo incontro si svolgerà venerdì prossimo. Senza intesa, la parola passerebbe all’Unione. Qui la Gregori gode tutt’oggi della maggioranza dei voti, a riprova dell’inutilità del direttivo messo in piedi poche settimane fa, che ha invece mero potere consultivo.