MARTINSICURO – Con due Titoli mondiali, 18 Titoli europei e 36 Titoli italiani, Simona Di Eugenio, classe 1985, è una delle atlete più medagliate non solo del pattinaggio di velocità in linea, ma di tutta la storia dello sport. Una carriera ad alti livelli iniziata con il bronzo  ai Campionati del Mondo del 2002, proseguita con il record mondiale – realizzato nel 2003, a Padova,  nella 5.000 metri su strada (7′.40″.53) – e con la medaglia d’argento ai Campionati del Mondo del 2004 e del 2009 e culminata con l’oro ai Campionati del Mondo 2005 in Cina, che è il massimo per un atleta del pattinaggio a rotelle. Ma non finisce qui: record europeo realizzato a Juterborg, in Germania, nel 2005, nella 15.000 metri su pista (25′.19″.177); medaglia d’oro, d’argento e di bronzo del CONI al valore atletico; ancora un titolo mondiale nel 2010, a Guarne, in Colombia, nella 10.000 metri a punti/eliminazione, una gara estremamente tattica. Una grande atleta, ma anche e soprattutto una bella persona.

Simona, come hai iniziato a pattinare?

“A sette anni ero un po’ cicciottella, quindi mia madre voleva farmi intraprendere uno sport e aveva pensato al nuoto, ma il caso ha voluto che in quel periodo la piscina comunale di San Benedetto fosse chiusa. Un giorno ci siamo trovati al “Tempo Libero” di Martinsicuro, dove si allenavano i ragazzi della Rolling Pattinatori “D. Bosica”, ed è stato così che ho iniziato, per gioco, anche perché mia madre conosceva Elena (Bosica, ndr). Il pattinaggio mi è piaciuto da subito, tanto che dai pattini a quattro rotelle sono passata, dopo solo un anno, a quelli in linea e sin dall’inizio ho mostrato una grande determinazione: durante un allenamento sono caduta, perché non sapevo frenare, e mi sono rotta un dente e tutti pensavano che, per lo spavento, non avrei più rimesso i pattini, ma ho stupito tutti e il giorno successivo sono tornata ad allenarmi”.

Quando c’è stata la svolta e hai iniziato la carriera agonistica ad alti livelli?

“Il salto di qualità c’è stato quando sono entrata nella categoria juniores. Sin da piccola, il mio primo allenatore, Corrado Cipriani, mi diceva: “Sei forte, hai grinta e tenuta mentale, ma quei chili di troppo ti frenano”. A quindici anni ho iniziato ad allenarmi costantemente e a seguire una dieta equilibrata e nel 2002 ho vinto il mio primo Titolo italiano, sono entrata in Nazionale e ho preso parte ai Mondiali e agli Europei, manifestazioni a cui ho poi partecipato ogni anno con la maglia azzurra, una divisa grazie alla quale ho girato il Mondo, ho stretto belle amicizie e ho sperimentato un senso di appartenenza senza eguali”.

La tua vittoria più bella?

“L’ultimo Titolo mondiale, quello in Colombia del 2010, il più duro. Una trasferta lunga, di 32 giorni: siamo partiti 20 giorni prima della competizione, perché dovevamo gareggiare a 1200 metri di altezza e il nostro fisico doveva avere il tempo di adattarsi. Un Mondiale difficile dal punto di vista della resistenza fisica e mentale, senza considerare che il pattinaggio a rotelle è lo sport nazionale della Colombia, quindi per vincere lì ci vuole davvero tanta determinazione. Per questo è stata la vittoria più bella, perché è stata la più sudata e la più inaspettata, ma anche per un altro motivo: quel Mondiale l’ho condiviso con Giordano, la persona speciale che poi sarebbe diventata mio marito”.

Come mai in Italia il pattinaggio a rotelle è così poco seguito? E cosa si potrebbe fare per pubblicizzarlo maggiormente?

“Il più grande handicap del nostro sport è che non è nel programma olimpico, anche se molte volte è stato in lizza per entrarci, ma poi è stato sempre superato da altri sport. Questo fa sì che ci siano poco investimento, poca sponsorizzazione e, di conseguenza, poca visibilità. Fino a quando non raggiungi risultati importanti tutto grava sulla famiglia, che è fondamentale, sia dal punto di vista economico che da quello del supporto. Mamma (Cinzia, ndr) e papà (Giovanni, ndr) mi hanno sempre seguita: mio padre veniva con me in trasferta, mentre mamma rimaneva a casa e mi sosteneva da lontano, ma entrambi sono stati importantissimi, anche nei periodi di preparazione, perché senza di loro sarebbe stato molto difficile organizzarsi e riuscire ad allenarsi al meglio. Non è facile trovare una soluzione e capire come si possa dare maggiore risalto al nostro sport: se non c’è investimento, non c’è visibilità, ma se non c’è visibilità, non c’è investimento. È un circolo vizioso dal quale è difficile venir fuori. Colgo l’occasione per ringraziare la Rolling Pattinatori “D. Bosica”, ora portata avanti da Tina (Bosica, ndr) e Lorenzo (Bosica, ndr), perché ha sempre investito e continua a investire in questo sport, creando un bell’ambiente e una possibilità di divertimento e di confronto per i ragazzi”.

Hai mai pensato di passare al pattinaggio sul ghiaccio?

“Un anno ci siamo allenati a Baselga, in Trentino, insieme alla Nazionale di pattinaggio sul ghiaccio ed è stata una bella esperienza, ma non me la sono sentita di lasciare il certo per l’incerto e di stravolgere la mia vita, anche perché ho sempre saputo che lo sport ad alti livelli sarebbe stata soltanto una fase: mi sarei dovuta trasferire al Nord, lasciare la famiglia, abbandonare o comunque cambiare l’università che nel frattempo avevo iniziato. Non ho rischiato insomma, forse perché non ho avuto abbastanza coraggio, forse perché mi sono ricordata che soffro il freddo (ride)! Inoltre, credo che fosse ormai troppo tardi: secondo me, il pattinaggio sul ghiaccio è più duro e la tecnica è più difficile, quindi avrei dovuto, in qualche modo, modificare quello che avevo sempre appreso e messo in pratica”.

I Titoli mondiali ed europei che hai vinto sono stati del tutto inaspettati o sapevi che li avresti conquistati?

“Avevo un grande rispetto per gli avversari: non li ho mai sottovalutati ed ero pronta a mettermi sempre in discussione. Arrivavo alle gare con la convinzione di aver fatto il possibile, di essermi allenata al massimo e di non potermi rimproverare nulla, ma non con la sicurezza di avere la vittoria in tasca, perché entrano in gioco tanti fattori, tra cui anche le cadute che possono verificarsi in corsa. Soprattutto in Colombia, nel 2010, non mi aspettavo di vincere, perché le condizioni erano difficili”.

C’è il doping nel pattinaggio a rotelle?

“Al livello italiano no, perché non c’è un ritorno economico, ma in ambito mondiale qualcosa c’è. In ogni caso, io non ne avrei mai fatto uso né lo condivido: sono favorevole ad una alimentazione equilibrata e a una corretta integrazione, ma al doping no”.

Come sei arrivata alla decisione di ritirarti dalla carriera agonistica?

“È successo in seguito ai Mondiali del 2010: mi sono rimessa i pattini, ma dovevo fare una scelta e decidere se ricominciare la preparazione in vista della stagione successiva o smettere. E ho scelto di mettere fine alla mia carriera agonistica. Dopo vent’anni sui pattini ero satura e non avevo più la motivazione di prima, quindi ho preferito ritirarmi dopo la vittoria del Titolo mondiale, quando ero certa di aver dato il massimo, invece che continuare senza troppo impegno e con risultati mediocri. Anche perché sono del parere che le cose vadano fatte bene, altrimenti è meglio non farle”.

Ti piacerebbe diventare allenatrice di pattinaggio?

“Allenare significherebbe un po’ ricominciare il percorso che ho fatto da atleta e non sarebbe facile dopo tutti quegli anni di attività. Ma mi piacerebbe seguire un gruppo di bambini e/o di giovani ragazzi, anche della Nazionale, perché potrei trasmettere loro non solo le nozioni tecniche, essendo laureata in Scienze Motorie, ma anche tutto il bagaglio di esperienza che ho accumulato durante gli anni di allenamenti e di gare. Il pattinaggio è un mondo di cui ho fatto parte per tanto tempo e che mi dato la forma mentis che ho adesso: è stato una vera e propria scuola di vita, perché mi ha insegnato che, per raggiungere un obiettivo, sia nello sport che nella vita, sono necessari sacrificio, dedizione e impegno e che nulla si ottiene gratis”.

Qual è il tuo motto?

“Il mio motto è: ‘Niente è impossibile!’, una filosofia che ho sperimentato su me stessa e che riassume non solo la mia esperienza sportiva, ma anche il mio approccio alla vita di tutti i giorni!”

Lo sport continua a fare parte della vita di Simona Di Eugenio, attraverso il podismo, la bicicletta, la palestra, e continua a regalarle soddisfazioni, come la vittoria alla mezza maratona di Pescara. Una vera atleta, insomma, che condivide la sua grande passione per lo sport con suo marito Giordano, ma anche e soprattutto una bellissima persona, umile e disponibile, come solo le grandi Campionesse sanno essere.