SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Adesso l’auspicio è che votino questo benedetto Bilancio con umiltà. Senza arroganza, atteggiamenti virili e sfrontati. Evitino le prove muscolari, almeno stavolta. Prevalga l’imbarazzo ed il disagio per una città tenuta in stallo per due mesi da beghe di partito – un partito – e ripicche personali.

Una pagina tristissima per la politica sambenedettese. Il problema è che i diretti interessati non se ne rendono conto. Ci si preoccupa di sottolineare l’atteggiamento non compattissimo dell’opposizione (da che pulpito), come se alla cittadinanza freghi davvero qualcosa.

Diciannove i punti all’ordine del giorno, mai così tanti. La naturale conseguenza di un’inattività del consesso durata tre mesi. C’erano le pre-Regionali, le Regionali e le post-Regionali con cui fare i conti.

E poi c’è il documento finanziario, l’atto politico per eccellenza. In quanto tale, è normale che finisca al centro del mirino, a prescindere. Non esistono delibere più importanti e decisive, quindi se c’è la possibilità di far cadere un’amministrazione, questo è il caso.

Non ci si indigna per le tensioni politiche, per le liti, le accuse, gli strappi. Si può andare a casa persino per un albero abbattuto, se la decisione indignasse la fazione ambientalista della maggioranza. Ad offendere è semmai una crisi dettata da un non motivo. Non c’è, non esiste, nessuno l’ha scritto nero su bianco. E chi l’ha fatto, poco dopo s’è rimangiato tutto.

Partiamo da Claudio Benigni, figura più indecifrabile di tutta la faccenda. Non ha parlato per 55 giorni, dal famigerato 31 maggio fino al 25 luglio. “Nessuno ha capito perché il sindaco abbia annullato l’assise di giovedì scorso”, sono state le sue prime dichiarazioni. “Non ho mai affermato che avrei fatto cadere l’amministrazione, nella mia vita sono stato sempre giudicato per quello che ho fatto”.

E cosa ha fatto per un mese e mezzo? Semplicemente niente. Ha disertato importanti inaugurazioni (sottopasso di Via Pasubio su tutte), ha messo in naftalina in suo incarico da capogruppo Pd senza convocare più una riunione e ha dato forfait al confronto con Sabrina Gregori organizzato dai Socialisti appena ventiquattr’ore prima il famoso consesso del 23 luglio.

Affermare inoltre di non aver mai chiesto la testa di Sabrina Gregori equivale ad annientare alla base la battaglia senza esclusione di colpi portata avanti da Gianluca Pasqualini.

Il portodascolano parlava a titolo personale? Potremmo pure crederci, ma a questo punto andrebbero rimessi in discussione lo sbarco sulla Luna e la morte di Elvis Presley.

“Quando si perde alcune teste devono essere decapitate”, ammoniva Pasqualini. “L’unica soluzione è la testa della segretaria e un nuovo gruppo dirigente al comando”. Risultato? La Gregori è salda al suo posto e i ribelli hanno smesso di sbraitare.

Giovedì in Consiglio non mancherà nessuno. Tutti insieme appassionatamente: “E’ naturale che si possano generare tensioni, diversità di vedute e atteggiamenti scomposti; reazioni dovute alla passione per il bene della nostra città”.

Al di là delle scaramucce interne al Pd (degne dei film di Er Monnezza, tra sberle e parolacce), il vero coraggio sarà riuscire a guardare negli occhi i cittadini facendo finta di niente. Se ci riusciranno, buon per loro.