Autore del blog “Ubuntu” è Tonino Capriotti, componente del Partito Democratico di San Benedetto

Ricordare la storia è sempre molto utile per capire il presente. Guardiamo alle autonomie locali. I Comuni sono sorti nel tardo medioevo per rispondere ad una necessità di autogoverno delle comunità locali. Le province hanno un’origine esattamente opposta. Esse sorsero quale emanazione del potere centrale e rispondevano ad una esigenza di controllo del territorio. Attraverso le province, lo Stato manteneva la sovranità territoriale sulle comunità locali, controllo di polizia e dell’esazione fiscale. Sulla base della genesi dei due enti potremmo definirli antitetici: l’uno il Comune dedito alla gestione, l’altro la provincia dedita al controllo.

Questa esperienza nasce dalla rivoluzione francese che privilegiò l’auto-amministrazione delle comunità locali, le province furono istituzionalizzate da Napoleone, per ribadire l’uniformità dello Stato, associando un organo rappresentativo (conseil général) a un rappresentante dello Stato (prefetto). In questo schema si inserisce il quadro italiano.

L’impianto accentrato di fatto non si realizzò e nella pratica si determinò un intreccio di funzioni tra Comuni e Province. I Comuni andarono assumendo un ruolo sempre più importante a cui furono delegate tantissime funzioni, mentre le province assunsero una funzione di cerniera tra centro e periferia.

Con l’istituzione delle regioni a statuto ordinario si compì il definitivo svuotamento delle funzioni delle province a favore delle regioni. Emerse con evidenza la loro inutilità fino, cronaca dei giorni nostri, alla loro riforma e declassificazione ad Ente di secondo livello (Legge n. 56 del 7 aprile 2014). Ciò non è accaduto prima perché le Province hanno mantenuto un importante ruolo politico. Su base provinciale erano organizzati i partiti di massa, le associazioni di categoria ed i sindacati.

Queste riforme organiche sono orientate a favore di una logica sistemica, sulla base dei seguenti principi: sussidiarietà verticale (la funzione deve essere svolta al livello amministrativo superiore quando il livello inferiore non è in grado di farlo), adeguatezza dell’organizzazione, differenziazione. Alle regioni spetta il compito normativo, di indirizzo e programmazione nei confronti dei comuni, ai quali compete la gestione diretta. L’unione dei Comuni e la gestione indiretta sta di fatto sostituendosi al ruolo delle province.

La legge Del Rio riguarda città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni al fine di adeguare il loro ordinamento ai principi di sussidiarietà e adeguatezza, e continua in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione.

Sottolineo di questa Legge alcuni articoli che ne cambiano la sostanza profonda. L’articolo 54 e seguenti parlano degli organi: introduce, oltre al Presidente ed al Consiglio, l’Assemblea dei sindaci. L’Assemblea ha poteri propositivi, consultivi e di controllo, adotta o respinge lo statuto con i voti che rappresentano almeno 1/3 dei Comuni e la maggioranza della popolazione residente.

L’articolo 60 rende eleggibili a presidente della provincia quei sindaci della provincia il cui mandato non scada prima di 18 mesi. Questo giustifica l’articolo 84 sulla gratuità della funzione, in quanto il sindaco percepisce già un compenso dalla politica. Esso decade con la decadenza dalla carica di sindaco.

Il ddl provvede a ridisegnare le Province trasformandole in assemblee formate dai sindaci e dai consiglieri comunali del circondario i quali, cavallo di battaglia del premier Matteo Renzi, non percepiranno alcuna indennità aggiuntiva e avranno poteri esclusivamente di pianificazione, edilizia scolastica e pari opportunità a parte, che rappresenteranno le uniche funzioni “vere” delle nuove amministrazioni territoriali. Non cambierà invece il loro numero complessivo, 107. Con l’unica differenza che in 10 casi, a partire dal 1° gennaio 2015, la provincia lascia il posto alle Città metropolitane.

Nei piani governativi, l’abolizione vera e propria delle Province sarà attuata con la riforma del Titolo V della Costituzione. In attesa di cancellarle, le Province vengono di fatto svuotate. Vengono invece spinti, da un lato i Comuni ad associarsi e fondersi, e dall’altro le Regioni a svolgere quelle funzioni indispensabili di pianificazione e raccordo tra lo Stato e le Amministrazioni locali, togliendo di fatto dei duplicati politici inutili ai cittadini, ed utili soltanto alla casta politica.

Tre fatti concreti: una multa ricevuta per eccesso di velocità, contributi collegati ad impianti protesici, corsi d’ inglese gratuiti in Inghilterra. Sapete da chi provengono? A caldo direi rispettivamente: Vigili urbani o Polizia stradale, INPS o Ufficio invalidi civili, Scuola o Regione. Niente di tutto ciò ma è, o meglio era l’Ente Provincia. Mi sembra chiara la duplicazione ed a volte triplicazione delle stesse funzioni, e l’inadeguatezza dello stesso Ente ad occuparsi di sicurezza, sociale ed istruzione. Ecco allora tornare alla domanda: “L’Ente Provincia ha senso?”