E’ diverso qui il Natale. In una città di mare, intendo.

Soprattutto all’alba, con l’illusione della bellezza del mondo. Prima che la realtà e la festa si sveglino e reclamino i loro diritti.

Calma, sogno. Eternità.

C’è una spiaggia deserta e c’è il mare. E lo sfondo magico, irreale.

C’è la leggera foschia di cenere che accoglie il giorno. Silenziosa, osserva il porto e la mia San Benedetto che, assonnata, trascina la sua coda di torpori e rumori smaltendo le fatiche della vigilia di Natale.

E che, appena umida di pioggia o accarezzata da un sole leggero e trasparente, si fa cogliere nella sua scontrosa e imperscrutabile bellezza. E nell’incongruenza della sua anima: il suo condurre segretamente una vita riservata di quartiere e di comunità nonostante sia aperta agli influssi esterni; così tesa a immergersi nel flusso della vita e assieme bisognosa di isolamento, orgogliosa e gelosa della propria solitudine e delle proprie profonde radici.

C’è l’ebbrezza dell’odore pungente della salsedine.

C’è un pescatore con il volto scavato da profonde rughe, le mani grosse, e lo sguardo e i gesti di una tenerezza antica.

C’è un viso sconosciuto, con un umore macchiato di grigio, che fa jogging in riva al mare.

Ci sono gli scheletrici rami e le palme dipinte di verde. E la voglia del profumo di un cappuccino.

E’ diverso qui un giorno di festa. Al mattino presto. In una città di mare, intendo.

Altro luogo. Altre sensazioni che aleggiano senza peso. Altro respiro.
Che neutralizzano al rallentatore il forsennato Natale. Quello che ha acquistato la fisionomia del tempo in cui viviamo: consumistico, illogico, supponente. Orfano della sua reale essenza. Così somigliante a quello che siamo diventati anche noi.