
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quindici anni di carriera, 92 match da dilettante (di cui 27 con i colori rossoblu), il passaggio al professionismo, il venir meno della motivazione e la voglia di smettere. Poi, nel 2013, la strada di Roberto Bassi incrocia quella di Christian Giantomassi, il suo attuale allenatore. “Avevo perso gli stimoli, ma ho avuto la grande fortuna di incontrare Christian, che ha riacceso in me una fiamma, quel fuoco che in fondo non si era mai spento del tutto”.
Roberto Bassi ricorda l’incontro con Giantomassi come la tappa più importante del suo percorso sportivo, quella spinta di cui aveva bisogno per raggiungere il suo obiettivo, il titolo italiano. E il sogno si è realizzato: due vittorie ai punti, una il 10 gennaio ad Arezzo contro il triestino Fabrizio Leone e l’altra davanti al pubblico sambenedettese contro il torinese Roberto Cocco, due emozioni intense, due scariche di adrenalina, “quella adrenalina che non si può descrivere per quanto è forte e bella”.
Roberto Bassi ha conquistato e confermato il titolo italiano dei pesi Supermedi, vedendo così tutti i suoi sacrifici ripagati e assaporando la gioia negli occhi di chi gli vuole bene, perché vincere vuol dire soprattutto questo per lui. E guai a dirgli che l’importante è partecipare.
Roberto, come hai vissuto questi due incontri?
“In entrambi i casi ero molto teso, perché mi stavo giocando un titolo importante. Certamente quando combatti in casa la differenza si sente, anche se il fattore esterno pesa fino a un certo punto: sono incontri impegnativi e rischiosi, nei quali bisogna essere molto concentrati su quello che accade sul ring e trovare un equilibrio mentale non è facile. Comunque sono contento che siano venute tante persone a vedermi, anche perché abbiamo destinato una parte del ricavato dagli incassi al Biancazzurro, un’associazione per disabili”.
Come ti sei preparato atleticamente e mentalmente?
“Mi svegliavo alle 5.50 e alle 6.30 ero già in palestra, dove mi allenavo con lavori alternativi alla corsa, attività che ho dovuto sospendere prima dell’ultimo match causa di un problema al ginocchio. Poi avevo giusto il tempo di farmi una doccia prima di correre in ufficio. Dopo pranzo, ne approfittavo per dormire un po’ in macchina o riprendevo subito gli allenamenti, a seconda dei giorni. È stata una preparazione difficile, perché ho avuto oltretutto qualche problema fisico non solo al ginocchio, ma anche al gomito. Colgo a tal proposito l’occasione per ringraziare il fisioterapista Marco Marcelli, per le terapie al ginocchio, il fisioterapista Massimiliano Bolla, che mi ha rimesso il gomito in sesto, e l’osteopata Claudia Iadarola, fondamentale per la mia schiena. Per quanto riguarda l’aspetto mentale, anche questo è stato messo duramente alla prova, perché dopo giornate così intense arrivi a sera che sei intrattabile. Inoltre io tendo a essere silenzioso e schivo durante gli allenamenti che precedono un appuntamento importante, ma apprezzo molto quando i miei amici della palestra fanno battute e rendono il clima più piacevole”.
Cosa ha significato per te vincere?
“Per me la vittoria, in generale, è la ricompensa per tutti sacrifici fatti, che non sono pochi, ma è soprattutto sapere di aver reso felice le persone che mi sono vicine e che mi hanno sempre supportato e sostenuto, in un modo o nell’altro. Sia dopo il match di Arezzo che dopo quello di San Benedetto, i ragazzi che alleno, i miei ragazzi, mi hanno scritto messaggi molto belli e commoventi, rendendomi felice. Sono contento se posso essere un modello per loro, un punto di riferimento”.
Come ti sei avvicinato alla boxe?
“È stato grazie a mio zio Eugenio, che insegnava boxe. Mi svegliavo la notte per guardare i suoi incontri ed è stato così che mi è nata la passione. Io ho origini del sud, infatti mio zio vive in provincia di Foggia, ma è venuto a vedere il mio ultimo match ed è stata una bella emozione. Diciamo che ho avuto sempre un debole per questo zio, tanto che mi ha fatto cambiare anche squadra di calcio e da milanista sono diventato juventino!”.
Ci sono dei Campioni a cui ti sei ispirato?
“Ce ne sono diversi: Muhammad Ali, Ray “Sugar” Leonard, Floyd Mayweather, Sergio Martinez e altri. Ma, fra tutti, Muhammad Ali è quello che mi ha ispirato di più. Io dico sempre che c’è il pugilato e c’è Muhammad Ali, perché anche come persona è stato straordinario. Ha avuto il coraggio di prendere una posizione forte in un periodo storico difficile, quella di non partire per il Vietnam, giustificando la sua decisione con la circostanza che i Vietcong non lo avevano mai chiamato “negro”. Questa scelta ha avuto ripercussioni molto negative sulla sua carriera, ma lui è rimasto fedele ai suoi ideali. Un esempio da seguire”.
Quali sono gli elementi di cui un boxeur non può fare a meno?
“La preparazione fisica è fondamentale, soprattutto la corsa, per la resistenza. Durante gli allenamenti per l’ultimo incontro ho dovuto rinunciare alla corsa per il problema al ginocchio e ne ho risentito, ma in condizioni normali faccio ripetute, scatti, allunghi. Il fondo è basilare nel professionismo, perché i match si compongono di dieci riprese da tre minuti e rischi di rimanere senza fiato. Psicologicamente, bisogna allenarsi ad avere i riflessi pronti e i nervi saldi e a salire sul ring con la giusta carica di adrenalina e di tensione, ma anche con po’ di paura, visto che noi professionisti combattiamo senza caschetto. L’importante è non lasciare che la paura prenda il sopravvento, altrimenti meglio rinunciare”.
Fai parte dell’Olympia Boxe di Ascoli Piceno: qual è la situazione del pugilato nella provincia e, in particolare, a San Benedetto?
“Sono contento di stare una società di Ascoli, nonostante il mio cuore rossoblu. Ad Ascoli ho conosciuto molte persone che mi hanno aiutato e mi aiutano, sia al livello fisico che psicologico, alleggeriscono la tensione durante gli allenamenti e mi fanno sentire parte di una vera e propria famiglia. Quanto alla situazione della Boxe a San Benedetto, non so bene che cosa dire, se non che questo sport viene molto poco valorizzato. Come me, molti altri ragazzi sambenedettesi ogni giorno vanno ad Ascoli per potersi allenare. Tra questi: Silvio Secchiaroli, che ha fatto il suo esordio da professionista quando ho riconfermato il titolo italiano a San Benedetto, Jonny Cocci, Roberto Ruffini, Andrea D’Angelo”.
Essendo un pugile professionista, non puoi partecipare alle Olimpiadi. Se fossi rimasto dilettante, ci saresti andato?
“Non credo, perché la mia boxe non è da Olimpiadi, nel senso che è tecnicamente diversa. Quella olimpica, pur essendo di altissimo livello, è una boxe meno ragionata, con tanti colpi. Ho scelto di passare al professionismo proprio per le mie caratteristiche, che mi avrebbero permesso di arrivare in alto. Da dilettante sono arrivato al massimo terzo ai Campionati italiani assoluti, ma mi sono tolto comunque delle belle soddisfazioni: sono stato quattro volte Campione interregionale, due volte Vice Campione interregionale e ho vinto la medaglia d’argento ai Campionati italiani universitari”.
Com’è la tua vita oltre la boxe?
“Purtroppo soltanto con la boxe non si vive, quindi sono impiegato in studio legale e cerco di conciliare gli allenamenti con la mia vita lavorativa. Come secondo lavoro, alleno dei ragazzi, e questo mi dà delle grandi soddisfazioni, anche dal punto di vista umano, perché la palestra è una grande famiglia, in cui ci si allena duramente, si suda, si combatte, si fanno sacrifici, ma si parla anche, ci si confida, si condividono esperienze ed emozioni, creando un affiatamento senza eguali. Per il resto, conduco una vita molto regolare e tranquilla, che rispecchia il mio modo di essere”.
A quale età solitamente si smette di praticare il pugilato?
“Non c’è un’età precisa, si continua fino a quando si hanno le motivazioni. Ma, una volta persi gli stimoli, bisogna avere il coraggio di dire basta e non è facile per un pugile, perché siamo molto orgogliosi. Alcuni comunque arrivano anche fino a quarant’anni”.
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
“Sinceramente non ne ho. Ho realizzato il mio sogno di vincere il titolo italiano, rispettando la promessa che ho fatto a mio fratello che non c’è più, e non mi sono posto altri obiettivi per ora. Pur essendo una persona molto schematica e inquadrata, vivo alla giornata e affronto la vita come viene, fedele agli insegnamenti della boxe: quando sei sul ring, hai una frazione di secondo per decidere cosa fare e reagire al colpo che ti è stato inferto e così faccio fronte alle situazioni di tutti i giorni, perché ho scoperto che questo è il modo migliore”.
Nonostante abbia raggiunto risultati importanti, Roberto Bassi resta un ragazzo umile e sincero, profondo e sensibile, innamorato dello sport pulito e della boxe, disciplina che considera estremamente formativa per il carattere, “perché sul ring sei da solo”, ma che, per affiatamento e unità, supera di gran lunga gli sport di squadra. Un vero Campione, dentro e fuori dal campo di combattimento, che vive la vita come se fosse un match, consapevole che si può andare Ko, ma che è sempre possibile rialzarsi: l’importante è non mollare mai!
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