MONTEPRANDONE – Il pane. Decisamente il più importante tra gli “invitati” alle nostre tavole, trait d’union alimentare tra passato e presente e tante volte simbolo di mutamenti sociali che ne hanno fatto, per sinèddoche, l’equivalente dell’intero concetto di “cibo”.

Basterebbe questo perché di pane e di storia se ne parli nelle scuole e se ne tramandi il significato ai bambini. E il pomeriggio del 21 luglio al Santuario di San Giacomo è stato proprio questo per cento piccoli monteprandonesi. Un pomeriggio a stretto contatto con la storia di questo alimento, un evento che la A.s.d. “C’era una volta” di Monteprandone ha voluto non a caso chiamare “C’era una volta il Pane”. 

Dell’associazione “C’era una volta” abbiamo avuto modo di parlare qualche tempo fa e ascoltando le due responsabili del doposcuola Clelia Spotorno e Linda Quinzi ne è venuto fuori un ritratto di un ambiente formativo estremamente votato all’etica e al radicamento della stessa nei suoi piccoli iscritti. Quest’estate l’associazione ha ereditato dall’amministrazione comunale di Monteprandone, “grazie anche all’intervento della consigliera delegata all’istruzione Daniela Morelli” precisa Clelia Spotorno, la gestione del Centro Estivo Comunale “Il Boschetto” e ogni giorno, per tutta l’estate grazie anche a dieci operatori, riesce a far trascorrere a circa cento bambini pomeriggi spensierati tra educazione e gioco.

“Proprio in questo programma si inserisce il pomeriggio del 21 luglio” spiega ancora la Spotorno che poi continua ringraziando la Pro Loco di Monteprandone per il determinante aiuto nell’organizzazione di “un evento che si pone come momento altamente istruttivo per i bambini, che grazie alla dimostrazione pratica e al resoconto storico del panettiere Dino Roso del Panificio “D’Alesio”, sono riusciti ad apprendere le tecniche di una particolare panificazione, che segue metodi antichi e usa una farina molto particolare”. Stiamo parlando della farina estratta dalla particolare varietà di grano “Iervicella”, introdotta nelle Marche nell’800 dall’omonimo agricoltore Francesco Iervicella, ma presto abbandonata, alcuni decenni più tardi, per la scarsa produttività della varietà e per la fragilità e sensibilità della pianta alle intemperie.

Riscoperta proprio da Dino Roso, questa varietà di grano ha grandi proprietà nutritive oltre ad avere un significativo valore storico visto che, “per la diffusione che aveva nelle Marche nel 19° secolo, quello fatto col grano Iervicella, può essere considerato come il pane dei nostri avi” precisa proprio il panettiere. Ed è difficile pensare a dei testimoni migliori dei bambini per una tale immersione nella nostra storia, perché il sapere e il saper fare nelle mani di chi più a lungo degli altri potrà tramandarlo è la migliore delle garanzie affinché tale sapere non muoia.