IL MISTERO DEGLI ANTICHI RIONI DI SAMMENEDETTE, di Primo Angellotti, in collaborazione con il gruppo facebook: Sei di San Benedetto se… liberté, égalité, fraternité, Samb alé!

Sudèntre e Maréne, Pajarà e Munteró, Mandràcchie, Mararangiàre, i Lijó, lu Ponderótte, Santa Licì, i Frate, sono denominazioni che tutti i sambenedettesi percepiscono come care e familiari, perché ci sono state trasmesse dalle nostre famiglie, appartengono alla nostra tradizione orale.

Dopo generazioni la memoria storica si è affievolita e un po’ confusa: ci siamo posti perciò l’obiettivo di mettere ordine e ricostruire i vecchi confini dei rioni, e a tale scopo abbiamo raccolto testimonianze, ricordi e documenti d’archivio grazie al gruppo Facebook sambenedettese. In particolare è stata illuminante una splendida planimetria della San Benedetto di metà ‘800, fornita dall’architetto Fabio Viviani,  scovata all’archivio di stato nel 1980 ed allegata come foto a questo articolo.

Mettendo insieme tutte le informazioni, abbiamo ottenuto una ricostruzione accurata dei confini originari de la Maréne, dei Pajarà e dei Munteró, che poi ho riportato graficamente nella cartina della San Benedetto moderna, colorando ed etichettando le diverse zone, e sulla planimetria ottocentesca anch’essa ricolorata.
Le prime baracche dei pescatori fuori dall’incasato del paese alto risalgono alla fine del 1600-inizio 1700, ed hanno dato vita nel tempo al quartiere della Maréne, percorso da una strada principale che andava dal comune vecchio alla piazza d’Armi davanti alla chiesa di San Giuseppe, la via degli Orefici, per proseguire su via dell’Ancoraggio fino al mare: si tratta delle odierne via XX Settembre, piazza Matteotti, Viale Secondo Moretti! Andiamo a scoprire qualche dettaglio di quelle antiche contrade.

LA MARENE. Era tutta la zona bassa ai piedi di “Sudèntre, che alla metà dell’800 aveva due zone di confine, a sud le case di paglia dei “Pajarà“, e a nord gli appezzamenti dei contadini e i cumuli di terra dei “Munteró“; nel mezzo l’incasato centrale del quadrilatero via Volturno-Viale Secondo Moretti-Via Calatafimi-Via Roma quasi identico a oggi, la Marina “centro”: Sammenedètte era tutta lì, non c’era altro, come ben mostra la planimetria!
La Maréne fu il primo quartiere, detto “pianificatorio” dettato dal primo piano regolatore di San Benedetto redatto dall’architetto camerale Luigi Paglialunga di Fermo nel 1793; l’architetto progettò simili strumenti per molti comuni della costa, infatti la somiglianza di questi borghi marinari è costante ed impressionante!

La via “larga” in mezzo a la Maréne, l’attuale via Mentana, un tempo era utilizzata per parcheggiare i carri dei venditori di arance ed agrumi la sera prima del mercato; i “mararangiàre” dorminavo sopra i carri per evitare i furti, ma invariabilmente i marenàre che rincasavano la sera, passando da quelle parti, qualche arancia se la portavano via. Da questi aneddoti naque il nomignolo affibiato all’epoca a quella zona: “llà ai mararangiàre“.

LU MANDRACCHIE. Scriveva Francesco Palestini nel suo Gergo. Mandràcchie: è così chiamato il popolarissimo rione di pescatori attraversato da Via Laberinto e dalle viuzze parallele tra questa e Viale Secondo Moretti (Via Gallo, ecc.).
Nel più ampio gergo della gente di mare, ed ormai accettata nella lingua italiana, la parola “mandracchio” (da mandria) indica uno specchio d’acqua che nell’interno del porto veniva riservato alle barche più piccole, da pesca, in modo che non potessero costituire intralcio per i natanti di maggior mole: era questo il primo nucleo dei Pajarà.

È da ritenere che il nome al rione sambenedettese sia derivato dal fatto che sulla spiaggia della contrada, quando una volta il mare la raggiungeva, venivano ormeggiate le lancètte e forse anche perché ivi erano ammucchiate, a guisa di mandria, le catapecchie dei pescatori. Nella nostra infanzia, ricordiamo essere nei paraggi due piccoli cantieri. Notiamo che Via Calafati, Via Squero (v.), Via Pescheria, Via Ancoraggio, Via Dogane della vecchia toponomastica sambenedettese corrispondo nella nuova, rispettivamente alle attuali Via Legnago, Via Castelfidardo, Calatafimi, Viale Secondo Moretti e Via Montebello.

I PAJARA’. La vox pupuli narra: “Rrète a San Giuseppe, fféne a quascie a lu fusse e a la spiaggie, cent’anne fa ci stave le case de pàje, ddùa abbetì i Pajarà…”
Infatti i Pajarà includevano lu Mandràcchie ma anche una zona di maggiore estensione immediatamente ad est e a sud di via Laberinto, sino all’attuale Via Crispi. Pajarà significa “abitanti delle pajàre”, cioè di abitazioni costruite con paglia e fango, l’ultima delle quali è stata abbattuta nel 1936.

In definitiva i Pajarà costituiscono il più antico insediamento in basso fuori le mura del paese alto, a cui si affiancarono verso nord, a partire dal 1740 le case più consistenti del quartiere “pianificatorio”. La stessa via XX settembre era edificata con case di paglia sul lato sud mentre il lato nord era quasi del tutto inedificato, e lì cominciarono a fare i bei palazzetti che adesso vi sono, il primo probabilmente fu quello dove era il circolo cittadino.
Verso l’Albula non vi era niente, d’altra parte era impossibile perché a nord del torrente vi era il fosso vallato, una derivazione dell’Albula che faceva girare il mulino dietro il bar dell’odierna piazzetta di via Fileni.

I MUNTERO’. I “Munteró” (o “Menteró”) pare che fosse un appellativo rivolto agli abitanti della zona rurale a nord di San Benedetto, costellata di montagnole: questi mentó de tèrre e cumuli di immondizia erano molto presenti in particolare nella zona di piazza san Giovanni Battista prima dell’urbanizzazione.
Geograficamente identifica tutta la zona a nord di via Roma, che nel momento in cui Sammenedètte cominciava ad espandersi era ancora impervia e contadina, contrapposta al centro della Maréne e al suo fulcro più antico dei Pajarà che erano contrade marinare.

Delle testimonianze ci raccontano come ancora negli anni ’60 la zona dove oggi c’è il plesso Scolastico “Manzoni Sacconi” era piena di cumuli di terra: “Da frechè jàvame a jicà lòche a le muntagnòle, ci ne stàve na mócchie ‘ttòrne càse; era il nostro parco, e ci passavamo molto tempo! Erano quelli i famosi munteró… ce n’era una grande estensione con tanto di canneti; noi ci costruivamo i nostri rifugi, facevamo le capanne come gli indiani… Ricordo che per le nostre mamme era un buon territorio pe trevà le fùje campagnaròle…
In tutta la zona nei pressi di via Ferri, dall’attuale Santori fino ai confini di Grottammare, c’erano soltanto mucchi di terra e canneti, ogni tanto qualche casa rurale. In una di queste c’era la Canténe de Mandéche, un locale “alla buona” come si usava “a timbe de préme”. Altra costruzione che ricordo è la Caserma dei Vigili del Fuoco (la prima pietra fu posata nel 1959 e San Benedetto contava già 30.000 abitanti); a ridosso del muro lato est ora via Aleardi c’erano i funai, e noi ragazzini incuriositi ci soffermavamo ad osservarli intenti nel loro lavoro.

PASSATO E FUTURO. Abbiamo presentato un affresco del nostro passato, a cui siamo legati sentimentalmente e da cui è bene ripartire per proiettarci nel futuro avendo salde le radici. E’ un augurio che mi faccio, non spersonalizziamoci e non banalizziamoci, restiamo quelli che eravamo, e sapremo vincere qualsiasi sfida che ci si presenterà: abbiamo ereditato dai nostri avi una tempra potenzialmente straordinaria, invece di rinnegarla bisogna usarla al meglio!