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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “A San Benedetto non si muore mai!”. Questa frase pronunciata in telecronaca durante Sambenedettese-San Cesareo nel campionato di Serie D 2012-13 è diventata storica per tutti i tifosi rossoblù. La Samb segnò al 90° il goal del 3 a 3 dopo essere stata in svantaggio per tre reti a zero. Un punto risultato poi decisivo per la conquista finale della promozione in Seconda Divisione. La gioia di tutti i tifosi fu espressa simbolicamente da quella frase pronunciata da Stefano Bruni. Telecronista e addetto stampa della Sambenedettese per otto anni. Sappiamo tutti, purtroppo, come andò a finire la stagione. Però l’espressione “A San Benedetto non si muore mai!” è veritiera. La società è morta negli ultimi anni diverse volte. Ma la passione e il tifo dei sambenedettesi non muoiono e non moriranno mai. I sostenitori l’hanno dimostrato più volte e continuano a farlo. Stefano Bruni da un paio di settimane non è più addetto stampa della Samb. L’ha annunciato su Facebook con un messaggio commovente, dove alla fine ha anche rilasciato un suo pensiero preciso per far modo che la Sambenedettese si rilanci definitivamente nel calcio che conta. Abbiamo voluto intervistarlo per farci raccontare questa sua esperienza nel mondo rossoblù.

Stefano, un fulmine a ciel sereno?

“Ho lasciato per una serie di motivi. Prima di tutto personali. Non riuscivo più a svolgere a tempo pieno il ruolo di addetto stampa perché il mio lavoro con ‘Italiana Assicurazioni’, agenzia di famiglia, cominciava a diventare impegnativo. Inoltre a fine luglio sono diventato padre di una bambina e ho dovuto ritagliare, giustamente, i miei spazi in base alle sue necessità”.

Torniamo agli inizi. Come sei entrato nel mondo rossoblù?

“Innanzitutto ci tengo a dire che nell’universo della Sambenedettese ci sono sempre stato. Fin da ragazzino come tifoso che non si perdeva neanche una partita e poi in seguito come giornalista per testate locali. A metà della stagione 2006-2007, tramite uno stage universitario, sono riuscito a entrare per ricoprire un ruolo nella comunicazione e nel marketing della società (a quei tempi gestita dai Tormenti). L’anno seguente mi proposero di rimanere come addetto stampa perché Sabrina Vinciguerra decise di lasciare quel ruolo ed io accettai con molto piacere”.

Da tifoso della Sambenedettese deve essere stato un lavoro molto emozionante.

“Esattamente. Ero entusiasta. Lavoravo nella squadra del mio cuore, cosa potevo chiedere di più? Inoltre erano gli anni belli della serie C1. La squadra giocava contro squadre blasonate e riguardo al mio mestiere mi confrontavo con realtà importanti. Rimasi impressionato in quel periodo dalla gestione strutturale del Cesena. Già all’epoca si capiva che il presidente Campedelli e il suo staff erano propensi a fare le cose in grande. Una società solida, campi di allenamenti innovativi, un settore giovanile d’avanguardia e uno stadio bellissimo. Anche l’accoglienza alla stampa era molto professionale. Infatti, in soli tre anni passarono dalla C1 alla serie A. Avevano in rosa un certo Giaccherini e come allenatore Bisoli, un vero intenditore di calcio. Inoltre in quegli anni i Tormenti ci permisero di aggiornare il sito della Sambenedettese e di far modo che i tifosi potessero interagire in prima persona con i propri beniamini. Creammo il Tg della squadra, realizzavamo molte interviste durante gli allenamenti e le partite. Fu una bella innovazione”.

Purtroppo la bella favola dei Tormenti svanì con il fallimento e la discesa negli inferi in Eccellenza. La società fu rilevata da Spina, Bartolomei e Pignotti.

“Fu un momento difficile. Personalmente compresi ciò che era successo solo alla prima giornata del campionato a Montegranaro. Quando arrivammo al campo sportivo, fu scioccante. Ci ritrovammo in un’altra realtà rispetto a com’eravamo abituati. Per fare un esempio, quando in serie C1 andammo a giocare a Reggio Emilia nell’area stampa ci offrirono addirittura il grana padano e altre eccellenze enogastronomiche. Peggio andò nella seconda trasferta contro il Real Metauro. Avevamo difficoltà nel trasmettere sul web la telecronaca in diretta della partita. Questo per far capire il vasto divario di categorie in tutti i lati, sportivi e non. La Samb meritava il professionismo e stare in quei campi di periferia era davvero avvilente. Comunque c’era entusiasmo. La voglia di ripartire da zero con persone sambenedettesi all’interno della società. Spina e gli altri allestirono una buona squadra e vincemmo senza particolari problemi il campionato e approdammo in serie D”.

Con Spina e company sembrava possibile aprire un ciclo vincente. Che cosa è successo invece?

“A mio parere credo che si sia voluto fare il passo più lungo della gamba. C’erano giustamente entusiasmo e voglia di spaccare il mondo. Spina e gli altri, essendo poi anche tifosi, avevano fretta di far risalire la Sambenedettese nel calcio professionista. Però, secondo me, ci furono errori di gestione. Innanzitutto fu grave perdere il campo Europa. C’era un preaccordo tra Spina e Sciocchetti. Solo che alla fine tutto saltò e l’impianto andò alla Mariner. Perdere un campo d’allenamento di quel valore fu un dettaglio decisivo. Non allenandosi in maniera idonea e in impianti moderni era inevitabile che, al confronto di altri team, la squadra avrebbe perso qualcosa in più durante le partite. Non si decise poi di puntare in maniera appropriata sul settore giovanile. Inoltre penso che sia impensabile vincere un campionato di Serie D se non si metta nel piatto oltre 800 mila euro di budget. Ancona e Teramo hanno messo più o meno quella cifra e di conseguenza sono saliti. E in più hanno avuto una gestione societaria costante e coerente in tutti i settori. Così si vincono i campionati e si va avanti. Poi c’è stata la mazzata dello stadio. Un’idea innovativa ma probabilmente non ben calcolata. Non voglio entrare nel merito perché non è una vicenda di mia competenza. Però sicuramente sono stati fatti errori di calcolo che sono stati poi fatali per l’esistenza della società”.

Purtroppo, nonostante la vittoria, ci fu il declino clamoroso in Eccellenza, conseguenza di un nuovo fallimento. Come hai vissuto quei momenti?

“Calcisticamente parlando fu un campionato bellissimo e intenso vinto con merito sul campo. Dopo la fuoriuscita di Spina, Bartolomei e Pignotti (con la collaborazione di Spadoni) riuscirono nella promozione in Seconda Divisione. Poi durante l’estate il disastro. I debiti prima non permisero l’iscrizione alla categoria conquistata sul campo. Poco dopo ci fu la batosta del nuovo fallimento. All’inizio ero fiducioso perché Bartolomei e Pignotti ci tranquillizzavano in continuazione. C’era quel famoso viaggio verso Roma che pareva essere la manna dal cielo. Invece poi sappiamo tutti come andò a finire e ci fu un vero gelo. Una delusione enorme”.

Subentrò Moneti e la squadra vinse senza patemi il campionato di Eccellenza. E’ arrivato poi Bucci a dare manforte alla società.

“Moneti inquadrò da subito il problema della Samb. Ovvero l’assenza di strutture idonee per la squadra e per il settore giovanile. Fin dall’inizio denunciò questa situazione e tuttora continua a farlo. È inaudito, secondo me, che una realtà come la nostra non abbia una sorta di cittadella dello sport. E’ incredibile che da Civitanova arrivando fino a Tortoreto non ci sia un’adeguata struttura sportiva che possa permettere la formazione di talenti nostrani utili alla causa della Samb. Basti pensare che la maggior parte degli under di quest’anno proviene fuori Regione. Magari soffrono un ambiente che nono conoscono. Si fanno intimorire dalla nostra calda piazza. Se invece si facesse modo di inserire i giovani del nostro territorio, che già conoscono l’ambiente, si otterrebbe un riscontro positivo. Con Ottavio Palladini, ai tempi in cui era allenatore, discutevamo di questa problematica. Dell’assenza di un campo d’allenamento adatto per far crescere la squadra e le giovanili. A un certo punto, addirittura, individuammo uno spazio utile tra la curva Sud e i distinti per realizzare ciò ma non se ne fece nulla”.

Hai vissuto tre gestioni societarie della Samb. Qual è il tuo pensiero al riguardo?

“I Tormenti hanno avuto il merito di rilanciare la società dal punto di vista del Marketing e della Comunicazione. Credo che a livello di sponsor, soprattutto con Marcello, abbiamo compiuto un buon lavoro. Negli ultimi 20 anni non avevo mai assistito a un incremento del genere degli sponsor approdati in Riviera. Però ebbero delle lacune decisive nella gestione tecnica della squadra. Riguardo a Spina, Bartolomei e Pignotti ho diciamo un rammarico. Loro naturalmente conoscevano meglio di tutti la realtà sambenedettese. Da questo punto di vista s’inserirono molto bene. Non essendo però uomini di calcio commisero gli errori che ho riportato in precedenza. Moneti si vede che è un uomo di calcio. E anche Arcipreti, Piccoli e Bucci mi danno la stessa impressione. Però ho una critica da rilevare: all’interno della società attuale ci siano pochissime persone di San Benedetto. Una cosa non da poco. Perché gli ‘autoctoni’ potrebbero aiutare sia la squadra nei risultati ma anche la società nel gestire le questioni extra calcistiche. Non vorrei che questa lacuna possa essere fatale alla loro presidenza”.

Dopo Spina e company, nessun imprenditore sambenedettese sembra interessato a rilevare la squadra? Paura della crisi economica e della piazza?

“Naturalmente la crisi economica ha il suo peso. Si deve investire parecchio e in maniera adeguata per ottenere i risultati. San Benedetto non è una città industriale e quindi forse gli imprenditori locali non hanno quel peso economico per investire. Riguardo invece a chi si ‘nasconde’ per paura di eventuali ritorsioni dalla piazza credo che sia semplicemente una scusa. Non attacca più il discorso ‘mi vengono poi a menare sotto casa’ anche perché non è mai successa una cosa del genere e la tifoseria sambenedettese ha sempre manifestato il suo dissenso in maniera pacifica nonostante le varie sventure societarie. Devo dire che i sostenitori, soprattutto i ragazzi della Curva Nord, nei fallimenti della squadra sono maturati. Tifano ovunque e in qualsiasi categoria la Samb. Le cose che chiedono sono serietà e solidità. Poi naturalmente ben vengano i risultati. Ma se ai tifosi è dimostrata serietà e solidità sono comunque soddisfatti”.

Tutti i tifosi ricordano la tua telecronaca contro il San Cesareo. E la tua immensa gioia per il pareggio. Da telecronista e addetto stampa quali sono stati i momenti più belli? E quali i più brutti?

“Mi fa piacere essere ricordato per quella telecronaca e per l’espressione ‘A San Benedetto non si muore mai’. Poi in quella partita dopo il goal del pareggio ero uscito dalla cabina e urlai, lontano dal microfono, tutta la mia gioia. Poi mi ricomposi e tornai a narrare gli ultimi minuti. Telecronache belle e intense furono tante. Come a Macerata e Teramo anche per il clima ostile nei mie confronti. Ho davvero tanti bei ricordi. Se devo sceglierne uno, opto per la partita promozione di Recanati dove per la troppa emozione decisi di non fare la telecronaca ma il finto fotografo in campo per seguire la squadra. E mi ricordo che ero dietro alla porta al momento del rigore di Pazzi con i giocatori della Recanatese che invitavano quelli della Samb a calciare fuori e questi ultimi che chiedevano a me cosa fare. Io dissi a loro ad alta voce ‘Fate sto c…o di goal’, attirandomi tutte le ire dei giocatori recanatesi. Pazzi naturalmente fece goal e ricordo la gioia immensa con l’immediata invasione festante dei tifosi rossoblù. I momenti peggiori naturalmente furono quelli del doppio fallimento”.

Da addetto stampa è stato difficile svolgere il tuo ruolo confrontandoti giornalmente con i giornalisti locali e forestieri anche in momenti caldi?

“E’ stata una bella esperienza. Non facile ma comunque non rinnego nulla. A San Benedetto del Tronto, come in altre calde piazze, i giornalisti sono prima di tutto tifosi. Ed esigenti. Quindi credo che era naturale a volte scontrarsi per certe questioni. In primis per amore della Samb. Certamente le numerose vicende societarie non aiutavano a costruire un clima sereno e costante. A volte gli animi si accendevano ma c’è sempre stata molta correttezza e collaborazione nei confronti di tutti i giornalisti e le testate locali. Devo dire che a volte certi giornalisti sono stati etichettati come ‘menagrami’ o ‘ingrati’ da alcuni tifosi quando leggevano articoli critici riguardo alla società o alla squadra. Però poi spesso, in estate, si capiva che quei giornalisti non avevano così torto”.

Chiudiamo con un paio di considerazioni. Tornerai mai a fare parte della Sambenedettese? Che cosa speri per il futuro della squadra e della società?

“Rimango, naturalmente, tifoso e tornerò allo stadio per incitarla. Dal punto di vista lavorativo mai dire mai nella vita. Potrei, e mi farebbe sicuro piacere, un giorno tornare in quell’ambiente. Dipende da molte circostanze. Sono tornato a collaborare con il sito Tuttocalciatori, insieme con altri amici informatici, dove sono raccolte tutte le statistiche e informazioni delle squadre di calcio, dei giocatori, dei dirigenti sportivi e dei procuratori dalla Serie A alla serie D. Riguardo alla Samb, calcisticamente parlando credo che la promozione diretta sia ora molto difficile. Bisognerebbe puntare ai Play-Off. Sinceramente preferirei rimanere un altro anno in serie D con una società solida alle spalle che approdare in Lega Pro in una situazione difficile. L’obiettivo primario della Sambenedettese non deve essere quello di ottenere la vittoria del campionato bensì di realizzare una società e delle strutture che possano dare al nostro amato club la possibilità di avere progettualità, organizzazione e quindi conseguentemente credibilità. Quella credibilità che ci è stata tolta dai tanti fallimenti e che ancora oggi è il nostro grande tallone d’Achille. Qualsiasi cosa accada nella prossima estate mi auguro che la proprietà (attuale o nuova) seguirà questo consiglio. Perché senza restituire credibilità a questa società, non sarà mai possibile uscire da questo buco nero”.

Nota del Direttore: quest’ultima considerazione contrasta un po’ con le recenti dichiarazioni rilasciate a Riviera Oggi dal presidente Bucci (Abbiamo ridato credibilità al calcio sambenedettese).