Negli scorsi mesi molte essenze arboree di San Benedetto, soprattutto pini, sono state abbattute dal forte vento che tirò per qualche giorno. Dove non è intervenuta la natura con la sua forza è intervenuto l’uomo con la sua forza meccanizzata, ma per altri motivi, abbattendo piante malate o a fine vita quindi potenzialmente pericolose, oppure con radici tali da rendere pericolosa la circolazione pedonale o anche stradale.

Ci sarebbe da discutere a lungo se la colpe sono delle piante o di chi non ha saputo scegliere essenze adatte alla città o non ha saputo progettare in maniera adeguata l’area circostante il fusto dell’albero, che quasi sempre arriva con materiali poco idonei e impermeabili a ridosso del tronco lasciando pochissimo spazio alla captazione dell’acqua piovana (si nota benissimo sul nuovo lungomare di Porto d’Ascoli sullo spartitraffico tra pista ciclabile e strada), ma in questo articolo vorrei parlare di quanto sia importante ripiantare una pianta in ambito urbano, invece che due in ambito già verde come un parco.

Negli ultimi anni l’inurbamento ha portato a un vistoso mutamento delle cifre che ne raccontano le dimensioni: da 600 milioni di persone che vivevano in città nel 1920 si è passati a circa 2 miliardi nel 1986. Fino a un secolo fa, solo 14% della popolazione risiedeva in città e nel 1950 si era ancora al di sotto del 30%. Ora siamo circa al 50%. Alcune stime hanno calcolato che la popolazione urbana rappresenterà all’incirca l’80% della popolazione mondiale entro il 2100.

L’incremento dell’industrializzazione e di urbanizzazione ha drammaticamente aumentato il numero di edifici nelle città concentrando ed intensificando con forza i consumi energetici e il microclima urbano, portando con sé cause dirette e indirette: eliminazione degli spazi verde a favore di strade e vaste zone cementificate, concentrazione di macchine e macchinari che aumentano la temperatura locale (auto, caldaie, condizionatori, etc.), l’utilizzo di materiali impermeabili e idrorepellenti ad alta massa e accumulo termico (pietra, cemento, laterizio, bitume, etc.), che creano effetti multipli di riflessione (effetto albedo) della radiazione termica tra le pareti degli edifici, con conseguente ulteriore riscaldamento delle masse d’aria con le quali esse sono a contatto, creando degli effetti sul clima locale chiamata “isola di calore urbana” (Urban Heat Island, da qui UHI).

Con questo termine infatti, si identificano le differenze di temperatura tra un’area urbana (più calda) e le zone rurali limitrofe.

Chi infatti in piena estate passeggia sul lungomare di San Benedetto del Tronto, troverà distintamente tre differenti gradi di temperatura:la prima a Porto d’Ascoli, la seconda nell’area che va dal campo Rodi all’altezza di via Voltattorni, la terza da via Voltattorni al porto. In sequenza da Porto d’Ascoli fino al porto la temperatura dell’aria è sempre più alta, infatti mentre Porto d’Ascoli beneficia delle correnti di aria che si formano anche a causa delle escursioni termiche lungo la vallata del fiume Tronto, tutta l’area che coincide con il viale dello Sport, beneficia della bassa densità urbana a favore di ampie aree verdi, cosa che non avviene al centro della città.

Gli effetti principali di questa differenza di temperatura saranno, all’interno dei centri urbani più soggetti a questo fenomeno:
– un incremento del consumo di energia;
– elevate emissioni di inquinanti e dei cosiddetti gas serra;
– un peggioramento della vita e del comfort della popolazione;
– un peggioramento della qualità dell’acqua, principalmente per inquinamento termico.

La temperatura media su base annua di una città di un milione di abitanti può risultare di 1-3°C più calda rispetto alle campagne circostanti e, durante le notti caratterizzate da poco vento, questa differenza di temperatura è in grado di salire fino a 12°C.

Anche città di minore estensione – o minore densità abitativa – daranno luogo al fenomeno dell’UHI, il quale si ritroverà in misura minore con il diminuire delle dimensioni della città stessa.

La mitigazione della “bolla di calore”, passa sia attraverso l’utilizzo di materiali da costruzione che mitighino l’effetto di riflessione e assorbimento del calore sia attraverso l’utilizzo del verde all’interno della città, con la piantumazione di alberature, l’utilizzo di tetti e pareti verdi. A tal proposito Modena ha fatto un progetto molto interessante.

L’utilizzo del verde in città porta dei vantaggi sotto vari aspetti: il raffrescamento, infatti le piante per innescare il meccanismo dell’evapotraspirazione che è un fenomeno legato alla fotosintesi, per poter assumere l’anidride carbonica dell’atmosfera, devono perdere acqua. Il passaggio dell’acqua, dallo stato liquido a quello di vapore, avviene nelle foglie e comporta un assorbimento di energia termica, che grazie anche all’ombreggiamento della chioma favorisce “isole di fresco”, ma apporta anche vantaggi di carattere più strettamente ambientale, come assorbimento di anidride carbonica e rilascio di ossigeno, alcune essenze addirittura assorbono agenti atmosferici inquinanti. Veri e propri piccoli parchi urbani opportunamente progettati lungo le direttrici principali dei venti dominanti nel periodo estivo, funzionano come e propri “condizionatori” naturali che raffrescano l’aria che ci passa a beneficio delle zone circostanti.

Inoltre le varietà cromatiche delle piante cambiano l’aspetto ma anche il colore della città, scandendo le stagioni, portano anche dei benefici di carattere psicologico: mi viene da pensare agli alberi di via Ugo Bassi a San Benedetto, una via che mi ricordava in piccolo alcuni quartieri di Brooklyn; l’aver sacrificato la fila ad est a favore di una pista ciclabile (sacrificare una causa nobile, quella degli alberi, con un’altra ancora più nobile la mobilità dolce, è un classico di chi non sa trovare un’alternativa) non gli ridarà lo stesso fascino che aveva anche quando gli alberi saranno nuovamente cresciuti.

Città come Lisbona investono nel verde, per avere delle ricadute in termini di salute, comfort, risparmio energetico e turismo sull’intera comunità, risparmiando in questo modo sui costi di alimentazione dei condizionatori, ma anche su quelli delle aziende ospedaliere per le cure di malattie relazionate a smog e polveri sottili, alcune piante sono capaci di depurare l’aria da sostanze tossiche per l’organismo. Altre come New York, Parigi, Madrid o Milano utilizzano il verde per riconvertire aree, pezzi di città degradate o dismesse, dando un valore aggiunto e riconoscibilità a quartieri che non avevano una vera e propria identità urbana.

San Benedetto del Tronto ha fatto sempre del verde un proprio e vero cavallo di battaglia, il parco lineare sul lungomare ne è un esempio tanto da renderlo patrimonio paesaggistico, ma sono stati sempre interventi a pioggia, senza una pianificazione ad hoc, da alcuni cittadini visto anche come una spesa in più per via della manutenzione, non si è mai pensato a una progettazione in termini di salute, ed energia, tramite piani del verde, che potrebbero oltre che migliorare gli aspetti sopra citati, anche apportare energia tramite l’utilizzo della biomassa prodotta, anche perché lo sviluppo del verde in città è favorito anche da leggi e norme apposite come la legge 14 gennaio 2013 , n. 10 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” o indirettamente tramite leggi sull’efficienza energetica che agevolano l’utilizzo di tetti o pareti verdi.